Summa Teologica - II-II

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Articolo 3 - Se la cecità della mente e l'ottusità dei sensi derivino dai peccati della carne

Infra, q. 153, a. 5

Pare che la cecità della mente e l'ottusità dei sensi non derivino dai vizi della carne.

Infatti:

1. S. Agostino, ritrattando quanto aveva detto nei Soliloqui [ 1,1 ]: « O Dio, che volesti concedere solo ai puri la conoscenza della verità », nel libro delle Ritrattazioni [ 1,4 ] scrive: « Si potrebbe rispondere che anche molti non puri conoscono molte verità ».

Ma gli uomini diventano impuri specialmente con i vizi della carne.

Quindi la cecità della mente e l'ottusità del senso non sono prodotte dai vizi carnali.

2. La cecità della mente e l'ottusità dei sensi sono difetti della parte intellettiva dell'anima; invece i vizi carnali fanno parte della corruzione della carne.

Ora, la carne non può agire sull'anima, ma piuttosto è il contrario.

Perciò i vizi carnali non causano né cecità di mente, né ottusità di senso.

3. Qualsiasi soggetto soffre più delle cose vicine che di quelle lontane.

Ora, sono più vicini alla mente i vizi spirituali che quelli carnali.

Quindi la cecità della mente e l'ottusità del senso sono causate più dai peccati spirituali che da quelli carnali.

In contrario:

S. Gregorio [ Mor. 31,45 ] insegna che l'ottusità del senso per quanto riguarda l'intelligenza nasce dalla gola, e la cecità della mente dalla lussuria.

Dimostrazione:

Nell'uomo la perfezione dell'attività intellettuale consiste in un'astrazione dai fantasmi delle realtà sensibili.

Quanto più dunque l'intelletto umano è libero da questi fantasmi, tanto più è capace di considerare le realtà intelligibili e di ordinare tutte quelle sensibili: come infatti già diceva Anassagora [ cf. Arist., Phys. 8,5 ], l'intelletto deve essere senza mescolanze per poter comandare, e l'agente deve essere superiore alla materia per poterla muovere.

Ora, è evidente che il piacere applica l'attenzione alle cose in cui uno si compiace: per cui il Filosofo [ Ethic. 10,5 ] insegna che ciascuno compie nel migliore dei modi gli atti in cui prova piacere, mentre non compie affatto, oppure solo con fiacchezza, gli atti contrari.

Ora i vizi della carne, cioè la gola e la lussuria, si riducono ai piaceri del tatto, cioè del cibo e venerei, che sono i più violenti fra tutti i piaceri del corpo.

E così questi vizi applicano nel modo più forte l'intenzione dell'uomo ai beni del corpo, debilitando quindi le sue operazioni nell'ordine intellettivo.

La lussuria però è più deleteria della gola, nella misura in cui i piaceri venerei sono più violenti di quelli del cibo.

Perciò dalla lussuria deriva la cecità della mente, che elimina quasi del tutto la conoscenza dei beni spirituali, mentre dalla gola deriva l'ottusità del senso, che rende l'uomo debole nella considerazione di questi intelligibili.

E al contrario le virtù opposte dell'astinenza e della castità predispongono l'uomo nel migliore dei modi alla perfezione dell'attività intellettuale.

Per cui in Daniele [ Dn 1,17 ] si legge che « a questi giovani », astinenti e continenti, « Dio concesse di conoscere e di comprendere ogni scrittura e ogni sapienza ».

Analisi delle obiezioni:

1. Sebbene alcuni che sono dominati dai vizi della carne possano talora investigare profondamente certe conoscenze di ordine intellettivo, grazie alla bontà del loro ingegno naturale o per un abito aggiunto, tuttavia è inevitabile che spesso la loro speculazione sia disturbata dai piaceri corporei.

Perciò gli impuri possono conoscere alcune verità, ma dalla loro impurità sono in ciò ostacolati.

2. La carne agisce sulla parte intellettiva non già alterandola, ma ostacolandone l'attività nel modo che abbiamo indicato.

3. Più i vizi carnali sono lontani dalla mente, più ne distraggono l'intenzione verso cose più remote.

Per cui impediscono maggiormente la contemplazione dello spirito.

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