Summa Teologica - III

Indice

Articolo 2 - Se nel Verbo Incarnato l'unione sia avvenuta nella persona

In 3 Sent., d. 5, q. 1, a. 3; C. G., IV, c. 41; De unione, a. 1; In Philipp., c. 2, lect. 2

Pare che nel Verbo Incarnato l'unione non sia avvenuta nella persona.

Infatti:

1. La persona in Dio non è nulla di diverso dalla sua natura, come si è detto nella Prima Parte [ q. 39, a. 1 ].

Se dunque l'unione non è avvenuta nella natura, non è avvenuta neppure nella persona.

2. La natura umana non ha in Cristo meno dignità che in noi.

Ma la personalità implica dignità, come si è detto nella Prima Parte [ q. 29, a. 3, ad 2 ].

Dato quindi che la natura umana possiede in noi la propria personalità, tanto più la deve possedere in Cristo.

3. Secondo Boezio [ De duab. nat. 3 ], « la persona è una sostanza individuale di natura razionale ».

Ma il Verbo di Dio ha assunto una natura umana individuale: infatti « la natura universale non sussiste, ma è astratta », come dice il Damasceno [ De fide orth. 3,11 ].

Quindi la natura umana [ di Cristo ] ha la sua personalità.

L'unione dunque non è avvenuta nella persona.

In contrario:

Il Concilio di Calcedonia [ 2,5 ] dichiara: « Professiamo un solo e medesimo Figlio unigenito, il Signore nostro Gesù Cristo, non distinto o diviso in due persone ».

L'unione dunque del Verbo [ con la carne ] è avvenuta nella persona.

Dimostrazione:

La persona indica qualcosa di diverso dalla natura.

Infatti la natura significa « l'essenza specifica espressa dalla definizione ».

Ora, se l'essenza specifica esistesse da sola senza alcunché di aggiunto, non ci sarebbe bisogno di distinguere la natura dal supposito della natura, che è un individuo sussistente in essa, poiché ogni individuo sussistente in una natura si identificherebbe totalmente con la sua natura.

Invece in alcune realtà sussistenti si riscontrano degli aspetti che non appartengono alla natura specifica, vale a dire gli accidenti e i principi individuanti, come appare evidentissimo negli esseri composti di materia e forma.

In essi quindi la natura e il supposito differiscono anche realmente, non come realtà separate, ma perché il supposito implica la natura specifica e le altre proprietà non specificanti.

Per cui il supposito indica il tutto che possiede la natura specifica come sua parte formale e perfettiva.

E così nelle realtà composte di materia e forma la natura non può essere predicata del supposito: non diciamo infatti che quest'uomo è la sua umanità.

Se però una realtà non possiede proprietà distinte dalla specie o natura, come accade in Dio, allora il supposito e la natura non si distinguono tra loro realmente, ma solo secondo i nostri concetti: poiché con il termine « natura » indichiamo l'essenza, mentre con il termine « supposito » indichiamo la stessa natura in quanto sussistente.

Ora, quanto si è detto del supposito va inteso della persona nell'ambito delle creature razionali o intellettuali: poiché la persona non è altro che « una sostanza individuale di natura razionale », secondo la definizione di Boezio [ l. cit. nell'ob. 3 ].

Così dunque tutto ciò che si trova in una persona, sia che appartenga alla sua natura, sia che non vi appartenga, è unito ad essa nella persona.

Se dunque la natura umana non è unita al Verbo di Dio nella persona, non gli è unita in alcun modo.

Ma così si elimina totalmente la fede nell'incarnazione: il che significa distruggere tutta la fede cristiana.

Poiché dunque il Verbo ha la natura umana unita a sé, senza però che appartenga alla sua natura divina, ne consegue che l'incarnazione si è attuata nella persona del Verbo e non nella natura.

Analisi delle obiezioni:

1. Sebbene in Dio la natura e la persona non siano realmente distinte, tuttavia non hanno per noi il medesimo significato, come si è detto [ nel corpo ], poiché la persona indica la sussistenza.

Ora, essendo la natura umana unita al Verbo in modo che il Verbo sussista in essa senza che venga aggiunto qualcosa alla sua natura, o che questa venga mutata, ne segue che l'unione è avvenuta nella persona e non nella natura.

2. La personalità in tanto appartiene alla dignità e alla perfezione di un soggetto in quanto alla dignità e alla perfezione di questo appartiene il fatto di esistere per sé, il che viene espresso dal termine persona.

Ora, si riceve una maggiore dignità dall'esistere in un ente superiore che dall'esistere per se stessi.

Così la natura umana è più nobile in Cristo che in noi, poiché in noi, sussistendo per se stessa, ha la sua propria personalità, mentre in Cristo esiste nella persona del Verbo.

Come anche per una forma è ragione di dignità l'essere completiva della specie, e tuttavia la sensibilità è più nobile nell'uomo, per la sua unione a una forma completiva più alta, di quanto lo sia nei bruti, nei quali è una forma completiva.

3. Come dice il Damasceno [ l. cit. nell'ob. ], « il Verbo di Dio non assunse la natura umana universale, bensì una natura individuale »: altrimenti ogni uomo sarebbe il Verbo di Dio come lo è Cristo.

Tuttavia va ricordato che non ogni individuo di ordine sostanziale, anche se razionale, ha il carattere di persona, ma solo l'individuo che esiste per sé ( non invece quello che esiste in un supposito più perfetto ).

Per questo la mano di Socrate, pur essendo una parte individuale, non è tuttavia una persona, poiché non esiste per sé, ma in un essere più perfetto, cioè nel suo tutto.

Il che appare anche dalla definizione di persona come « sostanza individuale »: infatti la mano non è una sostanza completa, ma parte di una sostanza.

Sebbene quindi la natura umana [ di Cristo ] sia un individuo di ordine sostanziale, in quanto tuttavia non esiste per sé, ma in una individualità superiore, cioè nella persona del Verbo, conseguentemente non possiede una personalità propria.

E così l'unione è avvenuta nella persona.

Indice