Princeps pastorum

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I

All'indomani del primo conflitto mondiale, che a tanta parte dell'umanità aveva procurato lutti, devastazioni e sconforti, l'epistola apostolica Maximum illud di Benedetto XV7 risuonò come un grido di spirituale riscossa per le nuove, pacifiche conquiste del regno di Dio: il solo che possa assicurare a tutti gli uomini figli del Padre celeste una pace duratura e una prosperità vera.

Da allora, in un attivissimo e fecondissimo quarantennio di attività missionaria, un fatto della più grande importanza è venuto ad arricchire i già felici progressi delle missioni: lo sviluppo della gerarchia e del clero locale.

Conformemente al « fine ultimo » del lavoro missionario, « che è quello di costituire in modo stabile la chiesa presso gli altri popoli e di affidarla ad una gerarchia propria scelta fra i cristiani del luogo »,8 questa sede apostolica ha sempre opportunamente e maturamente provveduto, e in questi ultimi tempi con significativa larghezza, a stabilire o ristabilire la gerarchia ecclesiastica in quelle regioni in cui le circostanze permettevano e consigliavano di addivenire alla costituzione di sedi episcopali, affidandole quando era possibile a prelati nativi del luogo.

Nessuno, del resto, ignora che questo è stato costantemente il programma d'azione della S. Congregazione « de Propaganda Fide ».

Fu tuttavia l'epistola apostolica Maximum illud a mettere in piena evidenza, come mai prima d'allora, tutta l'importanza e l'urgenza del problema, richiamando ancora una volta, con accenti accorati e pressanti, l'impegno urgente da parte di chi presiedeva alle missioni, di curare le vocazioni e l'educazione di quello che allora si diceva clero indigeno, senza che questo appellativo abbia mai rivestito alcun significato di discriminazione o di menomazione, che si deve sempre escludere dal linguaggio dei romani pontefici e dei documenti ecclesiastici.

Questo appello di Benedetto XV, rinnovato dai successori Pio XI e Pio XII di v.m., ha già avuto i suoi provvidenziali e visibili frutti, e di ciò vi invitiamo a ringraziare con Noi il Signore, il quale ha suscitato nelle terre di missione una schiera numerosa ed eletta di vescovi e di sacerdoti, fratelli e figli Nostri dilettissimi, aprendo così il Nostro cuore alle più liete speranze.

Un rapido sguardo, infatti, alle sole statistiche dei territori affidati alla Sacra Congregazione « de Propaganda Fide », non compresi quelli attualmente soggetti alle persecuzioni, ci mostra che il primo vescovo di stirpe asiatica fu consacrato nel 1923 e i primi vicari apostolici di stirpe africana furono nominati nel 1939.

Fino al 1959, si contano 68 vescovi di stirpe asiatica e 25 di stirpe africana.

Il clero nativo è passato da 919 membri nel 1918 a 5553 nel 1957 per l'Asia, e da 90 membri a 1811 nello stesso spazio di tempo per l'Africa.

In tal modo il Signore delle messi ( Mt 9,38 ) ha voluto premiare le fatiche e i meriti di quanti, con l'azione diretta e con molteplice collaborazione, si sono dedicati al lavoro delle missioni secondo i ripetuti insegnamenti di questa sede apostolica.

A ragione, perciò, il nostro predecessore Pio XII di v.m. poteva, con legittima soddisfazione, affermare: « Un tempo la vita ecclesiastica, per quello che appare, si svolgeva rigogliosa a preferenza nei paesi della vecchia Europa, donde si diffondeva, come fiume maestoso, a quella che poteva dirsi la periferia del mondo; oggi appare invece come uno scambio di vita e di energie fra tutti i membri del corpo mistico di Cristo sulla terra.

Non poche regioni in altri continenti hanno da molto tempo superato il periodo della forma missionaria della loro organizzazione ecclesiastica, sono rette da propria gerarchia e danno a tutta la chiesa dei beni spirituali e materiali, mentre prima soltanto ricevevano ».9

All'episcopato e al clero delle nuove chiese desideriamo rivolgere la Nostra paterna esortazione a pregare e agire in modo tutto particolare, affinché il loro sacerdozio diventi fecondo con l'impegno di parlare spessissimo, nelle istruzioni catechistiche e nella predicazione, della dignità, della bellezza, della necessità e dell'alto merito dello stato sacerdotale, sì da invogliare tutti coloro che Dio volesse chiamare a così eccelso onore, a corrispondere senza indugi e con animo grande alla vocazione divina.

Facciamo pregare altresì le anime loro affidate, mentre la chiesa tutta secondo l'esortazione del divino Redentore non cessa di elevare suppliche al cielo per le stesse intenzioni, affinché il Signore « mandi operai per la sua messe » ( Lc 10,2 ), specialmente in questi tempi in cui « la messe è molta e gli operai sono pochi ( Lc 10,2 ).

Le chiese locali dei territori di missione, anche fondate e stabilite con la propria gerarchia, sia per la vastità di territorio, sia per il numero crescente dei fedeli e l'ingente moltitudine di quelli che aspettano la luce dell'evangelo, continuano ad aver ancora bisogno dell'opera dei missionari venuti da altri paesi.

Di essi, peraltro, si può ben dire: « Essi non sono affatto stranieri, poiché ogni sacerdote cattolico nello svolgimento delle sue mansioni si trova come nella sua patria, dovunque il regno di Dio fiorisce o è ai suoi inizi ».10

Lavorino, dunque, tutti insieme, nell'armonia di una fraterna, sincera e delicata carità, sicuro riflesso dell'amore che essi hanno per il Signore e per la sua chiesa, in perfetta, festosa e filiale obbedienza ai vescovi « che lo Spirito Santo ha posto a reggere la chiesa di Dio » ( At 20,28 ), ognuno grato all'altro per la collaborazione offerta, « un cuore solo e un'anima sola » ( At 4,32 ), affinché dal modo come essi si amano rifulga agli occhi di tutti che sono veramente discepoli di colui che agli uomini ha dato come primo e più grande precetto, come comandamento « nuovo » e suo, quello del mutuo amore ( Gv 13,34; Gv 15,12 ).

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7 Benedetto XV, Maximum illud: AAS 11 ( 1919 ), p. 440ss; EE 4/app
8 Litt. enc. Evangelii praecones
9 Pius XII, Nuntius radiophonicus die Natali D.N.LCh. habitus: AAS 38 ( 1946 ), p. 20
10 Pius XII, Epist. ad Em.mum Card. Adeodatum Piazza: AAS 47 ( 1955 ), p. 542