Summa Teologica - III

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Articolo 5 - Se il sacerdozio di Cristo duri in eterno

In 3 Sent., d. 22, q. 1, a. 1, ad 3; In Hebr., c. 7, lect. 4

Pare che il sacerdozio di Cristo non duri in eterno.

Infatti:

1. Come si è detto [ a. prec., ad 1,3 ], hanno bisogno degli effetti del sacerdozio soltanto coloro che possono peccare, poiché il sacrificio sacerdotale espia i peccati.

Ma ciò non durerà per sempre.

Infatti nei santi non ci sarà più alcuna debolezza, secondo le parole di Isaia [ Is 60,21 ]: « Il tuo popolo sarà tutto di giusti », e d'altra parte per i peccatori non ci sarà più remissione, non essendoci redenzione nell'inferno.

Quindi il sacerdozio di Cristo non sarà eterno.

2. Il sacerdozio di Cristo ebbe la sua massima manifestazione nella sua passione e morte, quando « con il proprio sangue entrò nel santuario », come dice S. Paolo [ Eb 9,12 ].

Ma la passione e la morte di Cristo, dice ancora l'Apostolo [ Rm 6,9 ], non sono eterne: « Cristo, risorto dai morti, non muore più ».

Quindi il sacerdozio di Cristo non è eterno.

3. Cristo è sacerdote non in quanto Dio, ma in quanto uomo.

Ora, per un certo tempo Cristo non fu uomo, cioè nel triduo della sua morte.

Quindi il sacerdozio di Cristo non è perpetuo.

In contrario:

Nei Salmi [ Sal 110,4 ] si legge: « Tu sei sacerdote per sempre ».

Dimostrazione:

Nell'ufficio sacerdotale possiamo considerare due aspetti: primo, la celebrazione stessa del sacrificio; secondo, il risultato del sacrificio, che consiste nel conseguimento della sua finalità da parte di coloro per i quali esso viene offerto.

Ora, il fine del sacrificio di Cristo non furono i beni temporali, ma quelli eterni, che noi otteniamo attraverso la sua morte, per cui « Cristo è sommo sacerdote dei beni futuri » [ Eb 9,11 ]; ragione per cui si dice che il suo sacerdozio è eterno.

E tale risultato del sacrificio di Cristo era prefigurato dal fatto che il pontefice dell'antica legge entrava una volta all'anno nel Santo dei santi con il sangue di un capro e di un vitello, come si legge nel Levitico [ Lv 16,11ss ], però dopo averli immolati fuori, non nello stesso Santo dei santi.

E similmente Cristo entrò nel Santo dei santi, cioè nel cielo, e aprì a noi la via affinché vi entriamo in virtù del suo sangue, che egli versò per noi sulla terra.

Analisi delle obiezioni:

1. I santi del cielo non avranno più bisogno di ottenere il perdono per il sacerdozio di Cristo, ma ormai purificati avranno bisogno di essere portati alla perfezione dallo stesso Cristo, poiché da lui dipende la loro gloria, come dice l'Apocalisse [ Ap 21,23 ]: « La gloria di Dio la illumina », cioè la città dei santi, « e la sua lampada è l'Agnello ».

2. Sebbene la passione e morte di Cristo non debba più ripetersi, tuttavia la virtù di tale sacrificio dura in eterno, poiché come dice S. Paolo [ Eb 10,14 ] « con un'unica oblazione ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati ».

3. Così è risolta anche la terza obiezioni.

L'unità poi del sacrificio di Cristo era figurata nell'antica legge dal fatto che il pontefice entrava nel santuario per la solenne offerta del sangue una volta all'anno soltanto, come si legge nel Levitico [ Lv 16 ].

Ma la figura rimaneva al di sotto della realtà, dato che il sacrificio antico non aveva un'efficacia perpetua, per cui ogni anno lo si doveva ripetere.

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