Temi scelti d'Ecclesiologia

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5. Chiese particolari e Chiesa universale

5.1. Distinzioni necessarie

Rifacendoci all'uso più comune del Vaticano II, ripreso dal nuovo Codice di diritto canonico, in questo studio adottiamo la seguente distinzione: « La Chiesa particolare » ( Ecclesia peculiaris aut particularis ) è in primo luogo la diocesi ( cf. can. 368 ) « vincolata al suo pastore e da lui riunita per mezzo del Vangelo e dell'Eucaristia nello Spirito Santo» ( Christus Dominus, n. 11 ).

Il criterio, qui, è essenzialmente teologico.

Secondo un certo uso, d'altronde non accettato dal Codice, « Chiesa locale » ( Ecclesia localis ) può indicare un insieme più o meno omogeneo di Chiese particolari, la cui costituzione risulta per lo più da elementi geografici, storici, linguistici o culturali.

Sotto l'impulso della divina Provvidenza, queste chiese hanno sviluppato, come gli « antichi patriarcati », o sviluppano ancor oggi, un proprio patrimonio teologico, giuridico, liturgico e spirituale.

Qui, il criterio è invece di priorità socioculturale.

Distinguiamo anche la struttura essenziale della Chiesa dalla sua figura concreta e mutevole ( o la sua organizzazione ).

La struttura essenziale comprende tutto ciò che nella Chiesa deriva dalla sua istituzione divina ( iure divino ), mediante la fondazione operata da Cristo e il dono dello Spirito Santo.

Benché non possa essere che unica e destinata a perdurare sempre, questa struttura essenziale e permanente riveste sempre una figura concreta e un'organizzane ( iure ecclesiastico ), frutti di elementi contingenti ed evolutivi, storici, culturali, geografici, politici …

Perciò la figura concreta della Chiesa è normalmente soggetta a evoluzione ed è quindi il luogo ove si manifestano legittime, anzi necessarie, differenze.

La diversità delle organizzazioni rimanda tuttavia all'unità della struttura.

La distinzione tra la struttura essenziale e la figura concreta ( od organizzazione ) non significa che tra di esse vi sia una separazione.

La struttura essenziale è sempre implicata in una figura concreta, senza la quale non potrebbe sussistere.

Per questo motivo la figura concreta non è neutra nei confronti della struttura essenziale che deve potere esprimere con fedeltà ed efficacia, in una determinata situazione.

Su alcuni punti, specificare con certezza ciò che dipende dalla struttura e dalla forma ( o organizzazione ) può richiedere un delicato discernimento.

La Chiesa particolare, aderendo al suo vescovo e pastore, appartiene in quanto tale alla struttura essenziale della Chiesa.

Tuttavia, in epoche diverse, questa stessa struttura assume forme che possono variare.

Il modo di funzionamento in seno a ogni Chiesa particolare, come pure i vari raggruppamenti di più Chiese particolari, appartengono alla forma concreta e all'organizzazione.

È, naturalmente, il caso delle « Chiese locali » localizzate dalla loro origine e dalle loro tradizioni.

5.2. Unità e diversità

Premesse queste distinzioni, si deve sottolineare che per la teologia cattolica dell'unità e della diversità della Chiesa s'impone un riferimento originario, quello della Trinità differenziata delle persone nell'Unità stessa di Dio.

La distinzione reale delle persone non divide affatto la natura.

La teologia della Trinità ci mostra che le vere differenze possono sussistere unicamente nell'Unità; invece, ciò che non possiede unità non ammette la differenza ( cf. J. A. Moehler ).

In modo analogo possiamo applicare queste riflessioni alla teologia della Chiesa.

La Chiesa della Trinità ( cf. Lumen Gentium, n. 4 ), di cui molteplice è la diversità, riceve la propria unità dal dono dello Spirito Santo, egli stesso vincolo d'unità tra il Padre e il Figlio.

