Summa Teologica - II-II

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Articolo 2 - Se l'intelletto, o intelligenza, sia tra le parti della prudenza

Supra, q. praec.; In 3 Sent., d. 33, q. 3, a. 1, sol. 1

Pare che l'intelletto, o intelligenza, non sia una delle parti della prudenza.

Infatti:

1. Di due opposti l'uno non può essere parte dell'altro.

Ma l'intelletto, come dice Aristotele [ Ethic. 6,3 ], è una virtù intellettuale contrapposta alla prudenza.

Quindi l'intelletto non va considerato come una parte della prudenza.

2. L'intelletto, come si è visto sopra [ q. 8, aa. 1,8 ], è tra i doni dello Spirito Santo, e corrisponde alla fede.

Ma la prudenza, come risulta chiaro da quanto detto [ q. 4, a. 8 ], non si identifica con la fede.

Quindi l'intelletto non appartiene alla prudenza.

3. La prudenza, secondo Aristotele [ Ethic. 6,7 ], ha per oggetto le azioni singolari da compiere.

L'intelletto invece è fatto per conoscere gli universali astratti dalla materia, come nota il medesimo [ De anima 3,4 ].

Perciò l'intelletto non è tra le parti della prudenza.

In contrario:

Cicerone [ De invent. 2,53 ] mette l'« intelligenza » tra le parti della prudenza, e Macrobio [ Sup. somn. Scip. 1,8 ] l'« intelletto », che è poi la stessa cosa.

Dimostrazione:

L'intelletto, o intelligenza, di cui ora parliamo, non è la potenza intellettiva, ma la giusta nozione di un termine estremo, o principio, che viene considerato come per sé noto: cioè nel senso in cui parliamo di intelletto, o intuizione, a proposito dei primi princìpi della dimostrazione.

Ora, qualsiasi deduzione razionale procede da determinate nozioni che vengono prese come dati primordiali.

Per cui qualsiasi processo razionale parte necessariamente da una qualche intelligenza.

Poiché dunque la prudenza è la retta ragione delle azioni da compiere, è necessario che tutto il processo della prudenza derivi da un'intelligenza [ o intuizione ].

Ed è per questo che l'intelletto viene ricordato tra le parti della prudenza.

Analisi delle obiezioni:

1. La prudenza termina, come a una conclusione, a un'azione particolare da compiere, alla quale applica, come si è detto [ q. 47, aa. 3,6 ], una nozione universale.

Ora, una conclusione particolare viene dedotta da due proposizioni, una universale e l'altra particolare.

Perciò la prudenza deve derivare da due intuizioni, o intelligenze, di cui la prima ha per oggetto gli universali.

E ciò appartiene all'intelletto che è una delle virtù intellettuali: poiché per natura ci sono noti, come si è visto [ q. 47, a. 6 ], non solo i primi princìpi universali di ordine speculativo, ma anche quelli pratici, p. es. che « non si deve fare del male a nessuno ».

- C'è poi una seconda intuizione, o intelligenza, la quale, secondo Aristotele [ Ethic. 6,11 ], ha per oggetto un « estremo », cioè un primo dato singolare e contingente da compiere, vale a dire la minore del sillogismo, che nel processo razionale della prudenza deve essere singolare, come si è detto.

Ora, questo primo dato concreto o singolare è un fine particolare, come nota lo stesso Aristotele [ ib. ].

Per cui l'intelletto che troviamo fra le parti della prudenza è un certo giusto apprezzamento di un qualche fine particolare.

2. L'intelletto che troviamo fra i doni dello Spirito Santo è un'acuta percezione delle realtà divine, come si è detto [ q. 8, a. 1 ].

Diverso è invece l'intelletto che abbiamo descritto [ nel corpo ] come parte della prudenza.

3. L'intuizione giusta di un fine particolare viene denominata intelletto in quanto ha per oggetto un principio, e senso in quanto ha per oggetto un singolare.

E a questo accenna il Filosofo quando scrive [ Ethic. 6,11 ]: « Dei singolari bisogna avere un senso, e questo è l'intelletto ».

Parole queste che non si riferiscono ai sensi particolari con i quali conosciamo i sensibili propri, ma al senso interno col quale giudichiamo dei singolari.

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