Supplemento alla III parte

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Articolo 1 - Se la condizione servile impedisca il matrimonio

Pare che la condizione servile non impedisca il matrimonio.

Infatti:

1. Impedisce il matrimonio solo ciò che è incompatibile con esso.

Ora, la schiavitù non ha con esso alcuna incompatibilità: altrimenti non ci potrebbero essere matrimoni tra schiavi.

Quindi la schiavitù non impedisce il matrimonio.

2. Ciò che è contro natura non può impedire ciò che è secondo natura.

Ma la schiavitù è contro natura: poiché secondo S. Gregorio [ Past. 2,6 ] « è contro natura che l'uomo voglia dominare sull'uomo ».

Il che risulta anche dal fatto che all'uomo fu detto [ Gen 1,26 ] di « dominare sui pesci del mare », ecc., non di « dominare sull'uomo ».

Perciò la schiavitù non può impedire il matrimonio, che è naturale.

3. Se essa è un impedimento, lo è o per diritto naturale o per diritto positivo.

Ma non lo è per diritto naturale: poiché secondo tale diritto « tutti gli uomini sono uguali », come afferma S. Gregorio [ l. cit. ]; e all'inizio del Digesto [ 1,1,4 ] si dice che la schiavitù non è di diritto naturale.

Ora, il diritto positivo deriva da quello naturale, come scrive Cicerone [ De invent. 2,53 ].

Quindi secondo nessun diritto la schiavitù può impedire il matrimonio.

4. Ciò che impedisce il matrimonio lo impedisce tanto se è conosciuto quanto se è ignorato, come è evidente nel caso della consanguineità.

Ma la schiavitù, se è conosciuta dall'altro contraente, non impedisce il matrimonio.

Quindi la schiavitù di per sé non può essere un impedimento matrimoniale.

Perciò non dovrebbe essere elencata di per sé come un impedimento distinto.

5. Come ci si può ingannare sullo stato di schiavitù, in modo da ritenere libero chi è schiavo, così ci si può ingannare pensando che sia schiava una persona libera.

Eppure la libertà non è considerata un impedimento del matrimonio.

Quindi non va considerato tale neppure lo stato servile.

6. Rende più gravoso il legame matrimoniale e impedisce maggiormente il bene della prole la malattia della lebbra che lo stato di schiavitù.

Ma la lebbra non è posta fra gli impedimenti del matrimonio.

Quindi non va elencata tra essi neppure la schiavitù.

In contrario:

1. Le Decretali [ 4,9, cc. 2,4 ] stabiliscono che l'errore sulla condizione servile impedisce di contrarre il matrimonio e dirime il matrimonio contratto.

2. Il matrimonio, per la sua onestà, è tra i beni per se stessi desiderabili.

Invece la schiavitù è tra le cose per se stesse repellenti.

Perciò il matrimonio e la schiavitù sono incompatibili.

Quindi la schiavitù impedisce il matrimonio.

Dimostrazione:

In forza del contratto matrimoniale un coniuge è tenuto a rendere il debito all'altro.

Se dunque colui che si obbliga non ha la capacità di renderlo, l'ignoranza di tale impotenza da parte dell'altro contraente annulla il contratto.

Ora, come l'impotenza rende del tutto incapaci di rendere il debito, così la schiavitù impedisce che lo si possa rendere liberamente.

Come dunque l'impotenza è un impedimento del matrimonio quando è sconosciuta, e non lo è quando è conosciuta [ cf. q. 58, a. 1, ad 4 ], così la condizione servile impedisce il matrimonio se è ignorata, ma non lo impedisce se è conosciuta.

Analisi delle obiezioni:

1. La schiavitù è incompatibile col matrimonio sia rispetto all'atto a cui uno si obbliga nei riguardi del coniuge, e che egli non può porre liberamente, sia rispetto al bene della prole, che subisce la condizione servile dei genitori.

Poiché tuttavia ciascuno può spontaneamente rinunziare a un proprio diritto accettando una menomazione, se un contraente conosce la condizione servile dell'altro il matrimonio è valido.

