Summa Teologica - II-II

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Articolo 11 - Se il voto solenne di castità possa essere dispensato

In 4 Sent., d. 38, q. 1, a. 4, sol. 1, ad 3

Pare che il voto solenne di castità possa essere dispensato.

Infatti:

1. Uno dei motivi per la dispensa da un voto si ha, come si è detto [ a. prec. ], nell'ipotesi che esso sia di ostacolo a un bene superiore.

Ora il voto di castità, anche se solenne, può essere di ostacolo a un bene più grande.

Infatti « il bene comune è più divino del bene di un individuo » [ Ethic. 1,1 ].

Ma può capitare che la continenza di una persona impedisca il bene di tutta una collettività, quando p. es. col matrimonio di persone che hanno fatto voto di castità si potrebbe assicurare la pace alla patria.

Quindi è evidente che il voto solenne di castità può essere dispensato.

2. La religione è una virtù più nobile della castità.

Ma se uno fa voto di compiere qualche atto di latria, p. es. di offrire un sacrificio a Dio, può essere dispensato.

A maggior ragione quindi si può essere dispensati dal voto di continenza, che è un atto della castità.

Dimostrazione:

Nel voto solenne di castità si possono considerare tre cose:

primo, la materia del voto, cioè la continenza stessa;

secondo, la perpetuità del voto, per cui uno si obbliga all'osservanza perpetua della castità;

terzo, la solennità del voto.

Ci sono dunque alcuni i quali dicono che il voto solenne non è dispensabile a motivo della castità medesima, la quale non ammette comparazioni, come dice il testo citato [ s. c. ] della Scrittura.

E la ragione di ciò alcuni la trovano nel fatto che mediante la castità l'uomo trionfa del suo nemico domestico; oppure nel fatto che mediante la castità l'uomo si modella perfettamente su Cristo nella purezza dell'anima e del corpo.

- Ma ciò non persuade.

Poiché i beni dell'anima, come la contemplazione e la preghiera, sono molto superiori ai beni del corpo, e ci rendono più simili a Dio: e tuttavia si può essere dispensati dal voto di pregare e di contemplare.

Perciò il motivo dell'impossibilità di dispensare il voto di castità non può trovarsi nella considerazione della sola dignità della continenza.

Specialmente se pensiamo che l'Apostolo [ 1 Cor 7,34 ] esorta alla castità in vista della contemplazione, notando che « la donna non sposata si preoccupa delle cose del Signore ».

Ora, il fine è sempre superiore ai mezzi.

Perciò altri danno come motivo della non dispensabilità suddetta la perpetuità e l'universalità di questo voto.

Essi dicono infatti che il voto di castità non può essere tralasciato se non con atti del tutto contrari: il che non è lecito in alcun voto.

Ma ciò è falso in maniera evidente.

Poiché come l'unione sessuale è contraria alla continenza, così anche il mangiare carne o bere vino è contrario all'astinenza da tali cibi o bevande: eppure in questi voti è ammessa la dispensa.

E così alcuni pensano che il voto solenne di castità possa essere dispensato per una utilità o necessità pubblica: come è evidente nell'esempio addotto [ ob. 1 ] della pacificazione dei popoli mediante un contratto di matrimonio.

Ma poiché la decretale sopra citata [ s. c. 2 ] dice espressamente che il Sommo Pontefice non può concedere a un monaco la dispensa dalla castità, si deve rispondere diversamente: ricordando cioè, come si è fatto sopra [ a. prec., ad 1 ] ed è detto nel Levitico [ Lv 27,9s. e 28ss ], che le cose consacrate al Signore non possono essere adibite ad altri usi.

Ora, un prelato della Chiesa non può far sì che quanto è stato consacrato perda la sua consacrazione, anche se si tratta di cose inanimate: non può ad es. far sì che un calice consacrato cessi di essere consacrato, se rimane intero.

Per cui meno che mai un prelato può far sì che un uomo consacrato a Dio cessi di essere consacrato per tutta la vita.

