I servi di Cana

Capitolo 5

Laudato si' mi Signore

per quilli che perdonano

per lo tuo amore

e sostengo' infirmitate

et tribulatione;

beati quilli, che sosterranno

in pace

ka da te, Altissimu,

sirano incoronati.

La riflessione appena terminata sulla dimensione culturale dell'Unione Catechisti del SS. Crocifisso e della Casa di Carità sgorgata dalle più intime fibre di Fra Leopoldo può lasciare perplessi.

Può anche dare l'idea di una forzatura, di un qualcosa di voluto per arricchire il quadro e dare più tonalità.

Ma nulla di fantasioso abbellisce il cammino del piccolo francescano.

Bisogna accettare umilmente quanto è avvenuto.

È il modo di agire di Dio.

C'è sempre dello stupefacente in Lui e anche nel caso di Fra Leopoldo tutto diviene « divinamente » normale.

Esistono nella Storia del Cristianesimo pagine di questo tipo.

Non si può affermare sorridendo che tutto viene inventato per creare il personaggio.

Dio e i suoi strumenti non si inventano.

Si può rimanere ammutoliti, questo sì!

Ma non si può dimenticare che le vie di Dio non sono le vie dell'uomo.

Mi piace, come domenicano, fare un paragone.

Nella primavera del 1347 nasceva nella contrada di Fontebranda a Siena, Caterina, figlia di Lapa e Jacopo Benincasa.

All'apparenza nulla di fenomenale.

Identico il clima della cucina di quella famiglia a quello in cui Fra Leopoldo tesse il suo dialogo con l'Assoluto.

Caterina nulla sa della cultura.

È contemporanea del Petrarca, del Boccaccio, del Sacchetti, di Jacopo Passavanti, di Wicliff, di Huss, di Santa Brigida di Svezia, di San Vincenzo Ferreri, del Beato Giovanni Dominici.

Ma lei non conosce neppure l'ombra del messaggio di questi pensatori.

L'unica cosa che dall'infanzia la affascina è la figura del Crocifisso di cui un giorno porterà le stigmate.

Nella pace della contrada, accanto al focolare dinanzi al quale monna Lapa si affanna, Caterina viene preparata per divino disegno alla sua missione.

La Storia si inchina oggi davanti alla personalità di Caterina.

e nessuno può negare quanto avvenne lungo l'arco della sua vita agitata e turbinosa.

Con estremo stupore anche il non credente, anche colui che deride il senso del « sacro » ammira la potenza culturale, la grandezza spirituale di questa donna avvolta dall'amore della Croce.

Caterina, spirito di Siena fatto Storia.

Con lei Dio intreccerà il suo discorso nella solitudine della casa, con lei Dio raggiungerà Papi, Cardinali, Vescovi, Principi e Regnati, umile gente o delinquenti incalliti.

Affascinata dalla personalità di San Domenico, ne riveste l'abito e diviene la testimonianza di come si usa l'anima domenicana d'istinto.

Qualcosa succede.

Caterina è sempre lei ma la sua non-cultura, il suo analfabetismo diventano testi di alta letteratura umana e cristiana.

Il martellare del suo fraseggiare toscano così fresco è sconvolgente.

Quelle parole che sono veramente pietre raggiungono il mondo intero.

E la « ragione » segreta è chiusa in quel suo « sensus Christi », quella sua fede ricamata di fuoco e di sangue.

Sorride dell'amore umano dove trova tanto « fuoco di paglia » e « fumo di dolore ».

Pone il tema del comandamento nuovo, il tema d'amore al di sopra di tutto.

La voce della Croce la rende come ebbra.

C'è qualcosa di più da offrire alla vita, e lo dice.

Il suo tempo ne rimane capovolto.

Sotto il realismo del suo dire Caterina offre in continuazione la vivida presenza di Cristo nella Storia.

Non la spaventano gli ostacoli.

