"Duc in altum"

B306-A8

Formazione umana e religiosa alla Casa di Carità

Iniziative in chiusura dell'anno formativo alla Casa di Carità ( giugno 2010 )

- Fr. Gabriele dalle Nogare -

Anche quest'anno la chiusura dell'anno formativo è stata contrassegnata da eventi che ben figurano nella cronaca dell'« Amore a Gesù Crocifisso ».

È pur vero che operare nel campo della formazione professionale significa essere assorbiti dal sovrastare delle problematiche, e che si rischia così di non dare ai giovani prospettive che non siano solo lavorative, di non tracciare direzioni, di non indurre a pensare in grande.

Ma se si trascura questo, ci si riduce a pestare l'aria nel mortaio.

Bastano poche annotazioni per comprovare la fedeltà della Casa di Carità a queste alte convinzioni che rispondono alla consegna venuta dall'alto attraverso fr. Teodoreto e fra Leopoldo.

Senza fare una dettagliata cronistoria ci è facile documentare che Casa di Carità è sospinta dal Crocifisso che le urge perennemente dentro.

1. Oltre il previsto

Quattordici maggio 2010, chi l'avrebbe mai detto?

Più di 470 giovani e adulti contrassegnati dal simbolo di appartenenza alla Casa di Carità, sfilano davanti alla Sindone.

Tutti in coda, tanto ordinatamente quanto basta, per contemplare un'icona scritta con il sangue che parla di amore e di vita e che si può ascoltare solo con il silenzio.

Ognuno era ben compreso dell'evento perché nei nostri Centri, nei mesi precedenti, era stata riservata all'evento un'accurata preparazione.

A testimonianza di come abbiamo vissuto l'ostensione basta riguardarsi il DVD realizzato da uno dei Centri, ed è sufficiente quanto detto da un ragazzotto ben piantato che rivolto sommessamente al prof che gli era accanto confessa: "Mi vergogno dirlo, non so cosa mi succeda … mai capitato … mi vien da piangere alla vista della Sindone".

Questo è il potere della Sindone che porta su di sé la passione dell'uomo di ogni luogo, di ogni tempo, di qualsiasi età.

Pure di ognuno di noi.

2. Intenti alle "cose di Dio"

I pellegrinaggi alla chiesa di s. Tommaso e alla Consolata sono sì di tradizione in Casa di Carità, ma mai riescono a divenire scontati, dovuti, sopportati.

Anche quest'anno, il sostare alle radici della nostra spiritualità è stato occasione per ravvivare la confidenza nella Madre e per ribadire l'adesione al Crocifisso Risorto.

Con modalità espressive che si addicono a dei giovani, con testi appropriati, con canti e invocazioni partecipate abbiamo sviscerato il detto: "Guardate le mie mani e i miei piedi, Toccate il mio costato".

Già, il Cristo non è un fantasma, è vestito di umanità.

Ha mani per curare e benedire, ha piedi per andare alla ricerca, ha cuore per rendere la speranza amore.

Le sue mani, i suoi piedi, il suo cuore si concretizzano oggi attraverso le nostre mani, i nostri piedi, il nostro cuore.

Noi, proprio noi, siamo i segni viventi del Crocifisso Risorto!

3. Mens sana in corpore sano

In Casa di Carità il gioco è sana competizione, confronto leale, dono reciproco.

È scoperta dei legami che ci uniscono, altro che semplice passatempo inteso come riempitivo di sempre troppo brevi intervalli.

Non meraviglia quindi che prima di ristrutturare la chiesa del terzo piano, in corso Brin si sia provveduto, con l'aiuto di "brava gente", a dotare la scuola di due campi di calcetto belli da vedersi, ma più belli ancora da calpestare con impegno collettivo.

Camoranesi ha dato il nome a uno dei due, e non si è limitato al nome.

Proprio il giocatore di bianco nero vestito è venuto a inaugurarlo il 13 maggio; data fortuita nella sua scelta, ma anniversario importante in Casa di Carità.

Festa grande quel giorno, con lunga fila di autorità schierate, con solenne benedizione, con Camoranesi arci super disponibile per foto e autografi.

E poi, il giorno seguente, a corollario della visita alla Sindone, grandi sfide tra i vari Centri.

Con la benedizione dal cielo questa volta, che ha inzuppato i giocatori, ma non ha raffreddato gli entusiasmi, manco quelli delle ragazze: leonesse in campo.

E se l'appetito quel giorno non ha fatto sentire i morsi, è merito di chi ha provveduto con dovizia il cibo da Verbania, attraverso la cooperativa che è un programma: la Gattabuia.

Assaggiare per credere!

4. Là dove c'è casa, c'è famiglia

Siamo saliti in tanti, i primi giorni di giugno, lassù in una valle incastonata tra cielo e terra con l'intento semplice, ma pretenzioso, di fare famiglia, di costruire comunione tra docenti e alunni, tra personale e quanti partecipano all'ideale insito nel nome "Casa" di Carità.

Siamo andati in Val Clarea anche per far compresi gli alunni dei valori trasmessi loro e dei rapporti vissuti nel corso dell'anno all'interno di Casa di Carità.

E perché no, anche per prospettare loro il senso della "restituzione" per quanto ricevono o, per lo meno, quello della "riconoscenza": merce sempre più rara.

Il questionario elaborato nei lavori di gruppi, gli slogan da loro inventati, il pranzo condiviso, le sfide a calcio, pallavolo e giochi da tavolo, i dolci casalinghi delle prof e la complicità docenti allievi nelle gavettate, non dicono tutto, ma la dicono lunga sul clima che si viene a creare lassù.

Ci si augura perduri, anche una volta scesi al piano, tra i banchi di scuola e nei laboratori, quando le giornate appaiono illuminate da un sole più stinto di quello di lassù.

Sigillo alle giornate in Val Clarea e dell'intero anno, non è solo la messa conclusiva con la volta del cielo come cupola, il bosco per pareti e le piante per colonne.

E non è neppure quel ricordo tangibile raffigurato da un braccialetto al polso o da un mattoncino al collo.

Il sigillo è il compiacimento di Dio manifestato con il sole che l'ha avuta vinta su notti di pioggia da brivido e venti da paura.