Summa Teologica - III

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Articolo 3 - Se l'unione del Verbo Incarnato sia avvenuta nel supposito o ipostasi

In 3 Sent., d. 6, q. 1, a. 1, sol. 1, 2; d. 7, q. 1, a. 1; C. G., IV, cc. 38, 39; De unione, a. 2; C. err. Graec., c. 20; De rat. fidei, c. 6; Comp. Theol., cc. 210, 211; Quodl., 9, q. 2, a. 1; In Ioan., c. 1, lect. 7

Pare che l'unione del Verbo Incarnato non sia avvenuta nel supposito o ipostasi.

Infatti:

1. S. Agostino [ Enchir. cc. 35,38 ] dice: « La sostanza divina e la sostanza umana sono ambedue il medesimo e unico Figlio di Dio: ma una cosa [ aliud ] a motivo del Verbo e un'altra [ aliud ] a motivo dell'uomo ».

E anche il Papa S. Leone [ Epist. 28,4 ] scrive: « L'una delle due cose risplende per i miracoli, l'altra soccombe alle ingiurie ».

Ma tutte le cose che si contrappongono [ come aliud et aliud ] differiscono come suppositi.

Quindi nell'incarnazione del Verbo non c'è unità di supposito.

2. L'ipostasi non è altro che « una sostanza particolare », come scrive Boezio [ De duab. nat. 3 ].

Ma è chiaro che in Cristo esiste qualche altra sostanza particolare oltre all'ipostasi del Verbo, cioè il corpo, l'anima e il loro composto.

Quindi in Cristo c'è un'altra ipostasi, oltre a quella del Verbo.

3. L'ipostasi del Verbo non è compresa in alcun genere o specie, come risulta da quanto si è detto nella Prima Parte [ q. 3, a. 5; q. 30, a. 4, ad 3 ].

Invece Cristo come uomo è compreso nella specie umana: scrive infatti Dionigi [ De div. nom. 1 ] che « è apparso nella nostra natura colui che essenzialmente sorpassa ogni ordine creato in ogni suo aspetto ».

Ma non è compresa nella specie umana se non una determinata ipostasi della medesima.

Perciò in Cristo c'è un'altra ipostasi, oltre a quella del Verbo di Dio.

In contrario:

Il Damasceno [ De fide. orth. 3,4 ] scrive: « Nel Signore nostro Gesù Cristo riconosciamo due nature, ma una sola ipostasi ».

Dimostrazione:

Alcuni, ignorando i rapporti tra ipostasi e persona, sebbene concedessero in Cristo una sola persona, ammisero tuttavia un'ipostasi divina e un'altra umana, quasi che l'unione implicasse unità di persona, ma non di ipostasi.

Il che è erroneo per tre motivi.

Primo, perché la persona non aggiunge all'ipostasi se non la qualificazione della natura, cioè la razionalità, essendo la persona, come dice Boezio [ De duab. nat. 3 ], « una sostanza individuale di natura razionale ».

Perciò attribuire un'ipostasi propria alla natura umana in Cristo è lo stesso che attribuirle una persona propria.

Per questo i santi Padri, nel Quinto Concilio celebrato presso Costantinopoli [ 8,5 ], condannarono entrambe le asserzioni dicendo: « Se qualcuno tenterà di introdurre nel mistero di Cristo due sussistenze o due persone, sia scomunicato, poiché la Trinità santa non ha ricevuto una persona o una sussistenza in più per l'incarnazione della persona divina del Verbo ».

Ma sussistenza è lo stesso che realtà sussistente, ed è proprio dell'ipostasi essere tale, come spiega Boezio [ l. cit. ].

Secondo, perché supposto che la persona aggiunga all'ipostasi un elemento valido per l'unione, esso non sarebbe altro che una proprietà riguardante la dignità propria della persona, essendo questa definita da alcuni come « un'ipostasi il cui carattere distintivo è la dignità ».

Se dunque l'incarnazione è un'unità di persona e non di ipostasi, ciò significa che l'unione non è stata attuata se non per un legame di dignità.

