25 Settembre 1974

Plauso per delicata e difficile « missione »

Ancora noi andiamo cercando quali siano le necessità principali della Chiesa nell'ora presente.

La nostra osservazione vuole essere in questa sede del tutto elementare, e quasi intuitiva, così che ognuno possa soddisfare la propria ricerca con conclusioni di prima evidenza.

Ripetiamo a noi stessi la domanda, che già altre volte abbiamo rivolta alla nostra spirituale curiosità: di che cosa ha bisogno la Chiesa?

La domanda, come ognuno vede, può dirigersi in due direzioni: la direzione dei malanni che affliggono la Chiesa e che si avvertono alla diagnosi più semplice e immediata d'un occhio amoroso; e la direzione dei beni auspicabili, a cui la Chiesa possa aspirare quasi per diritto nativo, mediante la terapia, che dovrebbe derivare dalla sua vita normale.

Queste due ricerche, l'una su l'aspetto negativo del volto presente della Chiesa, l'altra su l'aspetto positivo del suo stesso volto reale e ideale, conducono ad una medesima conclusione, che è questa: la Chiesa ha bisogno di fedeltà.

Questa affermazione deriva da altre nostre affermazioni circa il bisogno fondamentale di fede, e quello conseguente di fortezza; e si formula quindi in una ripetizione, quando riscontra che ciò che più fa soffrire oggi la Chiesa è la mancanza di fedeltà in alcuni, anzi tanti suoi figli, e che ciò che più la conforta e la rallieta è invece il fatto della fedeltà di molti, moltissimi suoi figli.

L'osservazione ha la sua radice nel rapporto che ogni cristiano ha verso la Chiesa, cioè verso la propria fede religiosa, anzi verso Cristo stesso, verso quel Dio, Uno e Trino, alla cui trascendente e ineffabile, infinita Esistenza il battesimo lo ha misteriosamente, ma vitalmente e realmente collegato.

Noi dobbiamo ritornare con la nostra riflessione su quel decisivo rapporto, che ci inserisce nella Chiesa, che ci qualifica come seguaci, anzi fratelli di Cristo, e che ci rende associati in una certa ma smisurata misura alla natura divina ( Cfr. 2 Pt 1,4 ).

Fortuna inestimabile, che supera per valore la nostra stessa esistenza naturale, come ci ricorda il canto dell'« Exsultet » nella notte pasquale: Nihil enim nobis nasci profuit, nisi redimi profuisset; a che cosa ci giova il nascere, se non ci giovasse insieme il rinascere, l'essere redenti.

Noi siamo lieti di vedere che oggi, dopo il Concilio, con la riforma liturgica, è restituita grande premura nella preparazione e nella comprensione del significato e del valore dei sacramenti della iniziazione cristiana, quali sono il Battesimo, la Confirmazione, l'Eucaristia.

Si ridesta così e si riforma la coscienza cristiana.

Abbiamo infatti bisogno, un bisogno fondamentale, di saperci, di sentirci, di mantenerci cristiani.

Chiamiamo fedeltà questa rinascita della coscienza, della mentalità, della logica cristiana.

Il grande fallo di tanti cristiani moderni è l'incoerenza, è la mancanza di fedeltà alla grazia, ricevuta nel battesimo, o successivamente in altri sacramenti, e agli impegni solenni e salutari, assunti verso Dio, verso Cristo, verso la Chiesa nella celebrazione d'un patto, d'un'alleanza, d'una comunione di vita soprannaturale, che non mai avrebbe dovuto essere trascurata, o tradita.

Come il grande vantaggio è invece l'aver tenuto fede lealmente a quegli impegni, che dànno senso, virtù e merito alla vita cristiana.

Possiamo infatti ad ogni singolo cristiano riferire quella esigenza, che S. Paolo vuole operante in ogni « dispensatore dei misteri di Dio » cioè nei ministri di Cristo ( Cfr. 1 Cor 4,1 ) che « ciascuno sia riscontrato fedele ».

Si tratta in fondo d'un'esigenza, che assume la figura morale, la forza d'amore, d'un atteggiamento reciproco: come Dio è fedele verso di noi ( Cfr. Mt 3,6; 2 Cor 1,20; Rm 11,29 ), così noi dobbiamo essere fedeli verso di Lui.

La fede, nella pratica della vita, si manifesta in due forme spirituali e morali, che dànno consistenza alla nostra religiosità, derivata appunto dalla fede; e sono la fiducia ( Cfr. 1 Ts 5,24; 2 Tm 2,13; Eb 10,23; etc. ), e la fedeltà ( At 14,22; 1 Ts 1,3; etc. ).

E qui la teologia, ed ancor più l'ascetica, offrono alla nostra riflessione tutta una letteratura.

Ricorderemo, tanto per citare un esempio di facile consultazione, l'ultimo capitolo, il 59°, del terzo libro dell'Imitazione di Cristo, che ci esorta a fissare in Dio solo ogni speranza e fiducia: « mio Dio, noi vi leggiamo fra altre fervide e belle parole, Tu sei la mia speranza, Tu la vera fiducia, Tu il mio consolatore, il fedelissimo in tutto ».

Ciò ch'è detto là per ogni singola anima iniziata alla preghiera, noi lo possiamo suggerire alla Chiesa intera, credente ed orante, bisognosa di trarre da una più viva fiducia nel Signore, l'energia rettilinea, che l'asprezza dei tempi domanda alla sua fedeltà.

Con la nostra Benedizione Apostolica.