I servi di Cana  

Capitolo 6

Laudato si' mi' Signore

per sora nostra

morte corporale

da la quale nullu

homo vivente

po skappare.

Fra Leopoldo muore il 27 gennaio 1922 alle ore 0,30'.

Questa non è una biografia per riproporre le ultime pagine di un tessuto vitale.

Non mi interessano le impressioni, il fatto stesso che Fra Leopoldo avesse previsto il giorno e il momento della fine.

Mi preoccupa, o meglio m'intenerisce il fatto che tutto ciò avvenga a Torino.

Fra Leopoldo aveva profetizzato un Tempio in quella città in onore di Gesù Crocifisso.

La presenza della Sindone doveva essere sottolineata in un modo estremo.

I confratelli guardarono a lungo il cadavere del piccolo cuoco converso.

Qualche religioso forse sorrise.

La preoccupazione era finita.

Tutto « quel che si dice » che aveva avvolto la vita di Fra Leopoldo era finalmente giunto al termine.

Ora egli giaceva esanime pronto per la bara.

Qualche altro frate guardò con impazienza l'orologio.

Quando sarebbe giunto il mattino?

Fra Leopoldo Musso, frate scomodo con le sue visioni e i suoi Diari spirituali era spirato.

Gli ultimi tempi erano stati amari per il francescano di San Tommaso.

Qualcosa aveva ostacolato improvvisamente il progetto trasmesso a Fra Leopoldo dal SS. Crocifisso.

Si trattava della Casa di Carità Arti e Mestieri.

Quella parola « Carità » non pareva godere il favore di molti.

Fra Leopoldo il 4 luglio 1920 aveva scritto al Comitato della Casa: « Ciò che raccomando di più a quelli del comitato, è che se venisse in mente a qualcuno di mettere in dubbio l'opera o di farla indietreggiare, se ne guardi, per amore del cielo; è meglio che esca lui stesso perché con Dio non si scherza...

E questa opera di Carità Arti e Mestieri, voluta da Dio nella sua grande Misericordia per la salvezza del mondo, appoggiata unicamente sulla bontà, sulla fede, sulla carità di Gesù Cristo si estenderà nel corso degli anni in tutto l'universo ».

Fratel Teodoreto ricorderà quei giorni di angoscia nella sua biografia.

« Tali motivi soprannaturali portarono Fra Leopoldo ad insistere sul nome di "Casa di Carità"; le opposizioni incontrate lo fecero soffrire assai, perché considerava tale nome come programma e mezzo per mantenere all'istituzione il carattere cristiano soprannaturale, dal quale non deve allontanarsi mai.

Al Fratel Direttore Isidoro che già aveva sostenuto con fermezza doversi all'istituzione mantenere il titolo di Casa di Carità, scrisse come aiuto il biglietto seguente: "Carissimo e Venerando Signor Direttore Fra Isidoro di Maria, con mio gran rincrescimento debbo farle noto il detto del Signore ove dice: Non vorrei che la Casa di Carità Arti e Mestieri venisse ostacolata per opera d'uomo.

Ora si presenta tanta difficoltà per un nome sì minimo e umile.

Non dare il nome come vuole il Signore è disconoscere l'opera di Dio.

Il non conformarsi ai voleri di Dio è allontanare dalla Casa la sua benedizione, e in tale mancanza come e che cosa faremo noi?

Ossequi nel Signore, Fra Leopoldo Maria".

Uni dei consiglieri dimissionari si era recato dal Padre Provinciale e dal Padre Guardiano, superiori di Fra Leopoldo, per indurli a prendere provvedimenti contro il loro inferiore.

al religioso fu allora fatto divieto di occuparsi della scuola e di ricevere persone esterne.

Fra Leopoldo sopportò ogni cosa con pazienza, soffrendo la sua parte di martirio per amor di Dio » ( Nella intimità del Crocifisso, pag 176 )

È il momento dell'abbandono totale.

Unico conforto è il ricordo dei dialoghi con il suo Signore.

Nell'isolamento più completo Fra Leopoldo riprende il cammino a ritroso.

Il tema della Redenzione lo avvolge e annulla in certi istanti l'agonia della solitudine.

