Supplemento alla III parte

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Articolo 2 - Se sia bene dolersi continuamente dei peccati

Pare che non sia bene dolersi continuamente dei peccati.

Infatti:

1. Talvolta è bene gioire, come risulta dall'esortazione dell'Apostolo [ Fil 4,4 ]: « Rallegratevi nel Signore sempre », a cui la Glossa [ ord. ] aggiunge che « è necessario rallegrarsi ».

Ma non è possibile rallegrarsi e addolorarsi nello stesso tempo.

Quindi non è bene dolersi sempre dei peccati.

2. Quanto è di per sé cattivo e repellente non va assunto se non nella misura in cui è necessario come rimedio a qualcosa, come è evidente nel caso della cauterizzazione e dell'amputazione.

Ora, la tristezza di per sé è cattiva, per cui la Scrittura [ Sir 30,22s ] raccomanda: « Non abbandonarti alla tristezza », e aggiunge il motivo: « Poiché la malinconia ha rovinato molti, e da essa non si ricava nulla di buono ».

E ciò è ribadito espressamente anche da Aristotele [ Ethic. 7,14; 10,5 ].

Quindi dei peccati non ci si deve affliggere più di quanto è sufficiente a cancellarli.

Ma subito dopo il primo atto di contrizione il peccato viene cancellato.

Quindi non è bene dolersene ulteriormente.

3. S. Bernardo [ In Ct 11 ] ha scritto: « Il dolore è buono se non è continuo: poiché all'assenzio bisogna mescolare il miele ».

Perciò pare che non sia bene avere un dolore continuo.

In contrario:

1. S. Agostino [ De vera et falsa poenit. 13 ] raccomanda: «I l penitente si dolga sempre, e goda del suo dolore ».

2. È bene continuare sempre, per quanto è possibile, quegli atti in cui consiste la beatitudine.

Ma tale è il dolore dei peccati, come risulta dal Vangelo [ Mt 5,5 ]: « Beati gli afflitti ».

Quindi è bene prolungare il dolore per quanto è possibile.

Dimostrazione:

Una delle caratteristiche degli atti di virtù sta nel fatto che in essi non si può riscontrare né eccesso né difetto, come spiega Aristotele [ Ethic. 2,6 ].

Essendo quindi la contrizione un atto della virtù della penitenza, quale dispiacere dell'appetito razionale essa non può ammettere un eccesso, né di intensità né di durata, se non nel caso in cui tale atto di virtù venga a impedire l'atto di un'altra virtù più necessaria in un dato momento.

Quindi quanto più uno insiste nell'atto di tale dispiacere, meglio è: purché egli compia a suo tempo gli atti delle altre virtù, quando sono richiesti.

Le passioni invece possono essere o esagerate o insufficienti sia per l'intensità che per la durata.

Per questo la passione del dolore assunta dalla volontà, come deve essere moderatamente intensa, così deve essere moderatamente prolungata: perché se durasse troppo l'uomo cadrebbe nella disperazione, nella pusillanimità e in altri vizi di questo genere.

Analisi delle obiezioni:

1. Il dolore della contrizione impedisce la gioia mondana, non però la gioia che viene da Dio, la quale ha per oggetto anche questo dolore.

2. La Scrittura qui parla della tristezza mondana.

E il Filosofo parla della passione della tristezza, di cui bisogna servirsi con moderazione, secondo che lo richiede il fine per cui la assumiamo.

3. S. Bernardo parla del dolore in quanto è una passione.

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