Supplemento alla III parte

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Articolo 4 - Se il sacerdote possa legare e sciogliere arbitrariamente

Pare che il sacerdote possa legare e sciogliere arbitrariamente.

Infatti:

1. S. Girolamo [ Decr. di Graz. 2,33,3,1,86 ] afferma: « I canoni non determinano con precisione per ogni colpa la durata della penitenza, dicendo come ognuna di esse debba essere espiata, ma piuttosto stabiliscono che ciò venga lasciato all'arbitrio di un sacerdote intelligente ».

Sembra quindi che costui possa legare e sciogliere secondo il suo arbitrio.

2. Il Signore [ Lc 16,5ss ] « lodò il fattore infedele perché aveva agito con scaltrezza », condonando con larghezza ai debitori del suo padrone.

Ora, Dio è più disposto alla misericordia di qualsiasi padrone umano.

Perciò più uno è largo nel condonare la pena, più merita lode.

3. « Ogni atto di Cristo è un insegnamento per noi ».

Ora, egli a certi peccatori non impose alcuna penitenza, ma solo l'emenda: come è evidente nel caso dell'adultera riferito da S. Giovanni [ Gv 8,11 ].

Quindi anche il sacerdote, che fa le veci di Cristo, può rimettere a suo arbitrio la pena, o tutta o in parte.

In contrario:

1. S. Gregorio VII [ Decr. di Graz. 2,33,3,5,6 ] afferma: « Diciamo falsa quella penitenza che non è imposta in base alla qualità delle colpe secondo l'insegnamento dei santi Padri ».

Perciò la penitenza non è lasciata del tutto all'arbitrio del sacerdote.

2. Nell'esercizio delle chiavi si richiede la discrezione.

Ma se dipendesse solo dalla volontà del sacerdote condonare o imporre la gravità della penitenza, la discrezione non sarebbe necessaria: poiché in tale atto non ci potrebbe mai essere indiscrezione.

Quindi ciò non va lasciato totalmente all'arbitrio del sacerdote.

Dimostrazione:

Il sacerdote nell'uso delle chiavi agisce come strumento e ministro di Dio.

Ora, nessuno strumento ha efficacia se non in quanto è mosso dall'agente principale.

Per cui Dionigi [ De eccl. hier. 7,3,7 ] afferma che « i sacerdoti devono servirsi dei poteri gerarchici quando sono mossi dalla divinità ».

E per indicare questa dipendenza il Vangelo [ Mt 16,17 ], prima della consegna delle chiavi a Pietro, ricorda la rivelazione a lui fatta della divinità [ di Cristo ]; e prima del conferimento di questo potere agli Apostoli ricorda [ Gv 20,22 ] l'effusione dello Spirito Santo, dal quale « sono mossi i figli di Dio ».

Se uno quindi presumesse di servirsi del proprio potere prescindendo da quella mozione divina non raggiungerebbe l'effetto, come afferma Dionigi [ l. cit. ].

Inoltre egli si scosterebbe così dall'ordine divino, e incorrerebbe in una colpa.

E poiché le pene o penitenze soddisfattorie vanno inflitte quali rimedi medicinali, come nell'arte medica le diverse medicine non si addicono a tutti gli infermi, ma devono essere variate secondo l'arbitrio di un medico il quale segua non il suo arbitrio, ma la scienza della medicina, così le penitenze determinate nei canoni non si addicono a tutti i penitenti, ma devono essere variate secondo l'arbitrio del sacerdote regolato dall'ispirazione di Dio.

Come quindi talora il medico si astiene prudentemente dal dare una medicina efficace per curare una malattia affinché non insorga un pericolo più grave a causa della debilitazione fisica del paziente, così il sacerdote mosso dall'ispirazione divina non sempre impone tutta la penitenza dovuta per un dato peccato affinché il penitente spiritualmente infermo non disperi a motivo della gravità della pena, e si ritragga così del tutto dalla penitenza.

Analisi delle obiezioni:

1. Tale arbitrio deve essere regolato dall'ispirazione divina.

2. Il fattore viene lodato anche perché « aveva agito con scaltrezza [ prudenter ] ».

Quindi nel rimettere la pena dovuta ci vuole discrezione.

3. Cristo aveva sui sacramenti il potere di eccellenza.

Perciò poteva di propria autorità rimettere in tutto o in parte la pena come egli voleva.

Non si può dire invece lo stesso di coloro che agiscono solo come suoi ministri.

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