23 Ottobre 1974

Esigenze e modalità della preghiera

Fra le necessità vitali della nostra stagione spirituale vi è, sembra a noi, quella della preghiera, non solo come dovere, ch'è in tutti e di sempre, ma oggi, per certe categorie di persone, che potremmo ritenere come rappresentative del nostro tempo, per bisogno, per istintivo ricorso ad un respiro che sta per mancare, come in chi è sul punto di affogare, o d'essere soffocato.

È il caso di coloro che sono arrivati in fondo all'esperienza della così detta « morte di Dio », cioè d'una irreligiosità radicale, che sembrava risultare dalla logica del progresso scientifico, dalla sognata perfezione sociale, dall'autosufficienza soprattutto d'un nuovo umanesimo; e si è visto che questa idealizzata esperienza porta alla fine, una fine non molto lontana, e in parte maturata nella presente generazione, alla « morte dell'uomo », ad un uomo cioè impersonale, ridotto ad un numero fra l'indefinita moltitudine di esseri umani, ridotti a fenomeni di per sé insignificanti, e validi solo per ciò che contano al di fuori della loro originale esistenza, sul piano numerico e anagrafico, sul piano economico e politico, sul piano, il più attraente e anch'esso fallace, del consumo e del godimento.

Un grande senso di fatalismo caratterizza questa spenta psicologia; un grande senso di personale solitudine, di insuperabile incomunicabilità, fa seguito al primo.

Tutti conosciamo certe odierne manifestazioni, fino a ieri inconcepibili, di gioventù quasi a caso riunita, come uno sciame di uccelli sbandati, senz'altri richiami che quello d'un vuoto terreno, su cui sono caduti in un atteggiamento di abulica tristezza, per attestare il vuoto infelice della loro esistenza, e per mormorare tuttavia qualcosa, come un gemito esistenziale della loro innata volontà di vivere, di sopravvivere: una preghiera; sì, una preghiera consapevole soltanto della disperata svalutazione d'ogni moderna e magnificata esperienza, una specie di De profundis, al cui atroce tormento interiore corrisponde vagamente un obiettivo sospirante orientamento: il Dio ignoto degli Ateniesi di S. Paolo ( Cfr. At 17,23 ), ovvero il Gesù superstar, con idilliache reminiscenze infantili ed evangeliche; comunque sia: una preghiera; una preghiera d'una gioventù agonizzante, o rinascente, invasa da un innato, angoscioso bisogno di Vita trascendente, risorgente, divina.

Decadentismo?

Estetismo?

non è facile dire; ma è pur doveroso riconoscere che codesta dolorosa confessione di umiliata umanità incontra facilmente, per le vie del sentimento e talora per quelle dell'intuizione artistica, un misterioso viandante, affranto sotto una croce, che ripete il suo paradossale, ma avvincente invito: « venite a me! Io vi consolerò » ( Mt 11,28 ): se in quel momento, per un caso ch'e non potrebbe essere che un segreto d'amorosa Provvidenza, si sciogliesse nell'aria il canto piangente di un ritmo salmodico, gregoriano: « Dio, Dio mio, fino dall'alba io sto vegliando in attesa di Te; di Te è assetata l'anima mia; oh! quanto anela a Te la mia carne, in questa terra deserta, sperduta e senz'acqua» ( Sal 62, 2-3 ), forse il ciclo spirituale sarebbe compiuto; la preghiera si riempirebbe del fascino della fede, e la fede di nuova e sincera vita cristiana.

Le vie del Signore sono molte; anche quella di simili esperienze psico-estetiche-mistiche, senza rinnegare quelle più alte e più logiche del pensiero e dell'amore, può essere una; forse oggi essa offre un sentiero suo proprio allo smarrito pellegrino moderno.

Ma noi, noi credenti, abbiamo aperta davanti a noi un'altra via, la via maestra della preghiera ecclesiale, sia personale, sia comunitaria e liturgica; se noi ne sappiamo intraprendere saggiamente il cammino, la meta non può essere che la nuova primavera spirituale, morale e sociale, che in questi anni Post-conciliari andiamo auspicando, e che certamente quanti si affidano all'itinerario dell'Anno Santo possono sperimentare in pienezza di forza e di gaudio interiore.

Ritorna alle nostre labbra la ante-orazione evangelica: « Signore, insegnaci a pregare » ( Lc 11,1 ).

Un dialogo col Signore subito s'intreccia: « Sì, bisogna sempre pregare e non mai stancarsi » ( Lc 18,1 ), Egli risponde.

E alla nostra obiezione: « noi non sappiamo che cosa dobbiamo dire nell'orazione per pregare come si deve », l'Apostolo subito, certo a nome del Signore, risponde: « lo Spirito stesso intercede per noi con ineffabili, sospiri » ( Rm 8,26 ); e sembra allora che Gesù riprenda, il discorso, e ci dica: « voi dunque pregherete così: Padre nostro, che sei nei cieli … » ( Mt 6,9 ).

La grande lezione sull'orazione, come respiro dell'anima, come esigenza di vita, come speranza che non fallisce ( Cfr. Rm 5,5 ), come colloquio della convivenza soprannaturale, come, incomparabile esperienza dell'umanità, così comincia, e continua senza fine ( Cfr. H. Bremond, Introd. à la philosophie de la prière, Bloud et Gay, 1928 ).

A noi qui basti tener presente l'obiezione classica e consueta ai nostri giorni, circa la inutilità della preghiera, per noi uomini moderni, che mediante il progresso scientifico abbiamo una conoscenza del cosmo e della vita umana, che vanifica, si dice, il ricorso a Dio, perché intervenga nell'intreccio delle causalità, di cui noi stessi o possediamo il dominio, o conosciamo la fatalità.

Non ci sarà difficile rispondere, a nostro uso personale almeno, come la scienza nostra non solo non giudica superfluo l'influsso dell'azione divina nel gioco delle cause naturali, ma lo riconosce e in certa misura ( dove la libertà di Dio e la nostra specialmente sono operanti ) lo postula, lo invoca, lo prega con cresciuta intelligenza delle cose divine e umane ( Cfr. P. Teilhard de Chardin, Le milieu divin, Seuil 1957 ).

Diremo piuttosto, per concludere questo tema circa la necessità e le modalità della preghiera ai nostri giorni, che l'Episcopato Francese ha pubblicato, in occasione della sua Assemblea plenaria dello scorso anno 1973, un libro, non grave di mole, ma prezioso di contenuto, che faremo bene anche noi a conoscere e a meditare; è intitolato Une Eglise qui célèbre et qui prie ( Centurion 1974 ).

Con la nostra Apostolica Benedizione.