Rapporti tra i Vescovi e i Religiosi

Indice

Parte prima

Alcuni elementi dottrinali

Prima di precisare delle norme pastorali circa alcuni problemi sorti nelle relazioni, che intercorrono tra i vescovi e i religiosi, pare evidente che si debba presentare una breve sintesi dottrinale, che valga a individuare i principi, su cui tali rapporti si fondano.

Per altro l'esposizione, pur compendiosa, di tali principi presuppone l'ampio sviluppo dottrinale dei documenti conciliari.

Capitolo I

La Chiesa in quanto è un popolo "nuovo"

Non secondo la carne, ma nello Spirito ( LG 9 )

1. Il concilio ha messo in evidenza la singolare natura costitutiva della chiesa, presentandola come mistero ( cf. LG 1 ).

Dal giorno di pentecoste ( cf. LG 4 ), infatti, esiste nel mondo un popolo nuovo, che vivificato dallo Spirito Santo, si raduna in Cristo per accedere al Padre ( cf. Ef 2,18 ).

I membri di questo popolo sono convocati da tutte le nazioni e si fondono tra loro in così intima unità ( cf. LG 9 ) da non potersi semplicemente spiegare con qualsivoglia modulo sociologico: giacché è insita in essa una vera novità, che trascende l'ordine umano.

Pertanto solo in questa trascendente prospettiva si possono rettamente interpretare i mutui rapporti tra i vari membri della chiesa.

L'elemento dunque, sul quale si fonda l'originalità di questa natura, è la stessa presenza dello Spirito Santo.

Egli infatti è vita e forza del popolo di Dio e coesione della sua comunione, è vigore della sua missione, sorgente dei suoi molteplici doni, vincolo della sua mirabile unità, luce e bellezza del suo potere creativo, fiamma del suo amore ( cf. LG 4, LG 7, LG 8, LG 9, LG 12, LG 18, LG 21 ).

Il risveglio spirituale e pastorale, infatti, di questi ultimi anni rivela, in virtù della presenza dello Spirito Santo - alla quale alcuni serpeggianti abusi, pur inquietanti, non risulta che abbiano recato la minima ombra -, un particolare momento di privilegio ( cf. EN 75 ) per una fiorente giovinezza nuziale della chiesa, protesa verso il giorno del suo Signore ( cf. Ap 22,17 ).

"Un solo corpo", in cui "gli uni sono membri degli altri" ( Rm 12,5; cf. 1 Cor 12,13 )

2. Nel mistero della chiesa l'unità in Cristo comporta una mutua comunione di vita tra i membri.

Infatti "Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza legame tra loro, ma volle costituirli in popolo" ( LG 9 ).

La stessa presenza vivificante dello Spirito Santo ( cf. LG 7 ) costruisce in Cristo l'organica coesione: egli "unifica la chiesa nella comunione e nel ministero, la coordina e la dirige con diversi doni gerarchici e carismatici e l'abbellisce dei suoi frutti" ( LG 4; cf. Ef 4,11-12; 1 Cor 12,4; Gal 5,22 ).

Gli elementi, quindi, che differenziano i vari membri tra loro, i doni, cioè, gli uffici e i vari compiti, costituiscono in sostanza una specie di complemento reciproco e in effetti sono ordinati all'unica comunione e missione del medesimo corpo ( cf. LG 7; AA 3 ).

Il fatto pertanto che nella chiesa si possa essere pastori, laici o religiosi, non comporta disuguaglianza quanto alla dignità comune dei membri ( cf. LG 32 ), ma esprime piuttosto l'articolazione delle giunture e delle funzioni di un organismo vivo.

Convocati a costituire un "sacramento visibile" ( LG 9 )

3. La novità del popolo di Dio, nel suo duplice aspetto, di organismo sociale visibile e di presenza divina invisibile in intima connessione tra loro, è paragonabile allo stesso mistero del Cristo: infatti, "come la natura assunta serve al Verbo divino da vivo organo di salvezza, a lui indissolubilmente unito, in modo non dissimile l'organismo sociale della chiesa serve allo Spirito di Cristo, che la vivifica, per la crescita del corpo" ( LG 8; cf. Ef 4,16 ).

Pertanto l'intima scambievole connessione dei due elementi conferisce alla chiesa quella sua speciale natura sacramentale, in virtù della quale essa del tutto trascende i limiti di qualsivoglia prospettiva semplicemente sociologica.

Infatti il concilio ha potuto affermare che il popolo di Dio è nel mondo come "sacramento visibile di unità salvifica" ( LG 9; cf. LG 1, LG 8, LG 48; GS 42; AG 1, AG 5 ) per tutti gli uomini.

Le attuali evoluzioni sociali e i mutamenti culturali a cui noi stessi assistiamo, anche se suscitano, nella chiesa, l'esigenza di rinnovare non pochi, forse, dei suoi aspetti umani, non valgono tuttavia a scalfire, neppur minimamente, questa sua peculiare struttura di sacramento universale di salvezza; anzi quegli stessi mutamenti che sono da promuovere, serviranno nello stesso tempo a mettere maggiormente in luce questa sua natura.

Destinati a testimoniare e ad annunziare il vangelo

4. Tutti i membri, pastori, laici e religiosi, partecipano, nel modo ch'è proprio di ciascuno, alla natura sacramentale della chiesa; parimenti ognuno, secondo il proprio ruolo, deve essere segno e strumento sia dell'unione con Dio sia della salvezza del mondo.

Per tutti, infatti, duplice è l'aspetto della vocazione:

a) vocazione alla santità: "tutti nella chiesa, sia che appartengano alla gerarchia sia che da essa siano diretti, sono chiamati alla santità" ( LG 39 );

b) vocazione all'apostolato: la chiesa intera "è spinta dallo Spirito Santo a cooperare, perché venga eseguito il piano di Dio" ( LG 17; cf. AA 2; AG 1, AG 2, AG 3, AG 4, AG 5 ).

Pertanto, prima di considerare la diversità dei doni, degli uffici e dei compiti, è necessario ammettere come fondamentale la vocazione comune all'unione con Dio per la salute del mondo.

Ora questa vocazione richiede in tutti, come criterio di partecipazione alla comunione ecclesiale, il primato della vita nello Spirito, in base a cui si hanno in privilegio l'ascolto della Parola, la preghiera interiore, la coscienza di vivere come membro di tutto il corpo e la sollecitudine dell'unità, il fedele adempimento della propria missione, il dono di sè nel servizio e l'umiltà del pentimento.

Da questa comune vocazione battesimale alla vita nello Spirito scaturiscono chiarificanti esigenze ed efficaci influssi sui rapporti, che devono intercorrere tra i vescovi e i religiosi.

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