Summa Teologica - II-II

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Articolo 5 - Se le specie dell'ira siano ben determinate dal Filosofo

I-II, q. 46, a. 8; In 4 Ethic., lect. 13

Pare che il Filosofo non abbia ben determinato le specie dell'ira, là dove dice [ Ethic. 4,5 ] che tra gli iracondi alcuni sono « acuti », altri « amari », altri « difficili », o « implacabili ».

Infatti:

1. Secondo lui [ ib. ] « amari sono quelli la cui ira stenta a placarsi e rimangono adirati per molto tempo ».

Ma ciò rientra nella circostanza del tempo.

Quindi anche dalle altre circostanze si possono desumere altre specie dell'ira.

2. Inoltre egli chiama « difficili, o implacabili, quelli che non si placano se non dopo aver castigato o punito ».

Ma anche questo aspetto rientra nella durata dell'ira.

Perciò i difficili e gli amari si identificano.

3. Il Signore indica tre gradi dell'ira con quelle tre espressioni evangeliche [ Mt 5,22 ]: « Chiunque si adira con il proprio fratello »; « Chi dice al suo fratello: Stupido », « Chi dice al suo fratello: Pazzo ».

Ma questi tre gradi non si accordano con le specie indicate.

Quindi la suddetta divisione dell'ira non è accettabile.

In contrario:

S. Gregorio Nisseno [ Nemesio, De nat. hom. 21 ] afferma che « tre sono le specie della collera », cioè: l'« ira biliosa », la « mania », o insania, e il « furore ».

E queste coincidono con le tre sopra indicate: poiché egli scrive che « l'ira biliosa è quella contraddistinta dal principio e dal moto », e che dal Filosofo [ l. cit. ] è attribuita agli « acuti »; per « mania » egli intende invece « l'ira persistente e inveterata », che il Filosofo [ ib. ] attribuisce agli « amari ».

Per furore infine intende « l'ira che aspetta il momento per colpire », e che il Filosofo [ ib. ] attribuisce ai « difficili ».

E la stessa divisione è ammessa dal Damasceno [ De fide orth. 2,16 ].

Quindi la distinzione del Filosofo è ben fondata.

Dimostrazione:

La suddetta distinzione può essere applicata o alla passione o anche allo stesso peccato di ira.

Ora, come essa si applichi alla passione dell'ira l'abbiamo già visto sopra [ I-II, q. 46, a. 8 ] nel trattato sulle passioni.

Ed è così soprattutto che parlano di essa Gregorio Nisseno e il Damasceno.

Ora però dobbiamo applicare la distinzione di quelle specie al peccato di ira, come fa il Filosofo.

Il disordine dell'ira può infatti derivare da due cose.

Primo, dal suo modo di nascere.

E ciò si riferisce agli acuti, i quali si adirano troppo presto, e per ogni sciocchezza.

- Secondo, dalla durata dell'ira, cioè dal fatto che dura troppo a lungo.

E ciò può avvenire in due modi.

In primo luogo per il fatto che la causa dell'ira, cioè l'ingiuria subìta, rimane troppo a lungo nella memoria: e da ciò alcuni concepiscono una tristezza persistente, per cui costoro sono a se stessi gravi e amari.

- In secondo luogo ciò può avvenire in rapporto alla vendetta, che alcuni bramano con ostinazione.

E allora abbiamo i difficili, o implacabili, che non depongono l'ira finché non si sono vendicati.

Analisi delle obiezioni:

1. Nelle specie suddette non si considera direttamente il tempo, ma la facilità ad adirarsi, o l'ostinazione nell'ira.

2. Sia gli amari che gli implacabili hanno un'ira persistente, ma per cause diverse.

Poiché gli amari hanno quest'ira persistente per la persistenza della tristezza, che essi tengono chiusa nel loro interno: e siccome non mostrano segni esterni di collera, non possono essere dissuasi dagli altri; né da se stessi desistono dall'ira se non perché il passare del tempo toglie la tristezza.

- Negli implacabili invece l'ira è persistente per un forte desiderio di vendetta.

Perciò essa non si esaurisce col tempo, ma solo con la punizione.

3. I gradi dell'ira a cui accenna il Signore non riguardano le sue varie specie, ma sono desunti dal procedere dell'atto umano.

Nel quale prima si concepisce qualcosa nel cuore.

E a ciò si riferiscono quelle parole: « Chiunque si adira con il proprio fratello ».

- In secondo luogo la cosa si manifesta esternamente con dei segni, prima ancora di passare all'atto.

E a ciò si riferiscono le parole: « Chi dice al suo fratello: Stupido », che è un'interiezione di rabbia.

- Il terzo grado si ha quando il peccato concepito interiormente produce degli effetti.

Ora, l'effetto dell'ira è il danno altrui sotto l'aspetto di vendetta.

Il danno minimo poi è quello che si produce solo con la lingua.

E a questo si riferiscono le parole evangeliche: « Chi dice al suo fratello: Pazzo ».

È evidente quindi che il secondo grado è più grave del primo, e il terzo più di entrambi.

Per cui se quel primo moto, nel caso di cui parla il Signore, è un peccato mortale, come si è detto [ a. 3, ad 2 ], molto più lo saranno gli altri due.

E così per ciascuno di essi vengono indicate le rispettive condanne.

In rapporto al primo si ha « il giudizio », che è meno grave: poiché, come nota S. Agostino [ De serm. in Dom. in monte 1,9.21 ], « nel giudizio è ancora ammessa la difesa ».

In rapporto al secondo invece si ha « il sinedrio », nel quale « i giudici si consultano sulla pena da infliggere ».

In rapporto al terzo infine si ha « la geenna del fuoco », che è la « condanna irreparabile ».

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