Summa Teologica - III

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Articolo 4 - Se il sacerdote consacrante sia tenuto a comunicarsi

In 4 Sent., d. 10, q. 1, a. 4, sol. 3, ad 2; d. 12, q. 3, a. 2, sol. 2

Pare che il sacerdote consacrante non sia tenuto a comunicarsi.

Infatti:

1. Nelle altre consacrazioni chi consacra la materia non ne fa uso: il vescovo, p. es., che consacra il crisma, non viene unto con esso.

Ma l'Eucaristia consiste nella consacrazione della materia.

Quindi il sacerdote che consacra questo sacramento non ha l'obbligo di farne uso, ma può lecitamente astenersi dalla comunione.

2. Negli altri sacramenti il ministro non dà il sacramento a se stesso: infatti nessuno può battezzare se stesso, come si disse sopra [ q. 66, a. 5, ad 4 ].

Ora, come c'è un ordine determinato nel conferimento del battesimo, così anche in quello dell'Eucaristia.

Quindi il sacerdote che consacra questo sacramento non deve assumerlo lui stesso.

3. Accade qualche volta per miracolo che il corpo di Cristo appaia sull'altare sotto forma di carne e il sangue sotto forma di sangue, cose non adatte a essere prese come cibo e bevanda: per cui, come si è detto sopra [ q. 75, a. 5 ], esse vengono offerte sotto un'altra specie per non suscitare orrore in chi le riceve.

Quindi il sacerdote consacrante non sempre è tenuto ad assumere questo sacramento.

In contrario:

In un Concilio di Toledo riferito dai Canoni [ Decr. di Graz. 3,2,11 ] si legge: « In modo assoluto si deve tener fermo che il sacrificante, tutte le volte che immola il corpo e il sangue del Signore nostro Gesù Cristo sull'altare, altrettante volte partecipi di quel corpo e di quel sangue ».

Dimostrazione:

L'Eucaristia, come si è detto sopra [ q. 79, aa. 5,7 ], è non soltanto sacramento, ma anche sacrificio.

Ora, chiunque offre un sacrificio deve farsene partecipe.

Poiché il sacrificio offerto esternamente è il segno del sacrificio interiore con il quale uno offre se stesso a Dio, come nota S. Agostino [ De civ. Dei 10, cc. 5,6 ].

Partecipando quindi al sacrificio, uno mostra che il sacrificio lo impegna interiormente.

Inoltre, per il fatto di dispensare al popolo il sacrificio, il sacerdote mostra di essere dispensatore delle cose divine.

Ma di queste egli stesso per primo deve farsi partecipe, come insegna Dionigi [ De eccl. hier. 3,3,14 ].

Quindi egli stesso deve comunicarsi prima di comunicare gli altri.

Da cui le altre parole del Decreto [ cf. s. c. ]: « Che sacrificio sarebbe quello di cui non si facesse partecipe nemmeno il sacrificante? ».

Ma questi in tanto se ne fa partecipe in quanto si comunica, secondo il passo dell'Apostolo [ 1 Cor 10,18 ]: « Quelli che mangiano le vittime sacrificali non sono forse in comunione con l'altare? ».

Perciò è necessario che il sacerdote, ogni volta che consacra, riceva questo sacramento nella sua integrità.

Analisi delle obiezioni:

1. La consacrazione del crisma, o di qualunque altra materia, non è un sacrificio come la consacrazione dell'Eucaristia.

Quindi il paragone non regge.

2. Il sacramento del battesimo si compie nell'uso stesso della materia.

Quindi nessuno può battezzare se stesso, poiché in un sacramento non può la medesima persona essere agente e paziente.

Anche nell'Eucaristia infatti il sacerdote non consacra se stesso, ma il pane e il vino, nella quale consacrazione si compie appunto il sacramento.

La comunione invece è successiva al sacramento stesso.

Perciò il paragone non regge.

3. Se il corpo di Cristo appare miracolosamente sull'altare sotto forma di carne, e il suo sangue sotto forma di sangue, non deve essere consumato.

Osserva infatti S. Girolamo [ Orig., In Lv 7, su 10,8 ]: « Di quest'ostia che mirabilmente viene consacrata in commemorazione di Cristo possiamo mangiare, ma di quella che Cristo offrì sull'altare della Croce nelle sembianze proprie a nessuno è lecito cibarsi ».

E così facendo il sacerdote non trasgredisce alcuna norma, poiché i fatti miracolosi non hanno legge.

- Tuttavia il sacerdote dovrebbe provvedere a consacrare di nuovo il corpo e il sangue del Signore e a comunicarsi.

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