Pensieri natalizi del Papa Benedetto XVI

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24 dicembre

Il Verbo si è fatto carne.

Accanto a questa verità giovannea, deve stare anche l'altra, quella mariana, questa volta proclamata da Luca: Dio si è incarnato.

Si tratta non soltanto di un evento incommensurabilmente grande e lontano, ma anche di qualcosa di molto vicino e umano: Dio è diventato un bimbo, che ha avuto bisogno d'una madre.

Egli si è fatto bambino: un essere che viene al mondo in lacrime, la cui prima parola è un vagito di pianto, che chiama aiuto, che come primo gesto protende le mani cercando protezione.

Dio è diventato bambino.

Oggi noi sentiamo dire, all'opposto, che ciò sarebbe solo sentimentalismo che sarebbe preferibile lasciare da parte.

Ma il Nuovo Testamento la pensa diversamente.

Per la fede della Bibbia e della Chiesa è importante che Dio abbia voluto divenire una simile creatura, che dipende da sua madre e che è affidata all'amore e alla protezione degli uomini.

Egli ha voluto diventare un essere che dipende da altri, per risvegliare in noi quell'amore che ci purifica e ci redime.

Dio si è fatto bambino, e il bambino è un essere che dipende.

Così questo tratto originale del Natale il fatto di cercar rifugio perché non se ne può prescindere è anche un tratto che contraddistingue la fisionomia essenziale della stessa infanzia.

E quante variazioni ha conosciuto nelle epoche della storia!

Oggi ne sperimentiamo una nuova e molto problematica.

Il Bambino bussa alla porta di questo nostro mondo.

Il Bambino bussa. Questa ricerca di rifugio e protezione si spinge in profondità.

Non c'è solo un ambiente esteriore ostile all'infanzia, bensì già prima è intervenuta un'opzione per la quale al Bambino vengono chiuse per principio le porte di questo mondo, che asserisce di non avere più alcun posto per lui.Il Bambino bussa.

Se lo accettassimo, dovremmo rivedere interamente il nostro personale rapporto con la vita.

Qui è in gioco qualcosa di molto profondo, cioè come concepiamo, in ultima analisi, l'esser uomini: come uno sconfinato egoismo o come una libertà fiduciosa, che si sa chiamata alla comunione dell'amore e alla libertà della condivisione.

( Dal giornale cattolico dei monaci " Münchener", 14/01/1979 )

25 dicembre

Nella grotta di Greccio, la notte di Natale, stavano, secondo quanto disposto da san Francesco, un bue e un asino.

Egli aveva infatti detto al nobile messer Giovanni: vorrei vedere il Bambino con i miei occhi corporali, come fu, deposto in una mangiatoia e dormire sulla paglia, tra un bue e un asino ( 1 Cel 30,84 ).

Da allora in poi, il bue e l'asino hanno il loro posto fisso in ogni presepe.

Ma da dove ha propriamente origine tutto ciò?

Se approfondiamo la questione, ci imbatteremo in una realtà di fatto che è importante per tutte le usanze natalizie, anzi ancora di più per l'intera devozione natalizia e pasquale della Chiesa, tanto nella liturgia quanto egualmente per gli usi e i costumi popolari.

Bue e asino non sono la semplice trovata di una fantasia devota; per il tramite della fede della Chiesa nell'unità di Antico e Nuovo Testamento, essi sono diventati accompagnatori dell'avvenimento del Natale.

In Isaia 1,3 risuona l'affermazione: « Il bue conosce il suo proprietario e l'asino la greppia del suo padrone.

Israele invece non comprende, il mio popolo non ha senno ».

I Padri della Chiesa videro in queste parole un annuncio profetico, che faceva riferimento al nuovo popolo di Dio, la Chiesa formata da giudei e da pagani.

Davanti a Dio, tutti gli uomini, giudei e pagani, erano come l'asino e il bue, senza senno e cognizione.

Ma il bimbo nella mangiatoia ha loro aperto gli occhi, così che ora essi riconoscono la voce del loro proprietario, la voce del loro Signore.

Nelle raffigurazioni natalizie medievali, colpisce sempre il fatto che entrambe le bestie presentano fattezze quasi umane e un volto molto simile a quello dell'uomo, quasi immaginando che esse stiano consapevoli e adoranti dinanzi al mistero del bambino.

Ciò è del tutto logico, poiché tutti e due gli animali presi insieme valevano come simbolo profetico, dietro il quale si celava il mistero della Chiesa, il nostro mistero, di noi che di fronte all'eterno siamo asini e buoi, asini e buoi ai quali, nella notte santa, si aprono gli occhi così da riconoscere nella greppia il loro Signore.

( da Luce che ci illumina, pag. 32 )