Levitico

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Introduzione

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"Levitico" significa "Libro dei leviti": infatti molte leggi di questo libro riguardano riti e decisioni che spettavano ai sacerdoti, membri della tribù di Levi.

In ebraico il libro è detto, dalla parola iniziale, Wajjiqrà, "Chiamò".

Il Signore - come ha narrato il libro dell'Esodo - ha liberato Israele dall'Egitto, lo ha separato dagli altri popoli, ha stretto con lui un'alleanza al monte Sinai ed è venuto a dimorare nel santuario.

Ora, sempre al Sinai, Dio istruisce il suo popolo, parlando a Mosè dalla tenda del convegno.

Tema di fondo è come comportarsi in modo adeguato alla sua presenza: Dio è santo, il popolo perciò deve essere santo.

A questo scopo il sacerdozio levitico è istituzione essenziale, perché esso si prende cura del culto, giudica su ciò che è puro o impuro, insegna la legge.

Il libro del Levitico è una raccolta di leggi, ma è importante anche considerare il quadro narrativo, costituito da brevi frasi ( "Il Signore parlò …" ) o episodi ( 10,1-20; 24,10-23 ): esso è strettamente legato ai libri dell'Esodo e dei Numeri.

Si possono distinguere diverse raccolte di leggi, di cui molte rituali.

Schema

Scrifaici ( 1,1-7,38 )

Investitura dei sacerdoti e inaugurazione del culto ( 8,1-10,20 )

Puro e impuro ( 11,1-16,34 )

Legge di santità ( 17,1-26,46 )

Altre norme ( 27,1-34 ).

Caratteristiche

Le tradizioni raccolte nel Levitico, così come tutte le altre confluite nel Pentateuco, guardano all'uscita dall'Egitto sotto la guida di Mosè e all'alleanza del Sinai come ad un grande evento unitario, dal quale è sorta la fede d'Israele e la sua identità di popolo di Dio.

Mosè è presente ovunque, in qualità di intermediario fra Dio e la sua gente.

Il libro consiste, in sostanza, in un lungo elenco di prescrizioni, che Dio stesso espone a Mosè, perché questi le trasmetta al popolo.

Con leggere varianti, la formula ricorrente è: « Il Signore parlò a Mosè e disse: "Parla agli Israeliti …" ».

Benché il contenuto di molte leggi non possa risalire all'età dell'esodo, e trovi anzi la sua corretta ambientazione all'epoca della tarda monarchia o del secondo tempio, tutte le norme contenute nel Levitico sono attribuite all'insegnamento di Dio attraverso Mosè.

Mediante la forma letteraria del racconto, e ponendo sulle labbra del Signore quelle prescrizioni, l'autore intendeva soprattutto affermare che la loro osservanza era segno autentico di fedeltà a Dio e al patto sinaitico e, perciò, anche segno di appartenenza al vero Israele.

Ogni generazione di Ebrei, ancora oggi, interpreta e pratica le leggi scritte in questo libro, anche se alcuni capitoli riguardano il culto, che venne sospeso dalla distruzione del tempio ( 70 d.C. ).

I credenti in Cristo venerano queste Scritture, necessarie per conoscere il popolo d'Israele e per comprendere il NT.

Origine

Il popolo d'Israele, in particolare la tribù di Levi, è primo destinatario del libro del Levitico.

La tradizione d'Israele e quella della Chiesa lo attribuivano a Mosè.

Gli studi degli ultimi secoli hanno tuttavia mostrato che la sua composizione è stata graduale e complessa e che il libro dovette raggiungere la sua forma attuale intorno ai secoli V-IV a.C.

Commento di Luigi Moraldi

Lev. è il terzo libro del Pentateuco: in ebraico è denominato dall'espressione iniziale E chiamò …, mentre deve il nome attuale alla versione greca poiché, almeno nella prima parte, interessa particolarmente i sacerdoti appartenenti alla tribù di Levi; attraverso le versioni latine, la denominazione greca è passata in tutte le lingue moderne.

