Il Risorto è il Crocifisso

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( Riflessione su un testo scritto da H.U.Von Balthasar in L'azione - Teodrammatica Vol IV - da pag. 337 - Ed Jaca Book
a cura di Riccardo Mottigliengo )

Gesù Cristo Crocifisso, il Crocifisso, rappresenta, per tutta l'umanità di ogni etnia e fede, il Cristianesimo.

Un Crocifisso è presente in tutti i luoghi cristiani e ne è il segno distintivo.

Ogni cristiano che lascia questa terra tiene fra le mani un Crocifisso.

Il distintivo del cristiano non è una croce, seppur intesa simbolicamente, ma un uomo crocifisso, una realtà "patibolare".

Ciò nonostante il Cristianesimo non esisterebbe senza la risurrezione del Crocifisso.

Sono semplici considerazioni che affrontano tuttavia questioni di vita o di morte, e quindi ci riguardano più di tutto.

A questo proposito è importante leggere cosa scrive H.U. Von Balthasar nel suo libro "L'Azione" nella parte intitolata molto significativamente "Il Risorto è il Crocifisso".

Il verbo essere che unisce dinamicamente questi santi nomi di Dio, resi misericordiosamente comprensibili a noi credenti, esprime in sintesi la verità salvifica in cui crediamo.

La svolta della Pasqua è spezzata quanto organica: l'estremo allontanamento tra il Padre e il Figlio, patito per l'assunzione del peccato, si inverte nell'estrema intimità, ma questa intimità era anche da sempre, perché l'allontanamento era stato l'opera dell'obbedienza trinitaria di amore, nella cui reciprocità il Padre e il Figlio erano da sempre una cosa sola nello Spirito … Dio che vuole realizzare la conciliazione del mondo con lui ( e insieme la sua conciliazione col mondo ) agisce drammaticamente sulla croce e nella resurrezione del Figlio.

Dio fa sempre il "primo" e l' "ultimo" per essere ancora il "primo" e in questo movimento ognuno di noi deve inserirsi intimamente.

In questa dinamica e nella scoperta della reciprocità che la misericordia di Dio ci dona viene superato qualunque dualismo, origine del peccato, per favorire l'unione vissuta e goduta reciprocamente con Lui.

Quando rispondiamo con il desiderio di riconciliarci anche per il solo attimo dell'intenzione risorgiamo dal nostro stato di crocifissione.

È una Pasqua anche solo intenzionale ma che ci fa provare in infinitesima parte quale sia la gioia che Dio ci può infondere per questa nostra libera scelta.

Il dramma tra Dio e il mondo viene attuato negli atti drammatici temporali del concreto evento di Cristo e delle sue conseguenze …. si verifica il rovesciamento più radicale: dalla morte eterna all'eterna vita, dall'assoluta morte dello spirito alla sua assoluta luce, dalla più invincibile lontananza e alienazione alla più inimmaginabile vicinanza.

Da una parte, nel regno della Trinità immanente, la gloria che il Figlio raggiunge attraverso le tenebre è la stessa che egli possedeva "prima della creazione del mondo" ( Gv 17,5 ), dall'altra, la sua umanità acquista parte a questa gloria solo a causa della sua estrema distensione ( nell'eucaristia ) e svuotamento ( fino alla spaccatura del cuore ) mediante l'atto drammatico della Trinità economica.

La dimensione profondamente teologica di queste righe non è lontana dalla nostra realtà personale, può non essere compresa in questi termini ma è un giusto approfondimento che ci deve confortare per una ragionevole certezza della nostra fede.

Semplice nell'essenza ma complessa in molti casi nel suo rapporto con la quotidianità di un tempo trinitariamente difficile da vivere.

Senza avere sempre presente il nostro Credo, molto del nostro essere, e di più del nostro avere, è privato di un senso vero.

Per tornare a capire dobbiamo essere "coinvolti" dalle piaghe di Gesù Crocifisso.

Così è essenziale che le ferite perdurino nella resurrezione e nella trasfigurazione.

