Supplemento alla III parte

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Articolo 1 - Se tutta la vita presente sia il tempo della contrizione

Pare che il tempo della contrizione non duri per tutta la vita presente.

Infatti:

1. Il peccato commesso condanna al dolore come condanna alla vergogna.

Ma la vergogna per il peccato non dura tutta la vita: poiché, come dice S. Ambrogio [ De poenit. 2,7 ], « non ha di che vergognarsi colui che ha conseguito il perdono del suo peccato ».

Quindi neppure la contrizione, che è il dolore dei peccati.

2. S. Giovanni [ 1 Gv 4,18 ] afferma che « l'amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo ».

Ora, anche il dolore suppone un castigo.

Quindi nello stato di carità perfetta non può rimanere la contrizione.

3. Del passato non ci può essere dolore, che propriamente è del male presente, se non in quanto qualcosa del male passato perdura attualmente.

Ma talora si giunge in questa vita a uno stato tale in cui non resta nulla dei peccati commessi: né la disposizione, né la colpa, né qualsiasi reato.

Quindi non occorre più sentirne dolore.

4. S. Paolo [ Rm 8,28 ] dichiara che « per coloro che amano Dio tutto concorre al bene »: anche i peccati, aggiunge la Glossa [ ord. ].

Perciò non è necessario, dopo la remissione dei peccati, dolersi di essi.

5. La contrizione è una parte della penitenza assieme alla soddisfazione.

Ma la soddisfazione non è richiesta di continuo.

Quindi neppure la contrizione.

In contrario:

1. S. Agostino [ De vera et falsa poenit. 13 ] scrive che « dove termina il dolore viene meno la penitenza; e dove manca la penitenza non rimane nulla del perdono ».

Poiché dunque bisogna non perdere il perdono ottenuto, è necessario dolersi continuamente del peccato.

2. Nella Scrittura [ Sir 5,5 ] si legge: « Non essere troppo sicuro del perdono ».

Quindi l'uomo deve sempre pentirsi per ottenere la remissione dei peccati.

Dimostrazione:

Nella contrizione si riscontrano due tipi di dolore: il primo, proprio della ragione, è la detestazione del peccato commesso; il secondo, proprio della parte sensitiva, deriva dal precedente.

Ora, la contrizione deve durare per tutto il tempo della vita presente secondo l'uno e l'altro dolore.

Infatti finché uno è nella vita presente è costretto a detestare gli ostacoli che impediscono o ritardano il suo cammino verso la meta.

Per cui essendo il corso della nostra vita verso Dio ritardato dalle colpe passate, poiché il tempo che ci era stato concesso per percorrerlo non può più essere ricuperato, è necessario che per tutto il tempo della vita presente rimanga lo stato di contrizione come detestazione del peccato.

E lo stesso si dica per il dolore sensibile, che è assunto dalla volontà come un castigo.

L'uomo infatti, avendo col peccato meritato una pena eterna, e avendo offeso l'eterno Dio, quando la pena eterna gli viene commutata in pena temporale deve per lo meno conservare il dolore « nella sua eternità di uomo », ossia per tutto il corso della vita.

Per questo Ugo di S. Vittore afferma che Dio, sciogliendo l'uomo dalla colpa e dalla pena eterna, lo lega con il vincolo della perpetua detestazione del peccato.

Analisi delle obiezioni:

1. La vergogna è legata al peccato solo in quanto esso implica turpitudine.

Per cui una volta rimessa la colpa non c'è più posto per la vergogna.

Rimane invece sempre posto per il dolore, il quale si riferisce alla colpa non solo per la sua turpitudine, ma anche per quanto ha di nocivo.

2. Il timore servile che la carità estromette è incompatibile con la carità a motivo della sua servilità, che si riferisce alla pena.

Ma il dolore della contrizione è causato dalla carità, come si è visto sopra [ q. 3, a. 1, s. c. 1 ].

Quindi il paragone non regge.

3. Sebbene con la penitenza il peccatore torni in possesso della grazia precedente e diventi immune dal reato della pena, tuttavia non ritorna mai alla iniziale dignità dell'innocenza.

E così rimane sempre in lui qualcosa dei peccati commessi.

4. Come non si deve « fare il male perché ne venga un bene » [ Rm 3,2 ], così non si deve godere del male perché da esso, per l'influsso della divina provvidenza, occasionalmente ne viene un bene: poiché di quel bene i peccati non sono stati causa, ma piuttosto impedimento.

Fu invece la divina provvidenza a causarlo: e di essa l'uomo deve godere, mentre deve addolorarsi del passato.

5. La soddisfazione si riferisce alla pena determinata che deve essere imposta per i peccati.

Quindi essa può avere un termine, così che non si debba soddisfare ulteriormente.

Tale pena però va proporzionata alla colpa soprattutto sotto l'aspetto della conversione [ alla creatura ], da cui il peccato trae la sua finitezza; il dolore della contrizione invece si riferisce alla colpa sotto l'aspetto dell'allontanamento [ da Dio ], da cui il peccato trae una certa infinità.

Quindi la vera contrizione deve durare sempre.

E non c'è inconveniente alcuno se essa rimane mentre la soddisfazione viene a cessare.

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