La città di Dio

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Fuoco eterno per gli angeli ribelli e per i reprobi

9.1 - Il fuoco e il verme che non cesseranno

Dunque ciò che, mediante il suo profeta, Dio ha detto sull'eterno tormento dei dannati, avverrà, in ogni senso avverrà: Il loro verme non morirà e il loro fuoco non si spegnerà. ( Is 66,24 )

Gesù, per inculcare più energicamente questa verità, sostituendo le parti del corpo, che scandalizzano un uomo, a quegli uomini che qualcuno ama come le parti destre del suo corpo e per ingiungere di reciderle, ha detto: È un bene per te entrare monco nella vita che con due mani andare nella geenna, nel fuoco inestinguibile, in cui il loro verme non muore e il fuoco non si spegne.

Similmente del piede: È un bene per te entrare storpio nella vita eterna che con due piedi essere gettato nella geenna del fuoco inestinguibile, in cui il loro verme non muore e il fuoco non si spegne.

Non diversamente parla dell'occhio: È un bene per te entrare cieco di un occhio nel regno di Dio che con due occhi essere gettato nella geenna di fuoco, in cui il loro verme non muore e il fuoco non si spegne. ( Mc 9,43-48 )

Non gli è rincresciuto in un solo brano ripetere tre volte le medesime parole.

A chi non incuterebbe spavento questa ripetizione e l'accenno così energico nell'accento divino a quella pena?

9.2 - Possibili interpretazioni del fuoco e del verme

Coloro i quali sostengono che l'uno e l'altro, cioè il fuoco e il verme, appartengono alle pene dell'anima spirituale e non del corpo, affermano anche che i reprobi, i quali saranno esclusi dal regno di Dio, saranno bruciati dal dolore dell'anima, perché si pentono tardi e senza frutto e perciò propugnano la possibilità che non impropriamente il fuoco sta ad indicare questo dolore bruciante.

Di qui la frase dell'Apostolo: Chi riceve scandalo e io non ne sia bruciato? ( 2 Cor 11,29 )

Ritengono poi che anche il verme si deve intendere con il medesimo significato.

Infatti, dicono, è scritto: Come la tarma rode il panno e il tarlo il legno, così la tristezza tormenta il cuore dell'uomo. ( Pr 25,20 )

Invece coloro, i quali non dubitano che in quel tormento si avranno pene e dell'anima e del corpo, affermano che il corpo è bruciato dal fuoco e che l'anima in certo senso è corrosa dal verme della tristezza.

Questa interpretazione è più accettabile, perché è certamente assurdo che in quello stato manchi il dolore del corpo e dell'anima.

Io tuttavia sono propenso a dire che l'uno e l'altro, anziché né l'uno né l'altro, appartengano al corpo e perciò nelle parole della sacra Scrittura non è stato espresso il dolore dell'anima perché risulta, anche se non si esprime, che se il corpo soffre in quel modo, anche l'anima sia tormentata da un inutile pentimento.

Si legge in un libro dell'Antico Testamento: Punizione della carne dell'empio sono il fuoco e il verme. ( Sir 7,19 )

Si poteva dire più brevemente: "Punizione dell'empio".

È stato dunque detto: della carne dell'empio, soltanto perché l'uno e l'altro, cioè il fuoco e il verme, saranno tormento della carne.

Si dà il caso che abbia inteso dire punizione della carne, appunto perché nell'uomo sarà punita la colpa d'essere vissuto secondo la carne e per questo giungerà alla seconda morte, che l'Apostolo ha indicato con le parole: Se vivrete secondo la carne, morirete. ( Rm 8,13 )

Perciò ciascuno scelga il significato che preferisce, o assegnare il fuoco al corpo e il verme all'anima, il primo in senso proprio, l'altro in senso figurato, ovvero l'uno e l'altro al corpo in senso proprio.

In precedenza30 ho sufficientemente dimostrato che gli esseri animati possono rimanere in vita anche nel fuoco in una ustione che non distrugge, in un dolore che non fa morire mediante un miracolo del Creatore sommamente onnipotente.

Chi nega che un'opera simile gli sia impossibile, ignora da chi proviene tutto ciò che nella natura desta meraviglia.

Egli è il Dio che ha compiuto nel mondo le grandi e piccole opere meravigliose che abbiamo menzionato e, al di là di ogni confronto, molte altre che non abbiamo menzionato e le ha inserite nel mondo stesso con un solo, stupendo miracolo.

Dunque ciascuno scelga dei due termini quello che preferisce, se ritiene che il verme attiene in senso proprio al corpo ovvero, con un linguaggio traslato dal settore fisico allo spirituale, all'anima.

Quale delle due ipotesi sia la vera, lo indicherà senza difficoltà l'attualità stessa delle cose, quando la capacità di comprendere degli eletti sarà così perfetta che per loro non sarà più necessaria l'immediata percezione per conoscere quelle pene, ma per comprendere anche questo stato basta soltanto quella sapienza che fuori del tempo sarà piena e definitiva.

