Summa Teologica - II-II

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Articolo 2 - Se la sapienza risieda nell'intelletto

In 3 Sent., d. 35, q. 2, a. 1, sol. 3

Pare che la sapienza non risieda nell'intelletto.

Infatti:

1. S. Agostino [ Epist. 140,18 ] ha scritto che « la sapienza è la carità di Dio ».

Ma la carità, come sopra [ q. 24, a. 1 ] si è visto, risiede nella volontà e non nell'intelletto.

Quindi la sapienza non risiede nell'intelletto.

2. Sta scritto [ Sir 6,23 ]: « La sapienza è come dice il suo nome ».

Ora, sapienza suona « sapida scienza »: il che pare appartenere all'affetto, al quale vanno attribuiti i godimenti o dolcezze spirituali.

Perciò la sapienza non risiede nell'intelletto, ma piuttosto nell'affetto.

3. La potenza intellettiva è già efficacemente elevata dal dono dell'intelletto.

Ora, se un effetto può essere ottenuto efficacemente con una sola causa, è superfluo aggiungerne altre.

Quindi la sapienza non risiede nell'intelletto.

In contrario:

S. Gregorio [ Mor. 2,49 ] afferma che la sapienza si contrappone alla stoltezza.

Ma la stoltezza è nell'intelletto.

Quindi anche la sapienza.

Dimostrazione:

Come si è già detto [ a. prec.; q. 8, a. 6 ], la sapienza implica una rettitudine di giudizio secondo criteri divini.

Ora, la rettitudine del giudizio può derivare da due fonti diverse: primo, dal perfetto uso della ragione; secondo, da una certa connaturalità con le cose di cui si deve giudicare.

In materia di castità, p. es., può giudicare rettamente uno che ha imparato la morale, mentre chi ha la virtù della castità giudica rettamente per una certa connaturalità.

Così dunque avere un retto giudizio sulle cose di Dio conosciute mediante la ricerca razionale appartiene alla virtù intellettuale della sapienza, ma avere un retto giudizio su tali cose mediante una certa connaturalità appartiene alla sapienza che è dono dello Spirito Santo: come Dionigi [ De div. nom. 2 ] dice di Ieroteo che è perfetto nelle cose di Dio « non soltanto imparando, ma anche sperimentando le cose divine ».

Ora, questa esperienza o connaturalità con le cose divine si attua con la carità, la quale ci unisce a Dio, secondo le parole di S. Paolo [ 1 Cor 6,17 ]: « Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito ».

Così dunque il dono della sapienza ha la sua causa, cioè la carità, nella volontà, ma ha la sua essenza nell'intelletto, a cui appartiene l'atto di giudicare rettamente, come si è visto [ I, q. 79, a. 3 ].

Analisi delle obiezioni:

1. S. Agostino parla della sapienza in rapporto alla sua causa.

Dalla quale si desume anche il termine « sapienza », che sta a indicare un certo sapore.

2. È così risolta anche la seconda obiezioni.

Se però questa è l'interpretazione giusta di quel testo della Scrittura.

Il che non pare: poiché tale interpretazione vale solo per il nome della sapienza nella lingua latina.

In greco infatti non è così, e probabilmente neppure nelle altre lingue.

Quindi per nome della sapienza pare che si debba intendere la sua fama, essendo essa elogiata da tutti.

3. L'intelletto ha due atti: la percezione e il giudizio.

Al primo di essi è ordinato il dono dell'intelletto, al secondo invece il dono della sapienza rispetto alle ragioni divine e il dono della scienza rispetto alle ragioni umane.

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