Supplemento alla III parte

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Articolo 3 - Se le indulgenze possano essere concesse anche a chi non fa ciò che è richiesto

Pare che le indulgenze possano essere concesse anche a chi non fa ciò che è richiesto.

Infatti:

1. Per chi non può fare una cosa « basta la volontà di farla » [ cf. q. 10, a. 2, ob. 2 ].

Ora, talvolta è concessa un'indulgenza in favore di chi fa una determinata elemosina, che un certo povero non può fare, benché ne abbia il desiderio.

Quindi questi può lucrare ugualmente tale indulgenza.

2. Una persona può espiare per un'altra.

Ma l'indulgenza è ordinata, come anche l'espiazione, al condono della pena.

Quindi una persona può lucrare l'indulgenza per un'altra.

E così questa seconda lucra l'indulgenza senza eseguire le opere prescritte.

In contrario:

Tolta la causa, viene meno l'effetto.

Se dunque uno non osserva le condizioni imposte, che sono appunto la causa dell'indulgenza, non può lucrarla.

Dimostrazione:

Venendo a mancare la condizione non si ottiene ciò che ad essa è condizionato.

Siccome dunque l'indulgenza viene concessa sotto la condizione che si compia o si dia qualcosa, chi ciò non attua non lucra l'indulgenza.

Analisi delle obiezioni:

1. Ciò vale per il premio essenziale, non per alcuni altri premi accidentali, come ad es. il condono della pena o altre cose simili.

2. Uno può applicare le proprie opere buone in favore di chi vuole, e quindi può anche espiare per chi vuole.

Le indulgenze però possono applicarsi ad altri soltanto secondo l'intenzione di chi le concede.

E poiché costui le concede a chi compie od offre qualcosa, non può questi a sua volta trasferire ad altre persone tale intenzione.

Ciò potrebbe attuarsi solo nel caso in cui la concessione dell'indulgenza fosse così formulata: « Chi fa, oppure colui per il quale si fa tale cosa, lucra tale indulgenza ».

Ma neppure in tal caso dà l'indulgenza a un altro chi compie l'opera buona, bensì colui che la concede sotto tale forma.

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