Difatti ora comprendiamo solo in parte finché giunga ciò che è definitivo. ( 1 Cor 13,9-10 )

Per ora tuttavia non dobbiamo affatto ritenere che i corpi non siano condizionati a subire dolori mediante il fuoco.

10.1 - Il fuoco eterno per l'essere spirituale

A questo punto si presenta il problema: se il fuoco non sarà immateriale, come è il dolore dell'anima, ma fisico, dannoso alla sensibilità tattile, in modo che da esso siano straziati i corpi, in che senso in esso si avrà la punizione anche degli spiriti malvagi?

Sarà infatti un medesimo fuoco assegnato al tormento degli uomini e dei demoni, giacché Cristo ha detto: Via da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. ( Mt 25,41 )

Però, secondo l'opinione di uomini dotti, anche i demoni hanno un proprio corpo formato da aria densa e umida, il cui influsso sui sensi si avverte quando soffia il vento.

E se questo tipo di elemento fosse insensibile al fuoco, non scotterebbe quando viene fatto bollire nei bagni.

Affinché scotti, viene scottato per primo ed agisce quando subisce.

Se poi qualcuno sostiene che i demoni non hanno corpo, sull'argomento non c'è da affannarsi in un'affaticata indagine né scontrarsi in una sdegnosa polemica.

Piuttosto dobbiamo ammettere che anche gli esseri spirituali, privi di corpo, in maniera reale, sebbene sorprendente, possono essere tormentati con la punizione del fuoco sensibile perché, se l'essere spirituale degli uomini, pure esso certamente incorporeo, ha potuto nel tempo essere unito alle parti di un corpo, potrà anche fuori del tempo essere avvinto indissolubilmente nei rapporti del proprio corpo.

Dunque l'essere spirituale dei demoni, o meglio i demoni stessi, esseri spirituali, se non hanno il corpo, saranno congiunti, sebbene senza corpo, al fuoco che è corpo, per esserne straziati.

E questo non allo scopo che il fuoco stesso, cui sono congiunti, sia vivificato dalla loro unione e diventi un essere animato che è composto di anima e di corpo ma perché, come ho detto, congiungendosi in maniera sorprendente e ineffabile ricevano dal fuoco la punizione e non diano al fuoco la vita.

Infatti anche quest'altra maniera, con cui gli esseri spirituali si congiungono al corpo e diventano esseri animati, è assolutamente meravigliosa e non si può comprendere dall'uomo, eppure proprio questo è l'uomo.

10.2 - Possibili interpretazioni

Direi quasi che gli esseri spirituali bruceranno senza un proprio corpo, come bruciava nell'inferno quel ricco, quando gridava: Sono straziato da questa fiamma, ( Lc 16,24 ) se non avvertissi che si può convenientemente rispondere che quella fiamma era omogenea agli occhi che levò in alto per vedere Lazzaro, alla lingua su cui desiderò fosse versata una stilla d'acqua, come al dito di Lazzaro al quale chiese che gli fosse accordato questo favore; eppure in quel luogo le anime erano senza il corpo.

Allo stesso modo era incorporea la fiamma, da cui era bruciato, la goccia che richiese, come lo sono anche le immagini nel sogno dei dormienti o ancor di più gli esseri incorporei per coloro che intuiscono nell'estasi, sebbene abbiano la parvenza di corpo.

Infatti in tali visioni è presente con lo spirito e non con il corpo, in quello stato tuttavia si raffigura simile al suo corpo, sicché non si riesce affatto a distinguere.

La geenna, che è stata considerata anche come uno stagno di fuoco e di zolfo, ( Ap 20,9 ) sarà fuoco fisico e strazierà il corpo dei dannati, ossia e degli uomini e dei demoni, di carne quello degli uomini, d'aria quello dei demoni; ovvero strazierà il corpo con l'anima soltanto degli uomini, i demoni invece come esseri spirituali senza corpo, congiunti al fuoco fisico per subire la pena e non per comunicare la vita.

Sarà un solo fuoco per gli uni e per gli altri, come ha detto la Verità. ( Mt 25,41 )

11 - Polemica sull'eternità delle pene

Alcuni di quelli, contro i quali difendiamo la Città di Dio, ritengono ingiusto che per i peccati, sebbene gravi, ma commessi in un breve spazio di tempo, un individuo sia condannato a una pena eterna.

Ragionano come se la giustizia di una qualche legge contempli che ciascuno sia punito per lo spazio di tempo identico a quello durante il quale ha commesso l'azione di cui è punito.

Cicerone scrive che nel codice sono contemplate otto forme di pene: il risarcimento, la prigione, la flagellazione, il taglione, il marchio d'infamia, l'esilio, la morte, la schiavitù.

Ora nessuna di esse è ristretta al breve spazio di tempo in corrispondenza alla rapidità del reato, in modo da essere punito nel breve spazio di tempo, durante il quale si accerta che è stato commesso il reato, escluso il caso del taglione.

