Summa Teologica - II-II

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Articolo 12 - Se per la commutazione o la dispensa dei voti si richieda l'autorità di un superiore ecclesiastico

Supra, a. 2, ad 3; In 4 Sent., d. 38, q. 1, a. 4, sol. 4

Pare che per la commutazione o la dispensa dei voti non si richieda l'autorità di un superiore ecclesiastico.

Infatti:

1. Uno può entrare in religione senza ricorrere all'autorità del suo superiore ecclesiastico.

Ma con l'entrata in religione si viene dispensati da tutti i voti fatti nel secolo, compreso quello di andare in Terra Santa.

Quindi la commutazione o la dispensa dei voti si può avere senza l'autorità dei superiori ecclesiastici.

2. La dispensa di un voto consiste nel determinare quando nei singoli casi il voto non debba essere osservato.

Ma se il prelato determina ciò malamente, l'interessato non pare per questo dispensato dal voto: poiché nessun prelato può dispensare dal precetto divino che impone l'adempimento dei voti, come sopra [ a. 10, ad 2; a. 11 ] si è notato.

Parimenti, se uno di propria autorità determina giustamente che un voto non va osservato, non pare che vi sia tenuto: poiché il voto, come si è visto sopra [ a. 2, ad 2 ], non obbliga nel caso in cui porti a delle cattive conseguenze.

Quindi la dispensa dei voti non richiede l'autorità di un superiore ecclesiastico.

3. Se la dispensa dei voti fosse una facoltà dei superiori ecclesiastici, tutti costoro potrebbero esercitarla ugualmente.

Invece non tutti hanno la facoltà di dispensare da qualsiasi voto.

Quindi la facoltà di dispensare dai voti non appartiene ai superiori ecclesiastici.

In contrario:

Il voto obbliga a compiere determinate cose allo stesso modo della legge.

Ora, per dispensare dai precetti della legge si richiede l'autorità dei superiori, come si è dimostrato sopra [ I-II, q. 96, a. 6; q. 97, a. 4 ].

Quindiper lo stesso motivo essa è richiesta anche per la dispensa dei voti.

Dimostrazione:

Come sopra [ a. 2 ] si è detto, il voto è una promessa fatta a Dio di qualcosa che egli gradisce.

Ma il gradimento dipende dall'arbitrio di colui al quale è fatta la promessa.

D'altra parte il superiore nella Chiesa fa le veci di Dio.

Di conseguenza nella commutazione e nella dispensa dei voti è richiesta l'autorità dei superiori ecclesiastici, che in persona di Dio determinano che cosa gli sia gradito, secondo le parole di S. Paolo [ 2 Cor 2,10 ]: « Anch'io ho usato indulgenza a vostro favore in persona di Cristo ».

E intenzionalmente è detto « a vostro favore »: poiché ogni dispensa che viene richiesta all'autorità ecclesiastica deve essere concessa per dare onore a Cristo, nel cui nome si dà la dispensa, oppure per l'utilità della Chiesa, che è il suo corpo [ mistico ].

Analisi delle obiezioni:

1. Gli altri voti riguardano tutti delle opere particolari, mentre nella religione l'uomo consacra a Dio tutta la vita.

Ora, le cose particolari sono incluse nell'universale.

E così nelle Decretali [ l. cit. nell'ob. ] si legge che « non si considera reo di violazione di un voto colui che cambia un servizio temporaneo nella perpetua osservanza della vita religiosa ».

Costui poi, entrando in religione, non è tenuto ad adempiere i voti fatti nel secolo relativi a digiuni, preghiere o altre cose del genere: poiché entrando in religione è morto alla vita precedente; e anche perché le osservanze particolari non si accordano con la vita regolare; inoltre il peso di quest'ultima è già abbastanza grave per un uomo, per cui non è necessario aggiungere altro.

2. Alcuni hanno affermato che i prelati possono dispensare dai voti a loro arbitrio, poiché qualsiasi voto è implicitamente condizionato alla volontà del superiore ecclesiastico; cioè come nel caso dei voti dei subalterni, ossia dei figli e degli schiavi, di cui abbiamo già parlato [ a. 8, ad 1,4 ], e nei quali va sottintesa la condizione: « se è contento o non farà opposizione il padre o il padrone ».

E così un suddito potrebbe trascurare il voto senza rimorsi di coscienza ogni qual volta il superiore lo volesse.

Ma questa tesi si fonda sul falso.

Poiché il potere spirituale del prelato, il quale non è padrone ma amministratore, viene dato, secondo S. Paolo [ 2 Cor 10,8 ], « per edificare e non per distruggere »: per cui come esso non dà al superiore ecclesiastico la facoltà di comandare ciò che dispiace a Dio, cioè il peccato, così non gli dà la facoltà di proibire cose che per se stesse sono accette a Dio, come le opere virtuose.

Per cui uno può farne voto incondizionatamente.

Tuttavia spetta al superiore ecclesiastico giudicare ciò che è più virtuoso e più accetto a Dio.

Quindi nei casi evidenti la dispensa [ abusiva ] del prelato non scuserebbe dalla colpa: p. es. se il prelato dispensasse uno dal voto di entrare in religione senza che appaia alcuna causa che lo impedisca.

Se invece appare una causa che per lo meno lascia in dubbio la cosa, allora uno può stare al giudizio del superiore ecclesiastico che dà la dispensa o la commutazione.

Non può comunque basarsi sul proprio giudizio, poiché egli non fa le veci di Dio: salvo forse il caso in cui la cosa promessa col voto risultasse manifestamente illecita, e non ci fosse il modo di ricorrere al superiore.

3. Il Sommo Pontefice, per il fatto che in tutto fa le veci di Cristo nella Chiesa intera, ha la pienezza dei poteri nel dispensare da tutti i voti dispensabili.

Invece ai prelati inferiori la facoltà di dispensare è accordata per quei voti che vengono fatti ordinariamente e che di frequente hanno bisogno di dispensa, in modo che gli uomini facilmente possano trovare a chi ricorrere: come sono i voti di pellegrinaggi, di digiuni e simili.

Ma i voti più importanti, come il voto di [ perpetua ] castità e di un pellegrinaggio in Terra Santa, sono riservati al Sommo Pontefice.

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