Conclusa l'alleanza tra Jahve, Dio della rivelazione, e Israele, promulgate le leggi civili e religiose che devono reggere il popolo teocratico, impartite ed eseguite le disposizioni riguardanti l'installazione del culto ( Es. ), si tratta ora di regolare il retto funzionamento di questo.

Si hanno così in Lev. le regole per il culto ordinario e straordinario, le norme per la classe sacerdotale cui è affidato, e le norme che regolano le relazioni del popolo con i sacerdoti, la comunità, e il tempio.

La connessione logica di Lev. con Es. è chiara.

In Lev. si possono distinguere quattro parti e una appendice.

I Legge sacrificale cc. 1-7.

II Inizio del culto cc. 8-10.

IlI Legge di purità cc. 11-15.

IV Legge di santità cc. 17-26.

Si può dividere in quattro sezioni.

1° sezione : prescrizioni circa il santuario : l'uccisione di animali, l'unità del santuario, la legge sul sangue ( 17,1-16 ).

2° sezione : prescrizioni morali cc. 18-20.

3° sezione : prescrizioni rituali riguardanti la santità speciale dei sacerdoti: cc. 21-22.

4° sezione : prescrizioni liturgiche cc. 23-25.

La precedente divisione mette in rilievo con sufficiente chiarezza la disposizione progressiva e architettonica del libro e pone in evidenza come non si tratti di un'opera le cui singole parti siano intimamente legate da una logica concatenazione, ma di un'opera che è la risultante di alcuni libretti affiancati in bell'ordine.

Questi libretti si dimostrano internamente composti di elementi diversi e manifestano la natura complessa del libro; d'altra parte si dimostrano riuniti sotto un comune denominatore e permeati, in linea generale, da uno stesso spirito: di qui appare quali siano i coefficienti della unità del libro.

I libretti si individuano nelle seguenti unità.

1 - cc. 1-7: la legge del sacrificio;

2 - cc. 8-10: la legge per l'installazione dei sacerdoti, altare, ecc.,

3 - cc. 11-15: la legge di purità;

4 - c. 16: il rituale per il gran giorno;

5 - cc. 17-26: la legge di santità;

6 - c. 27: elenco delle tariffe.

La composizione di alcuni di questi libretti è rivelata dagli strati diversi che manifestano internamente.

Così per es.: il c. 5; i cc. 6-7; il c. 14; il c. 16 ecc.

Il processo letterario lungo e che ebbe per risultato il nostro libro, è stato abbozzato in modo ipotetico nell'introduzione a Es.

Tutto il Lev. - eccetto qualche v. - viene attribuito alla tradizione sacerdotale.

Per prevenire facili confusioni sarà bene tener presente che « sacerdotale » non è in contrapposizione a « profetico » come se le idee religiose di uno siano in contrasto con l'altro; questo era il pensiero della scuola wellhauseniana, ora largamente sorpassata ( cfr. l'introduzione a Deut. ).

La tradizione sacerdotale ha particolare interesse per tutto ciò che riguarda il culto che vede iniziato solo da Mosè; di qui anche il particolare accento che pone nella relazione tra l'etica e il culto.

L'attenzione e la cura dimostrati dalla stessa tradizione per la cronologia rivelano un particolare sistema cronologico corrispondente a un chiaro pensiero teologico sui successivi stadi della rivelazione divina: ognuno è segnato da un'alleanza, l'ultima è quella sinaitica.

Di qui il principio che tutto, il culto e le altre leggi, deve essere in perfetto accordo con la rivelazione sinaitica e risalire a Mosè, mediatore dell'alleanza.

Di qui, a sua volta, quel carattere, detto a volte erroneamente « artificiale », che si manifesta nel riferire a Mosè leggi e disposizioni che nello stato attuale sono posteriori a lui; in realtà, questo riferimento ha valore dottrinale.