Questo infatti comporta che si subisca ciò che si è commesso.

Da qui la prescrizione della Legge: Occhio per occhio, dente per dente. ( Es 21,24 )

Può avvenire infatti che un individuo con il rigore della punizione perda un occhio nel breve spazio di tempo in cui egli con la malvagità della colpa lo ha strappato all'altro.

Inoltre se è ragionevole punire con la sferza un bacio dato alla donna d'altri, non è forse vero che chi lo ha fatto in un attimo di tempo viene fustigato in uno scorrere impareggiabile di ore e la dolcezza di un breve piacere viene punita con un dolore di lunga durata?

Si deve forse emettere la sentenza che un individuo rimanga in carcere per lo spazio di tempo corrispondente a quello in cui ha compiuto l'azione, per cui ha meritato di essere imprigionato, mentre uno schiavo molto giustamente sconta nei ceppi pene di anni, perché con una parola o con una percossa, azioni che si compiono in un istante, ha oltraggiato o ferito il suo padrone?

E poi il risarcimento, il marchio d'infamia, l'esilio e la schiavitù, poiché spesso sono inflitti con la riserva che non siano condonati, non sono forse, nei limiti della vita presente, simili alle pene eterne?

Quindi non possono essere eterni perché anche la vita, che da essi è danneggiata, non si protende in eterno e tuttavia le colpe, che sono punite da pene a un assai lungo termine di tempo, sono compiute in un tempo assai limitato.

Inoltre non v'è mai stato alcuno il quale sostenesse la teoria che le sofferenze dei delinquenti devono aver termine così alla svelta, come alla svelta sono stati perpetrati o l'omicidio o l'adulterio o il furto sacrilego o un qualsiasi altro crimine da commisurarsi non dal lasso di tempo, ma dalla gravità dell'infrazione del diritto e della morale.

Riguardo poi a colui che per un grave delitto viene punito con la morte, le leggi forse valutano la sua pena capitale dal brevissimo attimo in cui viene giustiziato e non dal fatto che lo sottraggono per sempre alla società dei vivi?

Ed è la stessa cosa sottrarre con la pena della prima morte gli uomini dalla città che avrà fine e con la pena della seconda morte dalla città che non avrà fine.

Come infatti le leggi della città terrena non hanno come obiettivo che un giustiziato ritorni in essa, così le leggi dell'altra che un condannato alla seconda morte sia richiamato alla vita eterna.

Ma, obiettano i pagani, in che senso è vero quel che ha detto il vostro Cristo: Con la misura con cui avete misurato, si misurerà a voi in cambio, ( Lc 6,38 ) se il peccato nel tempo è punito con la pena dell'eternità?

Essi non riflettono che la stessa misura non è stata indicata sulla base del medesimo periodo di tempo ma sulla base della reciprocità del male, nel senso che chi ha fatto il male deve subire il male.

Tuttavia la frase si potrebbe specificamente interpretare in relazione all'argomento, di cui il Signore trattava quando la proferiva, e cioè ai giudizi e alla condanna.

Perciò chi giudica e condanna ingiustamente, se è giudicato e condannato giustamente, riceve nella stessa misura, sebbene non ciò che ha dato.

Con un giudizio ha commesso, con un giudizio subisce, sebbene con la condanna abbia commesso un atto d'ingiustizia e subisca con la condanna un atto di giustizia.

Giustizia ed equità della pena

12 Ma la pena eterna sembra spietata e ingiusta all'umana conoscenza, perché nell'attuale inettitudine di defettibili conoscenze manca la conoscenza della sapienza sublime e illibata, con cui si può conoscere quale grande colpa è stata commessa con la prima trasgressione.

Quanto più l'uomo aveva in Dio la felicità, con tanta maggiore empietà abbandonò Dio e si rese degno del male eterno perché distrusse in sé quel bene che poteva essere eterno.

Da qui deriva tutta intera la massa dannata del genere umano, poiché colui che per primo commise la colpa fu punito in tutta la discendenza che in lui aveva avuto il rampollo.

Perciò nessuno è liberato da questa giusta e dovuta pena, se non dalla misericordiosa e non dovuta grazia, e così il genere umano è ripartito in modo che in alcuni si manifesti ciò che consegue la grazia misericordiosa, in altri la giusta punizione.

E non si può verificare l'una e l'altra situazione in tutti perché, se tutti persistessero nelle pene della giusta condanna, in nessuno si manifesterebbe la grazia misericordiosa e se tutti fossero ricondotti dalle tenebre alla luce, in nessuno si manifesterebbe la realtà della punizione.

E perciò in essa ve ne saranno molti di più affinché così si riveli ciò che spetterebbe a tutti.

E se la condanna fosse aggiudicata a tutti, nessuno potrebbe con giustizia biasimare la giustizia di chi punisce; ma giacché molti ne sono liberati, devono rendere grazie infinite al dono gratuito di chi libera.

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30 Vedi sopra 2.4