Il dolore non è più dolore.

Il soffrire non è più soffrire.

L'idea-luce che la porta su tutte le strade, accanto ai destini più disparati rimane sempre ciò che è successo sul Calvario.

È presa in un turbine evangelico che letteralmente mozza il fiato.

Lei, Caterina Benincasa, diviene trascinatrice, ultima spiaggia di mille coscienze.

« Correte, dunque, correte, correte », e il suo grido si ripercuote oltre Siena, oltre l'Italia.

Valica confini incredibili.

Giunge al Vicario di Cristo, Gregorio XI, chiuso nel « turpe esilio » di Avignone.

« Su, virilmente Padre! » dice Caterina al Padre.

« Al tempo della battaglia daremo la vita per la Vita, il sangue per il Sangue ».

E il Pontefice torna a Roma.

Caterina supera ogni barriera con quel suo « io voglio » che arriva dalla Croce.

« L'anima è un arbore fatto per l'amore » dice.

« Corriamo, corriamo ché il tempo è breve ...

Tenete il cuore vostro e fate che sia una lampada diritta ...

Cristo non ha conformità con l'oro ...

Volendo pena, tu hai diletto e volendo diletto tu hai pena ... »

Caterina muore a Roma nell'aprile del 1380.

Le sue ultime parole: « Sangue, sangue! »

L'Ordine Domenicano la porrà al livello del Dottore Angelico Tommaso d'Aquino, ma l'analfabeta di Fontebranca riceverà lòa sua laurea secoli dopo.

Toccherà a Paolo VI, in pieno secolo XX, mentre il furore dell'ateismo incalza, mentre la Chiesa è in piena crisi, dichiarare ufficialmente al mondo che la figlia del tintore Jacopo Benincasa è tra i sommi della cultura e della santità del Cristianesimo.

Ironia della Provvidenza.

Nel tempo della tecnologia e dei computer, mentre si sbraita di nuove politiche e scoperte scientifiche, il Pontefice romano Giovanni Battista Montini, uomo di raffinatissima cultura e di sensibilità umana ed evangelica straordinarie, affida agli uomini del tormentato oggi il messaggio che giunge da una incolta ragazza di Siena, semplicemente appassionata del Crocifisso.

Mi pare che ci sia un tema ricorrente in tutte le generazioni cristiane.

Il Corpo e il Sangue di Cristo vengono in continuazione riproposti alle persone più insignificanti e nei luoghi più impensati.

Caterina da Siena e Fra Leopoldo ripresentano, pur distanziati dal tempo, lo stesso contatto divino fatto attraverso gli ultimi della terra.

Caterina innamorata del « Sangue » di Cristo lo annunzia agli uomini del suo tempo come bagno della vita.

Fra Leopoldo nel nostro « oggi » innamorato delle « Piaghe » del Cristo le illumina come porte della vita.

Dio ha veramente un'ironia che turba, disintegra, se ci si ferma a pensare.

È strano il nostro modo di vedere la vita.

Ci misuriamo secondo la chimica.

Ciò che sta invece all'origine del nostro « essere » non interessa.

Ritorna ancora una volta questa cosa stranissima che non muove assolutamente la stragrande maggioranza di noi.

Ma perché dobbiamo essere un fiume senza « Sorgente »?

chi ci dà il diritto di gridarlo e di stamparlo senza farci riflettere un poco?

Non si ha credito perché si introduce nel discorso un personaggio che solitamente è bestemmiato: Dio!

Si campeggia poco volentieri con una figura simile.

Normalmente interessa giungere al livello dei personaggi che nella vita incarnano il successo.

Ma Dio? Dio è Croce.

E dietro quella Croce che cosa c'è? Perché tanto astio, tanta guerriglia in duemila anni?

Che terrore induce questo Cristo Crocifisso?

Domande che attendono in ogni generazione una risposta.

Non dalle masse ma da ognuno.