L'universale « cattolico » va dunque distinto dalle false figure dell'universale connesse sia con le dottrine totalitarie sia con i sistemi materialistici, sia con le false ideologie della scienza e della tecnica, sia ancora con le strategie imperialiste di qualsiasi origine.

Non lo si può neppure confondere con un'uniformità che distruggerebbe le legittime particolarità, e neanche lo si potrebbe assimilare a una rivendicazione sistematica di singolarità che minaccerebbe l'unità essenziale.

Il Codice di Diritto Canonico ( can. 368 ) ha ripreso la formulazione della Lumen Gentium ( n. 23 ), secondo la quale « la sola e unica Chiesa Cattolica sussiste nelle Chiese particolari e a partire da esse ».

Tra le Chiese particolari e la Chiesa universale esiste quindi una reciproca interiorità, una specie di osmosi.

La Chiesa universale, infatti, trova la sua esistenza concreta in ogni Chiesa in cui è presente; mentre ogni Chiesa particolare è « formata a immagine della Chiesa universale » ( Lumen Gentium, n. 23 ) con la quale vive in intensa comunione.

5.3. Il servizio dell'unità

Nel cuore del reticolo universale di Chiese particolari, che compongono l'unica Chiesa di Dio, troviamo un centro e un punto di riferimento: la Chiesa particolare di Roma.

Essa è la Chiesa con cui - come scrive Sant'Ireneo - « deve necessariamente accordarsi l'intera Chiesa », e che presiede alla carità e alla comunione universale ( cf. Sant'Ignazio d'Antiochia, Ep. ad Rom., prooemium ).

Cristo Gesù, Pastore eterno, infatti, « affinché lo stesso Episcopato fosse uno e indiviso, prepose agli altri apostoli il beato Pietro e in lui stabilì il principio e il fondamento perpetuo e visibile dell'unità della fede e della comunione » ( Lumen Gentium, n. 18 ).

Successore dell'apostolo Pietro, il Pontefice romano è il vicario di Cristo e il capo visibile di tutta la Chiesa sulla quale esercita « la potestà piena, suprema e universale » ( Lumen Gentium, n. 22 ).

La Costituzione non intende dissociare la dottrina, che essa ripropone relativamente al primato e al magistero del Pontefice romano, dalla « dottrina concernente i vescovi successori degli Apostoli » ( cf. Lumen Gentium, n. 18 ).

Il collegio dei vescovi, che succede a quello degli Apostoli, manifesta insieme la varietà, l'universalità e l'unità del popolo di Dio.

Ora « i vescovi, successori degli Apostoli, reggono, col successore di Pietro, vicario di Cristo e capo visibile di tutta la Chiesa, la casa del Dio vivente » ( Lumen Gentium, n. 18 ), cioè la Chiesa.

Ne segue che il Collegio episcopale « è pure, insieme con il suo capo il romano Pontefice, e mai senza di esso, soggetto di suprema e piena potestà su tutta la Chiesa » ( Lumen Gentium, n. 22 ).

Ogni vescovo, nella propria Chiesa particolare, « è solidale con tutto il corpo episcopale cui è stato affidato, a imitazione del collegio apostolico, il compito di vigilare sull'integrità della fede e sull'unità della Chiesa » ( Paolo VI, Esortazione apostolica « Quinque iam anni », 8 dicembre 1970, alla fine del n. II ).

Perciò è « tenuto ad avere per tutta la Chiesa una sollecitudine che, sebbene non esercitata con atto di giurisdizione, sommamente contribuisce tuttavia al bene della Chiesa universale » ( Lumen Gentium, n. 23 ); così pure, egli governerà la propria diocesi nella persuasione che questa « è formata a immagine della Chiesa universale » ( Lumen Gentium, n. 23 ).

Il « senso collegiale » ( affectus collegialis ) che il Concilio ha ravvivato nei vescovi si è concretamente tradotto, in seguito, mediante l'importante funzione svolta dalle Conferenze Episcopali ( cf. Lumen Gentium, n. 23 ).

