Summa Teologica - II-II

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Articolo 1 - Se le parti della fortezza siano convenientemente enumerate

In 3 Sent., d. 33, q. 3, a. 3

Pare che le parti della fortezza non siano convenientemente enumerate.

Infatti:

1. Cicerone [ De invent. 2,54 ] assegna alla fortezza quattro parti, cioè « la magnificenza, la fiducia, la pazienza e la perseveranza ».

Ma a torto.

Infatti la magnificenza appartiene alla liberalità: poiché entrambe riguardano il danaro, e secondo il Filosofo [ Ethic. 4,2 ] « è necessario che il magnifico sia liberale ».

Ma la liberalità fa parte della giustizia, come sopra [ q. 117, a, 5 ] si è dimostrato.

Quindi la magnificenza non va considerata come una parte della fortezza.

2. La fiducia pare non essere altro che la speranza.

Ora, la speranza non appartiene alla fortezza, ma è una virtù a parte.

Quindi la fiducia non va posta fra le parti della fortezza.

3. La fortezza rende l'uomo preparato di fronte ai pericoli.

Ma la magnificenza e la fiducia non implicano nel loro concetto alcun rapporto ai pericoli.

Quindi non sono convenientemente enumerate come parti della fortezza.

4. La pazienza, secondo Cicerone [ l. cit. ], implica « la sopportazione di cose difficili »: il che egli attribuisce anche alla fortezza.

Quindi la pazienza si identifica con la fortezza, e non è una sua parte.

5. Ciò che è richiesto in tutte le virtù non può considerarsi parte di una virtù speciale.

Ma la perseveranza è richiesta in qualsiasi virtù, secondo le parole evangeliche [ Mt 24,13 ]: « Chi persevererà sino alla fine sarà salvato ».

Quindi la perseveranza non va posta fra le parti della fortezza.

6. Macrobio [ Sup. somn. Scip. 1,8 ] enumera sette parti della fortezza, cioè: « la magnanimità, la fiducia, la sicurezza, la magnificenza, la costanza, la sopportazione, la fermezza ».

E Andronico [ De affect. ] enumera sette virtù annesse alla fortezza, che sono « l'eupsichia, la lema, la magnanimità, la virilità, la perseveranza, la magnificenza, l'andragatia ».

Quindi l'enumerazione di Cicerone è incompleta.

7. Aristotele [ Ethic. 3,8 ] enumera cinque modi della fortezza.

Il primo è la politica, che agisce con fermezza per paura del disonore, o del castigo;

il secondo è la bravura militare, che opera con coraggio sorretta dall'arte e dall'esperienza bellica;

il terzo è la fortezza, che scaturisce dalla passione, specialmente dall'ira;

il quarto è la fortezza, che agisce con coraggio per l'abitudine di vincere;

il quinto poi è l'agire con coraggio per inavvertenza del pericolo.

Ora, nessuna delle enumerazioni precedenti contiene questi tipi di fortezza.

Quindi le suddette enumerazioni non sono adeguate.

Dimostrazione:

Come sopra [ q. 48 ] si è detto, di una virtù ci possono essere tre tipi di parti, cioè: soggettive, integranti e potenziali.

Ora, la fortezza in quanto virtù specifica non può avere parti soggettive: poiché non si divide in virtù specificamente distinte, essendo la sua materia del tutto determinata.

Vengono invece ad essa riconosciute delle parti integranti e potenziali.

Parti integranti sono gli elementi chiamati a costituire l'atto della fortezza.

Parti potenziali sono invece quelle virtù che osservano in campi meno difficili il comportamento osservato dalla fortezza di fronte ai pericoli di morte.

E queste virtù sono annesse alla fortezza come virtù secondarie.

Ora, come sopra [ q. 123, aa. 3,6 ] si è detto, due sono gli atti della fortezza: l'affrontare e il sopportare.

Per il primo atto si richiedono due cose.

La prima è la predisposizione dell'animo, che cioè si abbia l'animo pronto ad affrontare.

Ed è quanto Cicerone denomina « fiducia ».

Per cui egli afferma [ l. cit. nell'ob. 1 ] che « la fiducia è la virtù con cui l'animo affronta le cose grandi e onorifiche con speranza e sicurezza ».

La seconda è l'esecuzione dell'opera: che cioè non si venga meno nell'esecuzione di ciò che si è intrapreso con fiducia.

Cicerone [ ib. ] la chiama « magnificenza ».

Per cui egli scrive che « la magnificenza è il disegno e l'esecuzione di cose grandi e sublimi con ampiezza e splendidezza di propositi », in modo cioè che ai generosi propositi non manchi l'esecuzione.

- Ora, se questi due elementi si restringono alla materia propria della fortezza, cioè ai pericoli di morte, ne formano come le parti integranti, senza di cui la fortezza non può sussistere.

Se invece si riferiscono ad altre materie di minore obiezioni, allora sono virtù specificamente distinte dalla fortezza, che però si riconnettono ad essa come alla loro virtù principale.

P. es. il Filosofo [ Ethic. 4,2 ] assegna le grandi spese alla magnificenza e i grandi onori invece alla magnanimità, che si identifica con la fiducia.

E anche per l'altro atto della fortezza, che è il sopportare, si richiedono due cose.

La prima è che l'animo non si lasci abbattere dalla tristezza per la obiezioni dei mali imminenti, abdicando così alla propria grandezza.

Ed è quanto Cicerone denomina « pazienza ».

Infatti egli scrive [ l. cit. ] che « la pazienza è una volontaria e ininterrotta tolleranza di cose ardue e difficili motivata dall'onore e dall'utilità ».

