Summa Teologica - III

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Articolo 5 - Se Cristo dovesse mostrare la realtà della risurrezione con delle prove

In 3 Sent., d. 21, q. 2, a. 3; Comp. Theol., c. 238

Pare che Cristo non dovesse mostrare la realtà della risurrezione con delle prove.

Infatti:

1. S. Ambrogio [ De fide ad Grat. 1,5 ] ha scritto: « Togli le prove dove si richiede la fede ».

Ma per la risurrezione di Cristo si richiede la fede.

Quindi non c'è posto per le prove.

2. S. Gregorio [ In Evang. hom. 26 ] insegna: « La fede non ha merito se la ragione umana fornisce delle esperienze ».

Ora, Cristo non aveva il compito di eliminare il merito della fede.

Quindi egli non doveva confermare la risurrezione con delle prove.

3. Cristo è venuto nel mondo perché gli uomini conseguissero la beatitudine, secondo quelle parole [ Gv 10,10 ]: « Io sono venuto perché abbiano la vita, e l'abbiano in abbondanza ».

Ora, mediante le suddette manifestazioni si produce un impedimento alla beatitudine umana, poiché il Signore stesso [ Gv 20,29 ] ha affermato: « Beati quelli che pur non avendo visto crederanno ».

Pare quindi che Cristo non dovesse manifestare con delle prove la sua risurrezione.

In contrario:

Nella Scrittura [ At 1,3 ] si legge che « egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni e parlando del regno di Dio ».

Dimostrazione:

Il termine prova può avere due significati.

Talora infatti indica « qualsiasi ragione che fa fede in una materia dubbia » [ Cic., Top. 2 ].

Talora invece indica qualsiasi segno sensibile addotto per mostrare la verità di una cosa: come anche Aristotele alcune volte parla di prove in questo senso nei suoi libri.

Stando dunque al primo significato, Cristo non dimostrò la sua risurrezione con delle prove.

Poiché una simile dimostrazione argomentativa parte da alcuni princìpi: che però se non fossero stati noti ai discepoli non sarebbero stati in grado di dimostrare nulla, poiché nulla può essere reso noto partendo dall'ignoto; e che d'altra parte se fossero stati loro noti non avrebbero oltrepassato la ragione umana, per cui non sarebbero stati in grado di dimostrare la fede nella risurrezione, che sorpassa tale ragione: poiché nella dimostrazione i princìpi devono essere dello stesso ordine, come insegna Aristotele [ Anal. post. 1,7 ].

- Cristo invece provò ad essi la sua risurrezione con l'autorità della Sacra Scrittura, che è il fondamento della fede, quando disse [ Lc 24,44 ]: « Bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi ».

Se invece il termine prova viene preso nel secondo significato, allora si deve dire che Cristo manifestò la sua risurrezione con delle prove, in quanto mostrò con alcuni segni evidentissimi che era veramente risuscitato.

Per cui anche nel testo greco, là dove si parla di « molte prove », al posto di « prova » troviamo il termine tekmerion, che indica « un segno evidente per provare ».

Ora, Cristo si servì di segni di questo genere per dimostrare la sua risurrezione ai discepoli per due motivi.

Primo, perché i loro cuori non erano disposti a credere facilmente alla risurrezione.

Per cui egli stesso così li rimprovera [ Lc 24,25 ]: « O stolti e tardi di cuore a credere ».

E in S. Marco [ Mc 16,14 ] si dice che « li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore ».

- Secondo, per rendere con tali segni più efficace la loro testimonianza, secondo le parole di S. Giovanni [ 1 Gv 1,1s ]: « Noi rendiamo testimonianza di ciò che abbiamo visto con i nostri occhi, e udito e toccato con le nostre mani ».

Analisi delle obiezioni:

1. S. Ambrogio in quel testo parla delle prove elaborate dalla ragione umana, che non hanno valore per dimostrare le verità della fede, come si è detto [ nel corpo ].

2. Il merito della fede sta nel fatto che si crede ciò che non si vede, basandosi su un comando divino.

Perciò escludono il merito quelle sole ragioni che fanno vedere scientificamente ciò che è proposto alla fede.

E tali sono le ragioni dimostrative.

Ma Cristo per mostrare la sua risurrezione non ricorse a ragioni di questo genere.

3. Come si è già notato [ a. 2 ], il merito che rende beato chi possiede la fede viene escluso totalmente solo dal fatto che uno non vuol credere se non ciò che vede; il fatto invece che uno, per dei segni evidenti, creda ciò che non vede, non elimina completamente la fede e il merito.

È questo il caso di Tommaso, a cui il Signore disse [ Gv 20,29 ]: « Perché mi hai veduto, hai creduto »; ma « una cosa egli vide e un'altra credette » [ Greg., In Evang. hom. 26 ]: vide le ferite e credette Dio.

Però ha una fede più perfetta chi non richiede tali prove per credere.

E così il Signore, per rimproverare alcuni della loro poca fede, ebbe a dire [ Gv 4,48 ]: « Se non vedete segni e prodigi, non credete ».

Dal che si arguisce che quanti sono pronti a credere alla rivelazione divina anche senza quei segni sono beati rispetto a quelli che non crederebbero senza di essi.

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