Summa Teologica - II-II

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Articolo 5 - Se la magnanimità sia una parte [ potenziale ] della fortezza

Supra, q. 128

Pare che la magnanimità non sia una parte [ potenziale ] della fortezza.

Infatti:

1. Una cosa non può essere parte di se medesima.

Ora, la magnanimità si identifica con la fortezza.

Infatti Seneca [ De quatuor virt. ] ha scritto: « Se nel tuo animo c'è la magnanimità, che è chiamata anche fortezza, vivrai con grande fiducia ».

E Cicerone [ De off. 1,19 ]: « Gli uomini forti vogliamo che siano anche magnanimi, amici della verità e per nulla mendaci ».

Quindi la magnanimità non è una parte [ potenziale ] della fortezza.

2. Il Filosofo [ Ethic. 4,3 ] insegna che « il magnanimo non è philokìndunos », cioè amante del pericolo.

È invece proprio dei forti esporsi ai pericoli.

Quindi la magnanimità non ha affinità con la fortezza, in modo da potersi dire una sua parte.

3. La magnanimità ha di mira ciò che è grande tra i beni sperabili, mentre la fortezza ha di mira ciò che è grande tra i mali temibili, o affrontabili.

Ora, il bene è superiore al male.

Quindi la magnanimità è una virtù superiore alla fortezza.

E così non è una sua parte [ potenziale ].

In contrario:

Macrobio [ Sup. Somn. Scip. 1,8 ] e Andronico [ De affect. ] pongono la magnanimità tra le parti della fortezza.

Dimostrazione:

Come dicemmo sopra [ I-II, q. 61, aa. 3,4 ], una virtù è principale se applica uno dei caratteri generali delle virtù in una materia principale.

Ora, uno dei caratteri generali delle virtù è la fermezza d'animo: poiché il comportamento fermo è richiesto in qualsiasi virtù, come dice Aristotele [ Ethic. 2,4 ].

Però questo viene apprezzato specialmente in quelle virtù che mirano a qualcosa di arduo, in cui è assai difficile mantenere la fermezza.

Perciò quanto più è difficile mantenersi fermi in qualcosa di arduo, tanto più è principale la virtù che dà all'animo tale fermezza.

Ora, è più difficile mantenersi fermi nei pericoli di morte, in cui spetta alla fortezza dare fermezza d'animo, che nello sperare e nel conseguire i più grandi beni, in cui dare tale fermezza spetta alla magnanimità: poiché l'uomo rifugge al sommo i pericoli di morte, come ama al sommo la propria vita.

Perciò è evidente che la magnanimità coincide con la fortezza in quanto entrambe danno fermezza d'animo in qualcosa di arduo; tuttavia non ne raggiunge la natura, poiché dà la fermezza d'animo in cose dove è più facile mantenerla.

Quindi la magnanimità è posta tra le parti della fortezza, poiché si aggiunge ad essa come una virtù secondaria alla principale.

Analisi delle obiezioni:

1. Come insegna il Filosofo [ Ethic. 5, cc. 1,3 ], « l'assenza di un male è considerato come un bene ».

Perciò il non lasciarsi sopraffare da un grave male, p. es. dai pericoli di morte, viene considerato come la conquista di un grande bene: ora, la prima cosa spetta alla fortezza, la seconda alla magnanimità.

Da questo lato dunque la fortezza e la magnanimità possono identificarsi.

Siccome però è diversa la obiezioni che le due cose presentano, parlando a rigore di termini Aristotele [ Ethic. 2,7 ] distingue la magnanimità dalla fortezza.

2. Si dice che ama i pericoli chi vi si espone indiscriminatamente.

E ciò è proprio di chi indifferentemente stima grandi molte cose, il che è incompatibile con la magnanimità: infatti nessuno si espone a dei pericoli per ciò che non considera grande.

Ora, il magnanimo si espone con somma prontezza ai pericoli per cose che sono veramente grandi: poiché egli nella fortezza mira a ciò che è grande, come anche negli atti delle altre virtù.

Perciò il Filosofo spiega che il magnanimo non è microkìndunos, cioè « pronto a esporsi nelle cose piccole », ma megalokìndunos, cioè « pronto a esporsi nelle cose grandi ».

E Seneca [ l. cit. ] scrive: « Sarai magnanimo se non cercherai i pericoli come il temerario, né li paventerai come il pauroso: poiché nulla rende l'animo pauroso se non la coscienza di una vita riprovevole ».

3. Il male in quanto tale è da fuggirsi; e il fatto di doverlo subire con costanza è voluto indirettamente, cioè in quanto bisogna subirlo per salvaguardare il bene.

Invece il bene è desiderabile per se stesso; e il fatto di dover rinunziare ad esso è voluto solo indirettamente, in quanto cioè si ritiene che esso superi la capacità di chi lo desidera.

Ora, ciò che è voluto per se, o direttamente, è più importante di ciò che è voluto per accidens, o indirettamente.

Perciò la fermezza d'animo è più richiesta di fronte all'arduità del male che di fronte all'arduità del bene.

E così la virtù della fortezza è principale rispetto alla magnanimità: pur essendo infatti il bene principale rispetto al male, tuttavia il male è principale sotto l'aspetto dell'arduità.

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