- La seconda cosa richiesta è invece che uno non si stanchi fino a desistere a causa della continua sopportazione delle obiezioni, seguendo l'esortazione di S. Paolo [ Eb 12,3 ]: « Non stancatevi perdendovi d'animo ».

E Cicerone la denomina « perseveranza ».

Infatti egli dice [ l. cit. ] che « la perseveranza è una stabile e perpetua permanenza in una deliberazione ben considerata ».

- E anche queste due cose, se si restringono alla materia propria della fortezza, ne costituiscono quasi due parti integranti.

Se invece riguardano qualunque altra obiezioni sono virtù distinte dalla fortezza, però ad essa connesse come virtù secondarie alla principale.

Analisi delle obiezioni:

1. La magnificenza aggiunge una certa grandezza riguardo alla materia della liberalità, grandezza che sconfina nell'arduo, il quale è oggetto dell'irascibile e riceve la sua perfezione dalla fortezza.

E sotto questo aspetto essa appartiene alla fortezza.

2. La speranza con cui si confida in Dio è una virtù teologale, come sopra [ q. 17, a. 5; I-II, q. 62, a. 3 ] si è visto.

Invece con la fiducia che è parte potenziale della fortezza l'uomo confida in se medesimo; però in dipendenza da Dio.

3. L'intraprendere qualsiasi grande impresa è sempre pericoloso, essendo di grave pregiudizio il fallire in essa.

Per cui anche se la magnificenza e la fiducia riguardano qualsiasi grande impresa, hanno tuttavia una certa affinità con la fortezza a motivo del pericolo che viene affrontato.

4. La pazienza non solo sopporta, senza tristezza eccessiva, i pericoli di morte, oggetto della fortezza, ma anche qualunque altra obiezioni o pericolo.

E sotto questo aspetto è una virtù annessa alla fortezza.

- In quanto invece ha per oggetto i pericoli di morte è una sua parte integrante.

5. La perseveranza può essere un requisito di qualsiasi virtù se viene intesa come continuità del bene operare sino alla fine.

È invece una parte potenziale della fortezza nel senso indicato sopra [ nel corpo ].

6. Macrobio enumera le quattro virtù poste da Cicerone: la fiducia, la magnificenza, la tolleranza ( in luogo della pazienza ) e la fermezza ( che sostituisce la perseveranza ).

Ne aggiunge però altre tre, due delle quali, cioè la magnanimità e la sicurezza, per Cicerone formano la fiducia, che invece Macrobio distingue.

Infatti la fiducia implica la speranza umana di cose grandi.

Ma la speranza presuppone la tensione della volontà nel desiderio di tali cose grandi, il che costituisce la magnanimità: sopra [ I-II, q. 40, a. 7 ] infatti abbiamo visto che la speranza presuppone l'amore e il desiderio di ciò che si spera.

O meglio si può dire che la fiducia indica la certezza della speranza, la magnanimità invece la grandezza delle cose sperate.

- Però la speranza non può essere sicura se non vengono eliminati i sentimenti contrari: talora infatti uno di per sé sarebbe portato a sperare una data cosa, ma la speranza è eliminata dal timore: infatti il timore è incompatibile con la speranza, come si è visto [ I-II. q. 40, a. 4, ad 1 ].

Per questo Macrobio aggiunge la sicurezza, che esclude il timore.

Aggiunge poi una terza virtù, cioè la costanza, che può rientrare nella magnificenza: infatti è necessario avere costanza d'animo nelle cose che si compiono con magnificenza.

E così Cicerone afferma che alla magnificenza non appartiene solo « l'esecuzione di grandi imprese », ma anche « il loro disegno formulato con ampiezza di propositi ».

Però la costanza si può anche ridurre alla perseveranza: poiché uno è perseverante in quanto non desiste nonostante la durata dell'impresa, ed è costante in quanto non desiste nonostante qualsiasi altra obiezioni.

E anche le virtù enumerate da Andronico si riducono a quelle di Cicerone.

Infatti egli per la perseveranza e la magnificenza si accorda con Cicerone e Macrobio, e per la magnanimità con quest'ultimo.

- La lema equivale poi alla pazienza o alla sopportazione: infatti egli dice che essa « è un abito pronto ad affrontare ciò che è dovuto, e a sopportare ciò che la ragione detta ».

- L'eupsichia invece, cioè il buon animo, equivale alla sicurezza: dice infatti che « essa è la forza d'animo nel portare a termine le proprie imprese ».

- La virilità poi non è altro che la fiducia: infatti egli dice che « la virilità è un abito che ha la capacità di affrontare direttamente imprese che richiedono coraggio ».

- Alla magnificenza aggiunge poi l'andragatia, che è come una bontà virile, e che noi potremmo denominare strenuità.

Infatti la magnificenza non ha solo il compito di insistere nel portare a termine le grandi imprese, come la costanza, ma anche quello di compierle con virile prudenza e sollecitudine, il che è proprio dell'andragatia o strenuità.

Per questo egli dice che « l'andragatia è la virtù dell'uomo che sa sperimentare gli espedienti che occorrono nelle opere vantaggiose ».

E così è dimostrato che tutte le virtù ricordate si riducono alle quattro principali enumerate da Cicerone.

7. Quei cinque elementi ricordati da Aristotele non raggiungono la vera natura di virtù: poiché sebbene coincidano con la fortezza quanto all'atto, tuttavia differiscono da essa quanto al movente che li ispira, come si è visto sopra [ q. 123, a. 1, ad 2 ].

Perciò essi non sono parti potenziali della fortezza, ma solo certe sue modalità.

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