Perché ognuno è vita.

Ognuno porta con sé il suo segreto, la sua grande « ragione ».

È qui che si capisce sempre di più il tema d'amore.

È qui che viene messa in risalto la preoccupazione di Cristo nel suo discorso-testamento del giovedì prima di andare a morire.

Perché l'Amore?

E perché in duemila anni in nome di questa realtà sono vissute e morte persone che potevano anche fare a meno di pensieri di cielo?

Poi uno improvvisamente crolla, perché si accorge che non si sta facendo Storia ma si sta parlando di un qualcosa che « avviene ».

Fra Leopoldo è un qualcosa che « avviene » come Caterina da Siena.

Un'azione che resiste, è un figlio di un momento misteriosissimo di Dio che ci sfugge.

La sua vita scorre nell'amore, nell'infermità, nel perdono.

A che serve la prepotenza se poi giunge la grande porta che si apre?

A volte c'è da invidiare una cucina, delle pentole, delle marmitte.

A volte uno pensa che sarebbe bello vivere senza nessuna fede.

Passare questa avventura terrena così come succede.

Ma poi c'è il mondo di Dio che ha una sua dimensione.

Bisogna fare i conti con il mondo di Dio.

No perché Lui sia il Padrone e il Ragioniere dannato che finge e distrugge.

Ma perché c'è quella preoccupazione di Cristo nel discorso dell'ultima Cena, perché c'è la Croce, perché c'è il dolore terrificante di Maria e soprattutto perché c'è il tradimento dei discepoli dal primo all'ultimo, nessuno escluso.

Magari qualcuno avesse forgiato un Cristo duttile, elastico o su misura come è successo soltanto mezzo secolo fa per certi capi-scuola politici.

No. Il Cristo è quello di sempre.

L'orrore che emana resta invariato.

La Chiesa è quella di sempre.

D'accordo con la sua immaturità nell'accostarsi alla Croce.

D'accordo i suoi momenti bui.

Ma il « meraviglioso » che racchiude è innegabile.

Quanto avviene, e non sono sfumature, ha diritto di cittadinanza nei nostri pensieri.

Fra Leopoldo Musso è un fatto.

E contro i fatti non ci sono ragionamenti che tengano.

Una cosa è curiosa, però.

Come mai quando si parla di Dio si è così suscettibili?

Fra Leopoldo che ha l'esperienza del Corpo e del Sangue di Cristo, senza essere sacerdote, annota nel suo Diario: « Come è bello conversare con Dio nel SS. Sacramento nelle ore silenziose! » ( 28 ottobre 1908 ).

Le persone « normali » non parlano così.

Ma Giovanni Paolo II il 24 febbraio 1980 inviava ai Vescovi del mondo una lettera sul mistero e il culto della SS. Eucarestia.

Scriveva il Papa: « Essendo Sorgente di carità, l'eucaristia è stata sempre al centro della vita dei discepoli di Cristo.

Essa ha l'aspetto di pane e di vino, cioè di cibo e di bevanda, è quindi così famigliare all'uomo, così strettamente legata alla sua vita, come sono appunto il cibo e la bevanda.

La venerazione di Dio che è Amore, nasce nel culto eucaristico da quella specie di intimità nella quale Egli stesso, analogamente al cibo e alla bevanda, riempie il nostro essere spirituale, assicurandogli come quelli la vita.

Tale venerazione "eucaristica" di Dio corrisponde strettamente quindi ai suoi piani salvifici.

Egli stesso, il Padre, vuole che i "veri adoratori" Lo adorino proprio così, e Cristo è interprete di quel volere, e con le sue parole e insieme con questo Sacramento, nel quale ci rende possibile l'adorazione del Padre nel modo più conforme della sua volontà »

L'immaginazione si fissa su Fra Leopoldo nella Chiesa del suo Convento francescano a Torino, nei momenti della sua Adorazione.