Anche se sono l'effetto di approfondimenti posteriori, anche se suppongono condizioni di luogo, di cultura e di tempo diversi da quelli del tempo in cui Israele era nel deserto, in esse là tradizione sacerdotale vede la continuazione, lo sviluppo, l'adattamento della stessa religione e degli stessi principi fondamentali che Dio, per mezzo di Mosè, affidò al suo popolo e che costituiranno nei secoli la sua inconfondibile caratteristica.

In questo giudizio concorda un numero sempre maggiore di studiosi cattolici e acattolici; questi ultimi, dopo avere abbandonato le posizioni estreme della scuola wellhauseniana.

Nessun legislatore intende dare leggi che debbano restare materialmente immutate per secoli: ci sono sufficienti motivi per ritenere che anche Mosè non fece eccezione.

È, invece, lo spirito delle leggi che doveva tramandarsi immutato, i principi ispiratori, gli elementi basilari: che sotto l'autorità ispirata di profeti e sacerdoti cosi sia avvenuto, non c'è alcun dubbio.

E in ciò si manifesta « la grande parte e il profondo influsso che ebbe Mosè ( nel Pentateuco ) come autore e legislatore » ( Lettera della Pontificia Commissione Biblica al Card. Suhard, 1948 ).

In tale stato di cose circa l'indole di Lev., la questione cronologica - e cioè a quale periodo si deve assegnare l'attuale composizione - ha una certa importanza.

Si conviene generalmente nell'attribuire al periodo esilico e postesilico l'attuale stesura del libro; ma si conviene ancora nel sottolineare: che forse nessuna delle tradizioni di cui consta il Pentateuco ha materiale cosi antico come la nostra ; che « preesilico o postesilico » non è una alternativa assoluta poiché ogni libretto e ogni suo supplemento ha materiale assai antico e anche premosaico; che, più che in ogni altra tradizione, è necessario tenere presente la distinzione tra la materia presentata e la forma letteraria: se questa è in genere relativamente recente, quella è antica.

Tra le unità più antiche contenute in Lev. è certo da annoverare la legge di santità; la cui epoca approssimativa di codificazione è posta nell'ultimo periodo della monarchia giùdaica o poco dopo, tuttavia non fu una novità ma la codificazione di antiche norme.

Infine, non si metterà mai in sufficiente rilievo con l'antichità del materiale e con il continuo aggiornamento indispensabile per il rituale più che per qualsiasi altra legge, che uguale è lo spirito che pervade tutta la tradizione sacerdotale, che le differenze di enfasi e le diverse sfumature, se hanno significato cronologico, appartengono sempre allo stesso circolo sacerdotale e si ispirano agli stessi grandi criteri teologico-dottrinali.

Lev. non ha avuto molta fortuna tra i lettori e tra gli stessi commentatori della S. Scrittura.

Il suo contenuto legale, la singolarità di molti suoi riti e prescrizioni, la monotonia stereotipata di molti tratti, le sue espressioni tecniche non attirano i lettori; inoltre la nuova alleanza e la nuova legge ebbero un nuovo rituale, per cui al cristiano non interessò molto l'antico; e certe esagerazioni della classe dirigente giudaica ( Mt 9,11ss; Mt 12,1-12; Mt 15,2-20; Mt 23,1-37; Gv 18,28; Rm 2,17-29; Gal 5,2-15 ) favoriscono un atteggiamento negativo.

Tuttavia Gesù Cristo, Maria e gli apostoli seguirono le prescrizioni levitiche ( Lc 2,21.22-39.41ss; Gv 2,13ss; Gv 5,2; Gv 7,10.14 ), la stessa morte di Gesù, secondo la cronologia giovannea, avvenne quando si immolava l'agnello pasquale; la Chiesa, inoltre, prese relativamente molto da Lev., come: vari elementi nella consacrazione dei sacerdoti, dell'altare e dei vasi sacri, il sacrario, prescrizioni circa l'ufficio, i doveri e i diritti dei sacerdoti, molto di quanto è contenuto nella legge di santità e, in specie, il suo principio fondamentale, la benedizione della puerpera, l'offerta dei primi frutti e delle decime, la lampada davanti al Santissimo, ecc.

