Supplemento alla III parte

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Articolo 1 - Se i suffragi fatti da uno possano giovare a un altro

Pare che i suffragi fatti da uno non possano giovare a un altro.

Infatti:

1. Dice l'Apostolo ai Galati [ Gal 6,7 ]: « Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato ».

Ora, se uno usufruisse dei suffragi di un altro, mieterebbe ciò che un altro ha seminato.

Quindi nessuno può ricevere giovamento dai suffragi di un altro.

2. La giustizia divina esige che sia dato a ciascuno il suo secondo i meriti; da cui le parole del Salmo [ Sal 62,13 ]: « Tu rendi a ciascuno secondo le sue opere ».

Ora, siccome la divina giustizia non sbaglia, è chiaro che uno non può ricevere giovamento dalle opere di un altro.

3. Un'opera è meritoria per lo stesso motivo per cui è lodevole, cioè in quanto è volontaria.

Ora, nessuno può essere lodato per l'operato di un altro.

Quindi l'operato di uno non può essere meritorio per un altro.

4. Alla divina giustizia spetta ugualmente ricompensare il bene e punire il male.

Ora, nessuno è punito per un male fatto da un altro; anzi, è detto in Ezechiele [ Ez 18,20 ] che « colui che ha peccato, e non altri, deve morire ».

Quindi non è possibile che a uno possa giovare il bene di un altro.

In contrario:

1. Nei Salmi [ Sal 119,63 ] si legge: « Sono partecipe di coloro che ti sono fedeli », ecc.

2. Tutti i fedeli sono uniti per mezzo della carità come « membri di un unico corpo, che è la Chiesa » [ Rm 12,5 ].

Ora, un membro viene aiutato da un altro.

Quindi un uomo può essere aiutato dai meriti di un altro.

Dimostrazione:

I nostri atti possono giovare a due scopi: primo, a raggiungere un determinato stato, come quando uno con le opere meritorie acquista la beatitudine; secondo, ad acquistare qualcosa di conseguente allo stato, come quando uno merita un premio accidentale o la remissione di una pena.

Ora, in ambedue i casi i nostri atti possono giovare in due modi: primo, mediante il merito; secondo, mediante la preghiera.

E c'è una differenza tra queste due vie, poiché il merito si fonda sulla giustizia, mentre nella preghiera uno impetra ciò che chiede per la sola liberalità di chi ascolta la preghiera.

Si deve perciò concludere che le opere di uno non possono mai servire a far raggiungere a un altro un determinato stato per via di merito, nel senso cioè che per le buone opere fatte da me un altro meriti la vita eterna.

Poiché lo stato di gloria è elargito secondo la misura di chi lo riceve, ossia nella misura in cui uno ne è degno; e d'altra parte ciascuno viene disposto dal proprio agire, non da quello altrui; e parlo della disposizione della dignità al premio.

- Invece uno può giovare agli altri mediante la preghiera anche quanto al conseguimento dello stato di salvezza mentre è in questa vita: come ad es. uno può ottenere a un altro la prima grazia.

Siccome infatti l'efficacia impetrativa della preghiera dipende dalla liberalità divina, è chiaro che questa può estendersi a tutte quelle cose che sono soggette ordinatamente alla potenza divina.

Quando invece si tratta di qualcosa di accessorio a un determinato stato, allora l'intervento di uno può valere per un altro non solo per la via della preghiera, ma anche per la via del merito.

E ciò può avvenire in due modi.

Primo, in virtù di una reciproca comunicazione delle opere meritorie nella loro radice, che è la carità, per cui tutti quelli che ne partecipano ne riportano un reciproco vantaggio, per quanto in proporzione allo stato di ciascuno: poiché anche in cielo ognuno godrà dei beni dell'altro.

Ed è per questo che tra gli articoli di fede c'è « la comunione dei santi ».

- Secondo, in virtù dell'intenzione di chi agisce, quando questi compie qualcosa per giovare ad altri.

Per cui tali opere appartengono per così dire a coloro per i quali vengono fatte, come se fossero regalate da chi le compie.

E così possono giovare ad essi per completare la soddisfazione, o per altri simili vantaggi che non mutano lo stato.

Analisi delle obiezioni:

1. La mietitura di cui si parla è la vita eterna, come si ricava da S. Giovanni [ Gv 4,36 ]: « E chi miete raccoglie il frutto per la vita eterna ».

La vita eterna però è data a ciascuno soltanto per le opere proprie, poiché sebbene uno impetri a un altro la vita eterna, tuttavia ciò non può accadere se non mediante le opere personali di ciascuno: in quanto cioè le preghiere gli ottengono la grazia con cui può meritare la vita eterna.

2. L'opera fatta per uno diventa sua proprietà, così come l'opera di chi è tutt'uno con me è in qualche modo mia.

Perciò non è contro la giustizia divina se uno percepisce il frutto delle opere fatte da un altro che è a lui unito nella carità, o delle opere compiute apposta per lui.

Infatti anche la giustizia umana ammette che uno soddisfi per un altro.

3. La lode non è data a una persona che in riferimento ai suoi atti: per cui Aristotele [ Ethic. 1,12 ] scrive che la lode « è relativa ».

Siccome poi nessuno è bene o male disposto in riferimento a qualcosa per l'opera di un altro, così nessuno può essere lodato per l'opera di un altro se non indirettamente, in quanto ne è la causa o con il consiglio, o con l'aiuto, o in qualsiasi altro modo.

Il merito invece giova a una persona non solo in base alla sua disposizione, bensì anche in base a qualcosa di conseguente alla sua disposizione o al suo stato, come risulta chiaro da quanto si è detto sopra.

4. Togliere a uno ciò che gli spetta è certamente contro la giustizia; dare però a uno ciò che non gli spetta non è contro, ma sopra la giustizia: è infatti proprio della liberalità.

Ora, uno non può subire un danno dai mali altrui senza che gli sia tolto qualcosa che gli spetta.

Perciò quanto alla convenienza la punizione per i peccati altrui non è paragonabile alla possibilità di trarre giovamento dai beni altrui.

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