Che cosa poteva dire o chiedere un semplice cuoco all'Universo che gli si spalancava dinanzi?

Credo che la cronaca più bella, il documento più significativo siano gli occhi.

Fra Leopoldo non vuole vedere nulla.

I suoi occhi sono chiusi.

Si sforza di rivivere, di ossigenarsi evangelicamente.

È così che ognuno diventa protagonista.

Qualcuno nell'ultima Cena appoggiò il capo sul petto di Cristo in segno di amicizia ma anche, inconsciamente, di riparazione.

E l'ultimo messaggio, quello più drammatico e insieme più incredibile giunge proprio nel momento di solitudine e di abbandono cui il Cristo è già condannato e crocifisso.

Le parole al ladro.

« Oggi sarai con me in Paradiso! »

La vera Incoronazione a Sovrano di un mondo alla ricerca della speranza...

Fra Leopoldo, che è un innamorato della « Sorgente », trova nell'Eucarestia la testimonianza continua e dolorosa del Crocifisso.

Non fa distinzione tra Croce e tabernacolo.

Non esistono in lui le sottili elucubrazioni del teologo sempre attento alle angolature.

Il Cristo è il Cristo.

e per Fra Leopoldo si tratta di un « Qualcuno » che soffre in una terrificante solitudine, un « Qualcuno » che ha paura della notte e del freddo e invoca con voce flebilissima un poco di comprensione.

L'attenzione e l'adorazione che incollano Fra Leopoldo al tabernacolo non sono altro che la scoperta di un fatto che « avviene » in continuazione, una « presenza reale » di amore che va contraccambiato, al quale bisogna sapere offrire una delicata e perenne vicinanza.

Le parole tecniche che imprigionano il dogma sono sconosciute a Fra Leopoldo.

Ma il francescano abituato a una « teologia per vivere » è certo che la piccola fiamma che arde nel silenzio della Chiesa di San Tommaso indica la presenza fisica di « Lui », il Suo sconfinato soffrire.

L'altare diviene ogni giorno Croce e sulla Croce, fra le mani del Sacerdote, si offre realmente la Redenzione.

Ciò che per i grandi teologi può diventare un banco di prova per dimostrare cultura, erudizione, informazione, scienza, per Fra Leopoldo è vita che continua a soffrire, morire e risorgere, per continuare nel tempo attraverso l'arco delle generazioni la domanda di riparazione verso un amore non amato, non capito.

Fra Leopoldo si trova a proprio agio dinanzi al tabernacolo.

Formato dalla Mistica purissima del Francescanesimo non si crea degli imbarazzi inutili.

Lascia da parte ragionamenti e orgoglio per avviarsi serenamente in compagnia della fede e rimanere accanto al suo Signore sofferente.

Dire che Fra Leopoldo si immedesima nella figura « abbracciata » alla Croce è poco.

L'Adorazione che il francescano offre alla « Presenza reale » è di taglio profondamente eucaristico.

Durante l'arco della giornata non può fare a meno di pensare a Cristo.

E per Fra Leopoldo il Cristo rimane sempre identico.

Non vi sono sfumature differenti.

Folgorato dal Calvario, ripercorre in continuazione dentro l'anima la via dolorosa fino allo spasimo della Crocifissione.

La sua Adorazione eucaristica diviene allora totale.

Raccoglie in sé ogni attimo di attenzione per riproporre senza fine la grande ragione dell'accorata richiesta che arriva dal Crocifisso moribondo.

La giornata di Fra Leopoldo diviene pienamente eucaristica perché totalmente avvinta al fatto sconcertante che la Croce continua nel tempo il suo dolore divino.

E l'eco della Eucaristia giunge in ogni gesto, azione o pensiero di Fra Leopoldo, come risposta di riparazione alla sete del giovane Maestro inchiodato al patibolo.

Dalla « Sorgente » sgorgano nel tempo le limpidissime acque della grazia.

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