E questo è l'errore condannato da S. Cirillo con l'approvazione del Concilio di Efeso [ 1,26,3 ]: « Se qualcuno nell'unico Cristo divide dopo l'incarnazione le sussistenze dicendole unite solo nella dignità o nell'autorità o nella potenza, senza ammettere l'unione naturale, costui sia scomunicato ».

Terzo, perché soltanto all'ipostasi si attribuiscono le operazioni, le proprietà naturali e tutte le cose che spettano alla natura in concreto: diciamo infatti che quest'uomo ragiona, ride, è un animale ragionevole.

Ed è per tale motivo che quest'uomo viene detto supposito, in quanto cioè si « sottopone » a tutte le cose che sono proprie dell'uomo, ricevendone l'attribuzione.

Se dunque ci fosse in Cristo un'altra ipostasi oltre all'ipostasi del Verbo, ne conseguirebbe che ciò che è proprio della natura umana, come l'essere nato dalla Vergine, l'avere patito, l'essere stato crocifisso e sepolto, si sarebbe compiuto in un soggetto distinto dal Verbo.

E anche questo errore è stato condannato nel Concilio di Efeso [ ib., anath. 4 ]: « Se qualcuno attribuisce a due persone o sussistenze le parole delle Scritture evangeliche e apostoliche dette di Cristo, o dagli agiografi o da lui stesso, e alcune le applica all'uomo, inteso come distinto dal Verbo di Dio, altre invece al solo Verbo del Padre, perché degne di Dio, costui sia scomunicato »

Così dunque risulta che è un'eresia condannata da tempo porre in Cristo due ipostasi o due suppositi, oppure negare che l'incarnazione sia avvenuta nell'unità dell'ipostasi o supposito.

Nel medesimo Concilio [ ib., anath. 2 ] perciò si legge: « Se qualcuno non riconosce che il Verbo di Dio Padre, unito alla carne secondo la sussistenza, è con la sua carne un unico Cristo, cioè un unico uomo-Dio, sia scomunicato ».

Analisi delle obiezioni:

1. Come una differenza accidentale viene espressa in latino con il pronome alter [ diverso qualitativamente ], così una differenza essenziale viene espressa con il pronome aliud [ un'altra cosa ].

Ora, è certo che nelle creature un'alterazione accidentale può compiersi in una medesima ipostasi, poiché essa può accogliere diversi accidenti rimanendo numericamente identica; non accade invece fra le realtà create che una cosa, rimanendo numericamente la stessa, possa sussistere in essenze o nature diverse.

Come quindi nelle realtà create alter et alter non significa diversità di suppositi, ma solo diversità di forme accidentali, così aliud et aliud in Cristo non comporta diversità di suppositi o di ipostasi, ma diversità di nature.

Da cui le parole di S. Gregorio Nazianzeno [ Epist. 101 ]: « Le realtà di cui è costituito il Salvatore sono aliud et aliud, ma non alius et alius [ cioè due soggetti distinti ].

Dico aliud et aliud, al contrario di quanto si verifica nella Trinità.

In essa infatti diciamo alius et alius, per non confondere le sussistenze [ o persone ], ma non possiamo dire aliud et aliud ».

2. L'ipostasi indica una sostanza particolare non in qualsiasi modo, ma in quanto è nella sua completezza.

Ora, quando una tale sostanza viene a far parte di un essere già completo, come avviene per la mano o per il piede, non può dirsi ipostasi.

Parimenti la natura umana in Cristo, sebbene sia una sostanza particolare, tuttavia, venendo a far parte di un essere completo, cioè di tutto Cristo in quanto Dio e uomo, non può dirsi ipostasi o supposito, ma si dice ipostasi o supposito quel tutto completo di cui fa parte.

3. Anche nel mondo creato le singole cose vengono classificate in un genere o in una specie non in ragione della loro individualità, ma in ragione della loro natura, che dipende dalla forma; mentre l'individuazione dipende piuttosto dalla materia, nelle realtà composte.

Così dunque diciamo che Cristo appartiene alla specie umana in ragione della natura assunta, non in ragione della sua ipostasi.

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