Tutto ciò conferma come il libro abbia un significato religioso e un valore dottrinale permanente per tutte le età.

Tra i principi dottrinali di Lev., emergono i seguenti.

Importanza e santità del servizio liturgico: la liturgia del sacrificio è diretta a imprimere nei fedeli l'idea della santità di Jahve, al quale solo è diretto tutto il culto; le vittime debbono essere senza macchia e deve essere puro chi partecipa alle carni del sacrificio.

Come tutto ciò adombrasse il sacrificio della nuova legge e la partecipazione dei fedeli alla mensa eucaristica è rilevato in specie da Ebr.

I sacrifici di Lev. sono caratterizzati dalla idea fondamentale di dono: si tratta di un dono non prevalentemente materiale, ma di un dono che implica e significa il dono di sé alla Divinità in una comunione di obbedienza e di amore, come fu successivamente sviluppato dalla stessa tradizione giudaica.

Il concetto altamente morale di peccato: allontana da Dio, contamina il tempio e la terra promessa; donde la necessità sempre più sentita della espiazione che purifichi, riconsacri e ristabilisca nella comunione con il Dio dell'alleanza.

L'imitazione di Dio come indispensabile condizione della vera religione: il fedele deve essere santo perché santo è il suo Dio ( Lv 11,44; Lv 19,2 e Mt 5,48 ); sebbene si tratti qui di una santità alquanto diversa da quella del N. T., è certo che non può restringersi a una semplice purità esterna indipendente dalle disposizioni interne come appare dai doveri religiosi ed etici che sono inculcati.

L'importanza e necessità di una santità superiore per i sacerdoti ( Lv 21,6; Lv 21,15.23 ); già il cerimoniale della loro consacrazione suggerisce questo particolare dovere inerente all'ufficio.

L'insistenza sul dovere di giustizia, rispetto e amore verso i compatrioti è accompagnato dalla formulazione degli stessi obblighi verso gli stranieri ( Lv 19,9-18.33-36; Mt 5,43ss ).

Si noti inoltre: l'insistenza sulla dignità del matrimonio ( Lv 18,6-23; Lv 20,10-22 ), sul dovere di rispetto verso i genitori e verso i vecchi ( Lv 19,9.32 ) e le pagine di alto valore etico e religioso dei cc. 25 e 26.

Porse nessun altro libro dell'A. T. è così eloquente nel dimostrare quanto sia stato ampio e profondo il progressivo sviluppo di cui fu capace Israele sotto la guida della rivelazione divina. Un buon numero di riti e prescrizioni di Lev. sono resti di antichi usi semitici e hanno riscontro nei popoli vicini: sarebbe assolutamente superficiale fondarsi su una somiglianza esterna per concludere a una identità di idee ; sono i principi animatori che si devono esaminare, e questi si dimostreranno sempre diversi.

L'adagio « se due fanno la stessa cosa, non è la stessa cosa », non si è dimostrato mai tanto vero come nella relazione tra il culto israelitico e quello dei popoli vicini.

C'è in Lev. un notevole numero di casi e di testi che danno tutta l'impressione di valutare più l'esteriore conformità che i sentimenti interni dei sacerdoti e dei fedeli: in merito, si deve considerare come ogni religione ( e ciò vale più ancora per la religione israelitica ) abbia steso intorno a sé un complesso di protezione che per alcuni, i più superficiali, può in ogni tempo prevalere sull'interiorità, da altri invece non solo è mantenuto nel suo valore relativo, ma ispira loro un maggiore approfondimento dell'essenziale; è la sorte di ogni religione poiché questa non è semplicemente un'espressione interna dell'animo, ma convoglia in sé necessariamente tutta la vita, individuale e sociale.

Conferenze

Introduzione

Don Federico Tartaglia

Libro del Levitico

Card. Gianfranco Ravasi

Il libro dei figli di levi, il trionfo del rito e del sacro

La triplice Torà sacerdotale, il sacrificio, il puro, il santo

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