Summa Teologica - II-II

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Articolo 4 - Se la giustizia risieda nella volontà

Infra, a. 8, ad 1; I, q. 21, a. 2, ad 1; I-II, q. 56, a. 6; In 3 Sent., d. 33, q. 2, a. 4, sol. 3; De Malo, q. 4, a. 5, ad 4; De Virt., q. 1, a. 5; In 5 Ethic., lect. 1

Pare che la giustizia non risieda nella volontà.

Infatti:

1. Talora la giustizia viene chiamata verità.

Ora, la verità non risiede nella volontà, ma nell'intelletto.

Quindi la giustizia non risiede nella volontà.

2. La giustizia riguarda i doveri verso gli altri.

Ma ordinare una cosa a un'altro soggetto è proprio della ragione.

Perciò la giustizia non risiede nella volontà, ma piuttosto nella ragione.

3. La giustizia non è una virtù intellettuale, non essendo ordinata alla conoscenza.

Quindi è una virtù morale.

Ma la sede delle virtù morali, stando al Filosofo [ Ethic. 1,13 ], è « il razionale per partecipazione », cioè l'irascibile e il concupiscibile.

Quindi la giustizia non risiede nella volontà, ma piuttosto nell'irascibile e nel concupiscibile.

In contrario:

S. Anselmo [ De verit. 12 ] dichiara che « la giustizia è la rettitudine della volontà osservata per se stessa ».

Dimostrazione:

Una virtù risiede in quella potenza i cui atti essa ha il compito di rettificare.

Ora, la giustizia non ha il compito di dirigere alcun atto conoscitivo: infatti noi non siamo chiamati giusti per il fatto che conosciamo rettamente qualcosa.

Perciò la sede della giustizia non è l'intelletto, o ragione, che è una potenza conoscitiva.

È invece necessario che la giustizia risieda in una potenza appetitiva: infatti siamo denominati giusti per il fatto che compiamo rettamente delle azioni, e d'altra parte il principio prossimo dell'agire è la potenza appetitiva.

Ora, esistono due tipi di appetito: c'è la volontà, che appartiene alla ragione, e c'è l'appetito sensitivo, che segue alla percezione dei sensi, e che si divide in irascibile e concupiscibile, come si è spiegato nella Prima Parte [ q. 81, a. 2 ].

Ora, rendere a ciascuno il suo non può derivare dall'appetito sensitivo: poiché la conoscenza sensitiva non può estendersi a considerare il rapporto di un soggetto con un altro, ma ciò è proprio della ragione.

Per cui la giustizia non può risiedere nell'irascibile o nel concupiscibile, ma soltanto nella volontà.

Per questo il Filosofo definisce la giustizia mediante l'atto della volontà, come risulta evidente dai testi riportati sopra [ a. 1, ob. 1 ].

Analisi delle obiezioni:

1. Essendo la volontà un appetito razionale, la verità, che è la rettitudine della ragione, quando è partecipata dalla volontà conserva il nome di verità, per la vicinanza del volere alla ragione.

Ed è per questo che talora la giustizia è chiamata verità.

2. La volontà si porta sul proprio oggetto seguendo la conoscenza della ragione.

Siccome quindi la ragione ordina un soggetto all'altro, la volontà può volere una cosa in ordine a un altro soggetto, il che è proprio della giustizia.

3. L'essere razionale per partecipazione non è riservato soltanto all'irascibile e al concupiscibile, ma « a ogni facoltà appetitiva », come dice Aristotele [ l. cit. nell'ob. ]: poiché ogni appetito obbedisce alla ragione.

Ora, tra le facoltà appetitive c'è anche la volontà.

Quindi la volontà può essere sede di una virtù morale.

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