Ora, la solennità dei voti consiste appunto in una consacrazione o benedizione di chi li emette, come sopra [ a. 7 ] si è detto.

Non è quindi possibile che un prelato della Chiesa faccia sì che un professo solenne cessi dalla sua consacrazione: p. es. che chi è sacerdote cessi di essere sacerdote; sebbene il prelato per certi motivi possa proibire l'esercizio dell'ordine.

E per lo stesso motivo il Papa non può far sì che colui che ha professato in una religione non sia religioso: sebbene alcuni giuristi per ignoranza dicano il contrario.

Bisogna quindi vedere se la castità sia connessa essenzialmente con la solennità del voto: perché se non è connessa essenzialmente può rimanere la solennità della consacrazione senza l'obbligo della continenza, cosa che invece è impossibile se la castità è connessa con quanto costituisce il voto solenne.

Ora, l'obbligo della continenza non è connesso con l'ordine sacro in maniera essenziale, ma per una disposizione della Chiesa.

Per cui pare che la Chiesa potrebbe dispensare dal voto di castità reso solenne dal conferimento dell'ordine sacro.

- Per lo stato religioso, invece, col quale si rinunzia al secolo per dedicarsi totalmente al servizio di Dio, l'obbligo della continenza è essenziale; e ciò è incompatibile col matrimonio, nel quale incombe la necessità di provvedere alla moglie, alla prole, alla famiglia e a tutte le cose che a ciò si richiedono.

Per cui l'Apostolo [ 1 Cor 7,33 ] scriveva che « chi è sposato si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, e si trova diviso ».

Infatti il termine monaco deriva da monos, cioè uno, in opposizione alla divisione suddetta.

Perciò nei voti resi solenni dalla professione religiosa la Chiesa non può dispensare; e la decretale ne dà la ragione dicendo che « la castità è connessa con la regola monastica ».

Analisi delle obiezioni:

1. Ai pericoli che incombono sulle cose umane si deve provvedere con dei mezzi umani, non già degradando le cose divine a usi umani.

Ora, coloro che hanno professato una religione sono morti al mondo e vivono per Dio.

Essi quindi per nessun motivo devono essere ricondotti alla vita umana.

2. Il voto temporaneo di continenza può essere dispensato, come anche il voto temporaneo di dedicarsi alla preghiera e all'astinenza.

Ma la non dispensabilità del voto di continenza reso solenne dalla professione non dipende dal fatto che è un atto di castità, bensì dal fatto che esso diventa un atto di latria con la professione religiosa.

3. Il vitto è ordinato direttamente alla conservazione della persona, per cui l'astinenza può divenire direttamente un pericolo personale.

E così il voto di astinenza può essere dispensato.

Ma il rapporto sessuale non è ordinato direttamente alla conservazione della persona, bensì a quella della specie.

Quindi l'astenersi da esso non costituisce un pericolo personale.

E se lo fosse in maniera indiretta, si potrebbe provvedere diversamente: cioè con l'astinenza, o con altri rimedi corporali.

4. Il religioso che diventa vescovo, come non è dispensato dal voto di castità, così non lo è neppure da quello di povertà: poiché egli non deve amministrare i beni come cose proprie, ma come beni comuni della Chiesa.

Parimenti non è dispensato dal voto di obbedienza, ma non è tenuto a ubbidire solo per accidens, dato che non ha un superiore; come anche l'abate di un monastero, che pure non è sciolto dal voto di obbedienza.

Quanto poi al testo dell'Ecclesiastico [ Sir ] riportato nell'argomento in contrario [ s. c. ], esso va spiegato nel senso che né la fecondità della carne, né altri beni materiali sono da paragonarsi alla continenza, la quale è posta tra i beni dell'anima, come insegna S. Agostino [ De sancta virginit. 8 ].

Per cui è detto espressamente: « di un'anima casta », e non « di una carne casta ».

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