Summa Teologica - II-II

Indice

Articolo 1 - Se l'ironia, con la quale uno finge di sottovalutare se stesso, sia un peccato

In 4 Ethic., lect. 15

Pare che l'ironia, con la quale uno finge di sottovalutare se stesso, non sia un peccato.

Infatti:

1. Nessun peccato viene commesso per ispirazione divina.

Eppure da questa deriva per alcuni la sottovalutazione di se stessi.

Infatti nei Proverbi [ Pr 30,1s Vg ] si legge: « Visione narrata da un uomo che vive con Dio, e che confortato dalla presenza di Dio disse: Io sono il più stolto degli uomini ».

E di Amos [ Am 7,14 ] si legge: « Amos rispose: Io non sono profeta ».

Quindi l'ironia, con la quale uno degrada a parole se stesso, non è un peccato.

2. S. Gregorio [ Registr. 12, epist. 64 ] ha scritto: « È proprio delle anime buone riscontrare in se stesse delle colpe dove non c'è colpa ».

Ma qualsiasi peccato è incompatibile con la bontà dell'anima.

Quindi l'ironia non è un peccato.

3. Fuggire la superbia non è peccato.

Ora, stando al Filosofo [ Ethic. 4,7 ], alcuni « dicono di se stessi meno del vero per fuggire l'orgoglio »: quindi l'ironia non è un peccato.

In contrario:

S. Agostino [ Serm. 181,4.5 ] ammonisce: « Quando menti per umiltà, se non eri peccatore già prima, lo diventi mentendo ».

Dimostrazione:

Uno può sottovalutare se stesso a parole in due modi.

Primo, salvando la verità: cioè tacendo le qualità superiori di cui è dotato e scoprendo solo certi difetti, che riconosce effettivamente di avere.

Ora, sottovalutare se stessi in questo modo non rientra nell'ironia, e nel suo genere non è un peccato, se non intervengono altre circostanze.

Secondo, uno può sottovalutare se stesso a parole a scapito della verità: p. es. asserendo di se stesso delle cose ignominiose di cui non è persuaso; oppure negando dei meriti che invece riconosce in se stesso.

E ciò rientra nell'ironia, ed è sempre un peccato.

Analisi delle obiezioni:

1. Ci sono due tipi di sapienza e due tipi di stoltezza.

C'è infatti una certa sapienza secondo Dio che è accompagnata dalla stoltezza secondo gli uomini, come dice S. Paolo [ 1 Cor 3,18 ]: « Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente ».

C'è invece una sapienza mondana la quale, sempre secondo il medesimo Apostolo [ 1 Cor 3,19 ], « è stoltezza davanti a Dio ».

Perciò colui che viene ispirato da Dio confessa di essere stoltissimo secondo il criterio umano: poiché disprezza le cose del mondo cercate dalla sapienza umana.

Per cui il passo citato [ Pr 30,2 Vg ] così prosegue: « E la sapienza degli uomini non è con me »; e subito dopo [ Pr 30,3 ]: « Io conosco la scienza dei santi ».

- O si potrebbe anche rispondere che « la sapienza degli uomini » è quella che si acquista con la ragione umana, mentre « la sapienza dei santi » è quella che si ha per ispirazione divina.

Amos poi intese negare di essere profeta per nascita: cioè negò di appartenere alla casta dei profeti.

Infatti alle parole citate egli aggiunse: « Né figlio di profeta ».

2. La bontà dell'anima fa sì che l'uomo tenda alla perfezione della virtù.

E così uno reputa colpa non solo il mancare alla virtù comune, che è una vera colpa, ma anche il fatto di non raggiungere la perfezione della virtù, il che talvolta non è una colpa.

Ma costui non afferma una colpa di cui non è persuaso, come accade invece nella menzogna dell'ironia.

3. Un uomo non deve mai fare un peccato per evitarne un altro.

Non deve quindi mentire per evitare la superbia. Da cui le parole di S. Agostino [ In Ioh. Ev. tract. 43 ]: « Per evitare l'arroganza non si abbandoni la verità ».

E S. Gregorio [ Mor. 26,5 ] ammonisce che « sono imprudenti quegli umili che si lasciano irretire dalla menzogna ».

Indice