Inoltre, essendo l'obbligo di rendere il debito identico per i due contraenti, uno non può pretendere dall'altro più di quanto egli può dare.

Per cui se uno schiavo contrae matrimonio con una schiava che crede libera, non c'è impedimento al loro matrimonio.

È dunque evidente che lo stato di schiavitù non dirime il matrimonio se non quando è ignorato dall'altro contraente, e questi sia di libera condizione.

Nulla perciò impedisce che ci siano matrimoni tra schiavi, o tra un uomo libero e una schiava.

2. Nulla impedisce che una cosa sia contro l'intenzione prima della natura senza essere contro l'intenzione seconda della medesima.

Ogni corruzione, ad es., o deficienza o invecchiamento, è contro la natura, come nota Aristotele [ De coelo 2,6 ], poiché la natura tende all'essere e alla perfezione, e tuttavia non è contro l'intenzione seconda della stessa: poiché la natura, non potendo conservare l'essere in una data cosa, lo conserva in un'altra che viene generata in seguito alla corruzione della prima.

E quando non può giungere a una perfezione maggiore, la natura si accontenta di una minore: come quando non può produrre un maschio produce una femmina, la quale, secondo Aristotele [ De gen. anim. 2,3 ], è « un maschio mancato ».

Parimenti anche la schiavitù è contro la prima intenzione della natura, ma non contro la seconda.

Poiché la ragione naturale e la natura stessa tendono a che tutti siano buoni, ma per il fatto che uno pecca la natura tende anche a far subire il castigo del peccato.

Ora, la schiavitù è subentrata appunto come pena del peccato.

E non è contraddittorio che una cosa, pur essendo di per sé naturale, venga impedita da un fatto contro natura: il matrimonio infatti viene impedito in questo modo dall'impotenza fisiologica, la quale è contro natura nel modo indicato.

3. La legge naturale detta che un castigo venga inflitto per una colpa e che nessuno sia punito senza colpa, ma determinare il castigo secondo le condizioni della persona e della colpevolezza appartiene alla legge positiva.

Ora, essendo la schiavitù un castigo, essa viene determinata dalla legge positiva, e deriva da quella naturale come il determinato dall'indeterminato.

E da questa determinazione del diritto positivo venne stabilito che la schiavitù ignorata sia un impedimento del matrimonio [ Decretales 4,9,4 ], perché nessuno sia punito senza colpa: è infatti un certo castigo per la donna avere per marito uno schiavo, e viceversa.

4. Ci sono degli impedimenti che rendono illecito il matrimonio.

E poiché la liceità di una cosa non dipende dalla nostra volontà, ma dalla legge, a cui la volontà deve sottomettersi, così l'ignoranza di tale impedimento, che toglie la volontarietà, o la sua conoscenza, non incide sulla validità del matrimonio.

E tali impedimenti sono l'affinità, i voti, e altri consimili.

Ci sono invece altri impedimenti che rendono il matrimonio inefficace nel rendere il debito coniugale.

E poiché dipende dalla nostra volontà condonare ciò che a noi è dovuto, qualora questi impedimenti siano conosciuti non invalidano il matrimonio, ma lo fanno solo quando l'ignoranza provoca un atto involontario.

E tali sono gli impedimenti della schiavitù e dell'impotenza.

E poiché essi anche per se medesimi hanno carattere di impedimento, vengono enumerati a parte come distinti dall'errore.

Invece la sostituzione di persona non è un impedimento distinto dall'errore: poiché la persona che subentra non implica un impedimento se non rispetto all'intenzione del contraente.

5. La libertà personale non impedisce l'atto del matrimonio.

Quindi l'ignoranza di tale condizione personale non impedisce il matrimonio.

6. La lebbra non impedisce il matrimonio in quello che è il suo primo atto, poiché i lebbrosi possono rendere liberamente il debito coniugale; sebbene vi apportino altri gravami rispetto agli effetti secondari.

Perciò essa non impedisce il matrimonio nella stessa misura della schiavitù.

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