Il sorriso riaffiora nel risentire la voce timida del Crocifisso che chiede quasi in un sussurro: « Leopoldo sei contento di me? »

Come non poteva essere contento del suo Maestro dopo averlo seguito e ascoltato tutta la vita?

D'accordo che l'uomo di ogni generazione e di ogni latitudine avrebbe sempre sentito scontentezza nel confronti dell'Assoluto.

Ma Fra Leopoldo non poteva ribellarsi, non poteva cedere in nome di un benessere passeggero e dimenticare il « freddo » che opprimeva il Crocifisso, il desiderio di calore che Lo portava a chiedere come un mendicante con la mano tesa un attimo di attenzione.

Il francescano sapeva da sempre che il problema dell'uomo consisteva nell'essere contento di Dio.

Alla vigilia della morte non voleva costruirsi turbamenti peggiori.

Accettava serenamente di starsene dalla parte del Crocifisso in quell'isolamento al quale era stato condannato da strani calcoli degli uomini.

È il 14 dicembre 1921.

Manca poco più di un mese alla conclusione dell'avventura terrena che Dio gli aveva progettato.

Fra Leopoldo fissa un'ultima nota sul suo Diario: « O mio Gesù, perché povero, perché non nobile, perché semplice tutti mi hanno abbandonato! »

È un momento di sfogo, frutto di quella dolcissima intimità che unisce in simpatia il Crocifisso e il converso francescano.

Ciò che aveva mantenuto sempre limpido il cammino di Fra Leopoldo era stato il dono di quella simpatia giunta dal Calvario.

Chissà se un giorno l'umanità avrebbe afferrato e capito la potenza di quella carità.

L'unico grande rammarico era quello di non poter proseguire la seminagione della Croce.

Qualcuno forse un giorno avrebbe accettato di tendere la mano verso il ricordo di Fra Leopoldo per affrontare in termini sempre più precisi la crudezza, la meraviglia, la grandiosità della Redenzione.

Qualcuno avrebbe accettato di fermarsi in ascolto accanto al personaggio Gesù Crocifisso - Risorto.

C'erano, è vero, dei momenti di acuto dolore e delusione per quanto stava avvenendo sul progetto offerto dal Cielo sulla Casa di Carità Arti e Mestieri, ma tutto ciò non aveva importanza davanti al poter rimanere solo con il Solo.

Il Cantico delle Creature volgeva al termine anche nell'umilissima storia di un cuoco frate minore: « altissimu onnipotente bon Signore, tue so le laude, la gloria et l'onore er amne benedictione.

A te solo Altissimu, se confano et nullu omu esse dignu Te mentovare ».

Fra Leopoldo non poteva sapere che nel 1983 a Boston sarebbe comparso un libro che avrebbe parlato in un modo elettrizzante proprio del Crocifisso rifacendosi alla Sindone di Torino.

Si tratta del famoso Report on the Shroud of Turin di John H. Heller.

Eccone un brano: « Tutte le fotografie di un uomo, di una statua o di un paesaggio, che sono piatte o bidimensionali, sullo schermo del VP-8 risultano distorte.

È solo quando la reale profondità o lontananza è data d aun minor apporto di luce che il VP-8 può produrre una foro tridimensionale.

Jackson spiegò a Mottern la teoria del fattore distanza nel caso del corpo riprodotto dal sudario e Mottern propose: "Perché non mettiamo le foto della Sindone nel VP-8?" Jackson, sempre pronto a provare nuove idee, accettò, pur sapendo che da una foto piatta si può ricavare solo un'immagine distorta!

Misero la foto della sindone nel VP-8 e girarono le manopole.

Ad un tratto i due uomini videro emergere dalla nebbia elettronica dello schermo un'immagine perfetta a tre dimensioni di un uomo flagellato e crocifisso.

"Impossibile! Assurdo! Pazzesco!" Sì, ma l'immagine c'era.

e i due scienziati rimasero a guardarla...

I capelli lunghi, la barba folta e i baffi, la serenità del volto di un uomo crudelmente flagellato e crocifisso, tutti questi elementi divennero vivi, dando a Jackson e a Mottern la strana impressione di guardare in viso un uomo vero, non un dipinto o una scultura...»

Quel volto!.. Fra Leopoldo ritornava con estrema commozione a fissare sempre di più tutto il muto messaggio che il dolore racchiuso nella morte di Dio effondeva.