In seno a tali istanze, i vescovi di una nazione o di un territorio esercitano « insieme » o « congiuntamente » alcune loro responsabilità apostoliche e pastorali ( cf. Christus Dominus, n. 38 e Codice di Diritto Canonico, can. 447 ).

Si può anche sottolineare che le Conferenze Episcopali sviluppano spesso tra loro relazioni di vicinanza, di collaborazione e di solidarietà, soprattutto a livello continentale.

Vediamo, così, assemblee episcopali continentali riunire delegati delle diverse Conferenze nel quadro delle grandi aree del mondo; per esempio:

il Consiglio Episcopale Latinoamericano ( CELAM ),

il Symposium delle Conferenze Episcopali dell'Africa e del Madagascar ( SECAM ),

la Federazione delle Conferenze Episcopali dell'Asia ( FABC ),

il Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee ( CCEE ).

Codeste assemblee propongono alla nostra epoca, che conosce l'unificazione e l'organizzazione di grandi aree geopolitiche, una figura concreta dell'unità della Chiesa nella diversità delle culture e delle situazioni umane.

L'utilità, anzi la necessità, pastorale delle Conferenze Episcopali come pure i loro raggruppamenti su scala continentale, è indiscutibile.

È lecito però per tale motivo scorgere in essi, come talora si fa, per il fatto che vi si svolge un lavoro in comune, istanze specifiche « collegiali » nel senso stretto inteso dalla Lumen Gentium ( n. 22s ) e dalla Christus Dominus ( nn. 4-6 )?

Questi testi non consentono, a rigor di termine, di attribuire alle Conferenze Episcopali e ai loro raggruppamenti continentali la qualifica di « collegiali » ( il termine « collegialità » come tale non è stato usato dal Concilio Vaticano II ).

Infatti, la collegialità episcopale che ha il suo fondamento nella collegialità degli Apostoli è universale e, s'intende, rispetto all'insieme della Chiesa, della totalità del corpo episcopale in unione con il Papa.

Queste condizioni si verificano pienamente nel Concilio Ecumenico e si possono verificare nell'azione unitaria dei vescovi che risiedono nelle diverse parti del mondo secondo le indicazioni stabilite nel decreto Christus Dominus, n. 4 ( cf. Lumen Gentium, n. 22 ).

In certo qual modo possono verificarsi anche nel Sinodo dei Vescovi, che può ritenersi espressione vera, benché parziale, della collegialità universale, perché, « rappresentando tutto l'episcopato cattolico, insieme dimostra che tutti i vescovi sono partecipi, in gerarchica comunione, della sollecitudine della Chiesa universale » ( Christus Dominus, n. 5; cf. Lumen Gentium, n. 23 ).

Al contrario istituzioni come le Conferenze Episcopali ( e i loro raggruppamenti continentali ) derivano dall'organizzazione o dalla forma concreta della Chiesa ( iure ecclesiastico ), l'uso, nei loro riguardi, dei termini « collegio », « collegialità », « collegiale », è dunque solo in un senso analogo, teologicamente improprio.

Asserendo ciò, non si diminuisce affatto l'importanza della funzione pratica che le Conferenze Episcopali e i loro raggruppamenti continentali devono svolgere in futuro, specie per ciò che concerne le relazioni tra le Chiese particolari, le Chiese « locali » e la Chiesa universale.

I risultati già conseguiti consentono di provare, al riguardo, una fondata fiducia.

Rimane il fatto che nella condizione peregrinante, come è la nostra, i rapporti tra le Chiese particolari tra di loro come pure quelli con la Sede di Roma, incaricata del ministero dell'unità e della comunione universali, possono talora dimostrarsi difficili.

L'inclinazione peccaminosa degli uomini li spinge a tramutare le differenze in opposizioni, per cui bisogna senza sosta ricercare, nella comunione con la Sede di Roma e sotto la sua autorità, le modalità più adatte a esprimere l'universalità cattolica, che permetta la compenetrazione degli elementi umani più diversi nell'unità della fede.

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