Summa Teologica - III

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Articolo 4 - Se gli effetti del sacerdozio di Cristo riguardino non solo gli altri, ma anche lui stesso

Pare che gli effetti del sacerdozio di Cristo riguardino non solo gli altri, ma anche lui stesso.

Infatti:

1. È ufficio del sacerdote pregare per il popolo, come si legge nella Scrittura [ 2 Mac 1,23 ]: « I sacerdoti si posero in preghiera mentre il sacrificio veniva consumato ».

Ora, Cristo non ha pregato solo per gli altri, ma anche per se stesso, come si è detto sopra [ q. 21, a. 3 ] e come espressamente ricorda S. Paolo [ Eb 5,7 ]: « Nei giorni della sua vita terrena offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo dalla morte ».

Quindi il sacerdozio di Cristo ebbe effetto non solo per gli altri, ma anche per lui stesso.

2. Cristo offrì il sacrificio di se stesso nella sua passione.

Ma con la sua passione non meritò soltanto per gli altri, bensì anche per sé, come si è visto sopra [ q. 19, aa. 3,4 ].

Quindi il sacerdozio di Cristo ebbe efficacia non solo negli altri, ma anche in lui stesso.

3. Il sacerdozio dell'antica legge era figura del sacerdozio di Cristo.

Ora, il sacerdote dell'antica legge offriva il sacrificio non solo per gli altri, ma anche per se stesso: si legge infatti nel Levitico [ Lv 16,17 ] che « il pontefice dovrà entrare nel santuario per farvi il rito espiatorio per sé, per la sua casa e per tutta la comunità d'Israele ».

Quindi anche il sacerdozio di Cristo ebbe effetto non soltanto negli altri, ma anche in lui stesso.

In contrario:

Negli atti del Concilio di Efeso [ 1,26,10 ] si legge: « Se qualcuno dice che Cristo offrì il sacrificio per sé e non piuttosto per noi soltanto ( poiché non aveva bisogno di sacrificio lui, che non conosce il peccato ), sia scomunicato ».

Ma l'ufficio del sacerdote è principalmente quello di offrire il sacrificio.

Quindi il sacerdozio di Cristo non ebbe effetto per lui stesso.

Dimostrazione:

Come si è detto [ a. 1 ], il sacerdote è l'intermediario fra Dio e il popolo.

Ora, ha bisogno di un intermediario presso Dio colui che non può accostarsi a Dio da se stesso: e costui sottostà all'efficacia del sacerdozio ricevendone gli effetti.

Ma questo non è il caso di Cristo: dice infatti l'Apostolo [ Eb 7,25 ] che « egli si avvicina a Dio da se stesso, sempre vivo per intercedere a nostro favore ».

Perciò a Cristo non compete il ricevere in sé gli effetti del sacerdozio, ma piuttosto il comunicarli agli altri.

Infatti in ogni ordine di cose il primo agente influisce senza nulla ricevere in quell'ordine: come il sole illumina e non viene illuminato, il fuoco scalda e non viene scaldato.

Ora, Cristo è la fonte di ogni sacerdozio: poiché il sacerdote dell'antica legge era la figura di lui, e quello della nuova legge agisce in suo nome, secondo l'affermazione di S. Paolo [ 2 Cor 2,10 ]: « Anch'io ciò che ho perdonato, se ho perdonato qualcosa, l'ho fatto per voi, in persona di Cristo ».

A Cristo dunque non spetta ricevere gli effetti del sacerdozio.

Analisi delle obiezioni:

1. Sebbene la preghiera si addica ai sacerdoti, non è tuttavia il loro compito esclusivo, dato che a tutti spetta di pregare per sé e per gli altri, come raccomanda S. Giacomo [ Gc 5,16 ]: « Pregate gli uni per gli altri per essere guariti ».

E così si potrebbe dire che la preghiera fatta da Cristo per sé non era un atto del suo sacerdozio.

Ma questa soluzione pare inaccettabile, poiché l'Apostolo, dopo aver detto [ Eb 5,6 ]: « Tu sei sacerdote in eterno secondo l'ordine di Melchisedech », continua: « Nei giorni della sua vita terrena offrì preghiere », ecc., per cui l'orazione di Cristo pare far parte del suo sacerdozio.

Diciamo allora che gli altri sacerdoti partecipano degli effetti del proprio sacerdozio non in quanto sacerdoti, ma in quanto peccatori, come si dirà in seguito.

Ora, Cristo era assolutamente senza peccato, sebbene avesse « la somiglianza del peccato nella carne », secondo l'espressione di S. Paolo [ Rm 8,3 ].

Non si può quindi dire che egli abbia partecipato agli effetti del suo sacerdozio in modo assoluto, ma solo in modo relativo, cioè per la passibilità della sua carne.

Da cui le precise parole dell'Apostolo: « a colui che poteva liberarlo dalla morte ».

2. Nel sacrificio di qualsiasi sacerdote si possono considerare due cose: il sacrificio stesso che viene offerto e la devozione dell'offerente.

Ora, l'effetto proprio del sacerdozio è quello che viene prodotto dal sacrificio, e d'altra parte Cristo meritò per sé nella sua passione non in forza del suo sacrificio espiatorio, ma per la devozione con la quale umilmente e amorosamente sopportò la passione.

3. La figura non può essere uguale alla realtà.

Perciò il sacerdote dell'antica legge, in quanto figura, non poteva essere tanto perfetto da non aver bisogno del sacrificio espiatorio.

Cristo invece non ne aveva bisogno.

Quindi il paragone non regge.

Ed è quanto dice l'Apostolo [ Eb 7,28 ]: « La legge costituisce sommi sacerdoti uomini soggetti all'umana debolezza, ma la parola del giuramento posteriore alla legge costituisce il Figlio, che è stato reso perfetto in eterno ».

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