La vita era giunta al termine.

Pareva quasi che stentasse a morire.

Gli dava come un profondo fastidio il sentirsi confinato dall'obbedienza, in quella solitudine che ora appariva così tetra.

Anche Fratel Teodoreto taceva.

La grande amicizia che aveva legato in converso francescano al figlio di Giovanni Battista de La Salle sembrava completamente svanita.

Fra Leopoldo si tempestava di domande in quegli ultimi istanti che lo separavano dalla morte.

Quale sarebbe stata la conclusione?

ancora una volta riaffiorava l'ultimo detto del Diario: « O mio Gesù, perché povero, perché non nobile, perché semplice tutti mi hanno abbandonato! »

Non accettava di morire così senza affidare almeno alla speranza il futuro di quel progetto che il Crocifisso aveva racchiuso nelle sue mani di fuoco.

In definitiva non era Fra Leopoldo la grande « ragione » su cui si sarebbe basata nel futuro l'espansione di quel carisma dolcissimo legato all'intimità con Dio.

Qualcuno al di sopra della sua piccola storia e delle chiacchiere umane vegliava.

Tutto questo gli offriva fiducia nella Parola di quel Signore che nell'arco di una vita intera si era degnato di parlare di lui.

Venne la morte.

Tutto sembrava definitivamente cancellato.

Ma Dio non permise che Fra Leopoldo sparisse con il suo messaggio.

Fratel Teodoreto accoglie in sé a nome di tutto il mondo lasalliano quel messaggio come un'eredità per vivificare intensamente la vita dei suoi Catechisti e costituire un cammino nuovo, sempre più attento a mantenere vivida l'intimità con il Crocifisso in una Adorazione che si allargherà per tutte le strade del mondo.

L'Unione Catechisti, come scossa da un brivido, ebbe improvvisamente il « sospetto di Dio ».

Il volto dell'uomo della Sindone poneva a tutti una terrificante e insieme stupenda riflessione.

Era necessario giungere alla ripresa di contatto con quel progetto che il Crocifisso stesso aveva racchiuso nelle umili mani di Fra Leopoldo.

È a questo punto che non si può parlare di morte.

La « morte » nel Cristianesimo è un fatto declassato.

Dinanzi al Redentore-Risorto non si poteva parlare che di vita.

Fra Leopoldo era giunto quindi non al termine di un cammino ma all'inizio di un servizio

Fra Leopoldo non poteva rimanere dunque inattivo.

A Torino egli aveva lasciato il suo dialogo con il mistero dell'Uomo della Sindone.

e quel dialogo continuava.

Il 13 aprile del 1980 il Papa Giovanni Paolo II va a Torino in visita pastorale e spirituale.

Vuole venerare il « segno » perenne del Crocifisso.

all'incredibile folla che si assiepa davanti al Duomo, il Pontefice romano parla della morte di Dio come Redenzione.

spiega cioè come Cristo abbia dato la vita per l'uomo.

Toccherà proprio a Giovanni Paolo II testimoniare nella propria carne il 13 maggio dell'anno successivo in Piazza san Pietro il contatto vivido con il Crocifisso.

il Papa colpito spaventosamente dalla pistola del turco Alì Agca.

La storia gelida della cronaca porrà quel giallo su una pista bulgara che conduce forse oltre.

Ma a livello di « segno » per tutto il Cristianesimo quell'atto induce alla riflessione.

Il Crocifisso ritornava improvvisamente alla luce con tutta la sua sconvolgente richiesta d'amore.

Il messaggio di Fra Leopoldo prendeva stranamente vitalità.

Gli uomini sotto ogni latitudine si sentivano obbligati a domandarsi se erano « contenti di Dio ».

Si riproponeva in termini ben precisi il vivere profondamente nella intimità del Crocifisso.

La vita di Fra Leopoldo acquista ora la sua angolatura sottolineata.

Il cuoco di San Tommaso lancia il suo messaggio a coloro che vogliono avere e sapere.

È stupendo rileggere per l'ultima volta la conclusione del lungo dialogo tra il Crocifisso-Risorto e il suo messaggero: « O mio Gesù, perché povero, perché non nobile, perché semplice tutti mi hanno abbandonato! », e Gesù: « Fa' coraggio! non siamo due amici? » ( 14 dicembre 1921 )

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