Non soltanto per testimoniare ai discepoli l'identità del corpo martoriato con il corpo per essi stranamente spiritualizzato che passa attraverso le porte chiuse, ma in maniera ancora più essenziale perché le sue aperture ( si può mettere le mani attraverso le ferite fino nell'interno del corpo: Gv 20,27 ), e cioè l'indefinita divisibilità della sua carne e versabilità del suo sangue facciano loro partecipare all'essenziale infinità della sua divina persona.

E qui bisogna un'altra volta sottolineare che questo passaggio del corpo diventato eucaristico in uno stato di vita eterna al di là di ogni morte ( Rm 6,9 ) non lo sottrae alla drammaticità del suo attraversamento del mondo del peccato, e dunque le ferite non sono dei semplici segni mnemonici di un'esperienza passata … nel dramma della passione, a cui appartiene l'eucaristia, sono compresi tutti i punti temporali del mondo, passati e futuri …

Gesù obbediva allo Spirito, ma non a una legge sopra di lui, bensì allo Spirito che lo congiungeva al Padre.

Ora egli invia in libertà lo Spirito, che è il suo Spirito, uno Spirito a un tempo della libertà e dell'obbedienza allo Spirito.

A questo suo Spirito l'Innalzato può far partecipare i suoi perché egli l'ha ora in sé - "dove è il Signore, là c'è lo Spirito" - e può dare parte alla sua ( dello Spirito ) libertà o immediatezza a Dio: "ma dove è lo Spirito del Signore là è libertà" ( 2 Cor 3,17 ). … il battesimo dei cristiani viene centralmente destinato come un "essere battezzati nella sua morte" e come un "essere consepolti" sotto le acque che hanno travolto Cristo, come "immagine della sua morte", che ci <unisce> con essa, il che significa che nel battesimo di Cristo la morte viene intesa non solo come "storica" ma come "presente" nel suo verificarsi.

Questo passaggio attraverso la morte ci conduce a una "nuova vita", a una "nuova creazione" ( 2 Cor 5,17; Gal 6,15 ), realizzata dalla resurrezione di Cristo e pegno della nostra propria resurrezione.

Tutto questo nesso contestuale tra Spirito, libertà e battesimo, tutte queste piene realtà che convergono verso la configliolanza dell'uomo redento con il Cristo risorto, dovrebbero qui anzitutto spiegare la libertà del Crocifisso risorto a dar parte al suo dramma.

Egli ci inserisce nel suo destino con il comunicare il suo Spirito e, in questo, sé stesso eucaristicamente, come meglio si vedrà più oltre.

Ma può comunicare sé stesso, in quanto Figlio, solo dando parte alla sua generazione dal Padre.

La grazia della figliolanza tuttavia è sempre identica con la comunicazione dello Spirito di Cristo.

Lo Spirito non viene comunicato prima del triduum pasquale ( Gv 7,39 ), là dove Gesù "espira" il suo Spirito con la missione "compiuta" e lo ridà al Padre ( Lc 23,46; Mc 15,37; Mt 27,50; Gv 19,30 ), per poi come Risorto e in possesso dello Spirito, inspirarlo nella chiesa ( Gv 20,22 ): come l'unico e medesimo Spirito sia della passione che della resurrezione, che introduce la schiera dei suoi seguaci in una tutta nuova dimensione drammatica dell'esistenza …

Nella dottrina di Paolo non si va più come sopra un solo binario, da un'epoca della passione a una della resurrezione ( benché, vista nell'insieme, questa connessione rimane nel fondo, Fil 3,11 ), ma un co-morire con Cristo si verifica per così dire a ritroso a partire dalla grazia della resurrezione e portato da questa, ragion per cui ogni dolore rimanda a un co-risorgere con Cristo ( 2 Cor 5,8ss ).

Queste ultime righe confermano l'Amore di Gesù Crocifisso proprio nel sapere che ogni nostra personale sofferenza non ha più solo un senso di espiazione, non è più un paradosso incomprensibile di una realtà umana disperatamente nelle mani dei propri errori o delle calamità, ma se messa in rapporto a Gesù è segno di partecipazione fin d'ora alla nostra risurrezione, così come la Crocifissione è stato il passaggio necessario e indissolubile al bisogno di salvezza/redenzione.