Segretario del Crocifisso

Prefazione

« E nel Suo tempio tutto dice: Gloria! »

( Sal 29,9 ) Trad. e. Zolli

Avevo completamente dimenticato di aver fatto una recensione alla vita di Fra Leopoldo, scritta da Fratel Teodoreto.

Perciò non piccola fu la mia sorpresa, leggendo nella vita di Fratel Teodoreto, scritta dal Postulatore Generale Fratel Leone di Maria, un pezzo di quella recensione, postillato dallo stesso Fratel Teodoreto ( pp. 216-217 ) in un senso che, se manifesta l'alto suo spirito Lasalliano, non mi trova consenziente sopra un punto che ritengo sincera espressione del mio pensiero, su queste due anime belle.

Quel pezzo di recensione lo riferisco qui perché la mia presentazione del libro non potrebbe, anche oggi, essere diversa.

« In 23 capitoli Fratel Teodoreto, con serena obiettività storica e caldo sentimento di fede, ci racconta come può di mezzo alle marmitte saltar fuori un santo, cioè un credente che ama Dio e Lo serve ogni giorno, nell'eroicità nascosta del quotidiano dovere.

Chi conosce l'episodio di Fra Tommaso d'Acquino che va a visitare Fra Bonaventura di Bagnorea e, trovatolo occupato a scrivere la vita di Fra Francesco d'Assisi, dice quelle famose parole:

" È un santo che scrive d'un altro santo", non può non ripeterle nel suo intimo e ritrovare, nella convergenza di due raggi d'anima, lo splendore d'una medesima luce emanante dal Cristo Gesù ».

Secondo quanto riferisce il Catechista Congregato Rag. Cesone, « Fratel Teodoreto non trovò giusta l'insinuazione che lui fosse un santo scrivente la vita di un altro santo ».

E, accennando a me, soggiungeva: « Digli che è una turibulata che rompe la punta del naso e toglie la gloria a Dio ».

Su questo, Fratel Teodoreto non credo che mi abbia trovato consenziente e sono lieto di poter confermare il mio giudizio in questa mia prefazione del suo libro.

Quando mi venne a trovare, in quel tempo ormai lontano, non lo vidi colla « punta del naso » rotta, perché, a vero dire, si trattava di una « turibulata » metaforica, né lo conoscevo tanto da giudicare certe interiori reazioni dello spirito che fiuta il vento infido.

Posso dire soltanto che, accennando alle « marmitte » del cuoco di S. Tommaso, pensavo alla famosa « marmitta » di Geremia col non meno famoso « mandorlo »; due simboli di un'antica realtà effettuale nella storia: Dio veglia per salvare ( Ger 1,11-13 ).

Ora tutti sanno che l'albero fruttifero chiamato « mandorlo » era detto il vigilante come colui che spia il ritorno e lo sboccio della primavera per annunziarlo con la sua sorridente fioritura.

Quale immagine più bella del Fratello delle Scuole Cristiane che veglia sullo sboccio della primavera umana?

Ma questo allora non lo dissi.

D'altra parte abbinata al « mandorlo » c'era la « marmitta » di un Cuoco reale: non mi consta che Geremia fosse tale ... e allora scrissi quel che pensavo del racconto di Fratel Teodoreto.

E per uno che vive per lo più in quella età che W. Schubart chiamò gotica e che vagheggiò il trionfo dell'uomo armonioso, era del tutto naturale tradurre non più in termini biblici, ma in immagini medievali, la nuova armonia del Fratello delle Scuole Cristiane e del Fratello delle Cucine Francescane: ritornava spontaneo l'episodio conosciuto per tradizione di Tommaso, Bonaventura e Francesco.

Avrei dovuto, semmai, essere più modesto io, ma non pensai affatto che la dichiarazione di Tommaso potesse far gonfiare me, mentre così bene s'attagliava ai due protagonisti: non credo che quando il raglio dell'asina di Balaam fu così intelligente, essa si gonfiasse oltre il limite della sua asineria.

La mia non fu una « turibulata » ma espressione sincera di profonda convinzione.

Perciò non ebbi e non avrò mai il rimorso di aver rotto la « punta del naso » a Fratel Teodoreto o di aver tolto « la gloria a Dio »: la sua esemplare umiltà poté sentirsi a disagio, dinanzi alla mia dichiarazione che gli spiattellava sotto il naso una tale valutazione delle cose.

Ma che tale valutazione fosse giusta lo prova il fatto che il postulatore Generale Fratel Leone di Maria scrisse il suo libro, dove in primissima pagina si legge: « ... sentii, come Postulatore, il dovere di impedire un ritardo che avrebbe potuto compromettere in partenza una delle Cause più belle e promettenti » ( p. 3 ).

Quanto alla gloria di Dio nulla se ne toglie, quando se ne addita il riflesso nelle sue creature più belle, perché nel Salmo si legge: « E nel Suo Tempio tutto dice: Gloria! ».

E il grande Profeta Isaia, nella visione che determinò la sua missione carismatica, sente il canto dei Serafini che dicono: « Santo, Santo, Santo è Iahvé delle schiera; Tutta la terra è piena della sua gloria ».

Al quale fa eco il nostro grande Poeta-Teologo, scrivendo: « La gloria di Colui che tutto move nell'universo penetra e risplende in una parte più e meno altrove ».

Abbiamo qui un senso di universale subordinazione che, mentre allarga il cuore e lo libera da ogni pusillanimità e grettezza, gioiosamente accoglie lo splendore divino perché tutto e tutti nel Suo Tempio cantino la Sua Gloria, senza cercare vano diletto nella lode degli uomini.

Questo, certamente, voleva dire Fratel Teodoreto, da ottimo discepolo della Scuola di Spiritualità Lasalliana.

Ma questo stesso, io non potevo tacere, col suo senso integrale.

Avendo chiarito questo punto che rende sempre più prezioso il presente libro e ne lumeggia il contenuto edificante, mi pare doveroso chiarire un altro aspetto della questione che queste due Anime belle pongono a chi voglia approfondire il senso di certe affinità d'anime.

Non è mia intenzione esaminare l'aspetto carismatico in Fra Leopoldo: questo esame e questo giudizio appartengono alla Chiesa e al suo infallibile magistero.

Lo storico può contentarsi di poter fondatamente assicurare l'onestà e la sincerità di chi parla e opera.

Vorrei piuttosto richiamare l'attenzione sulla linea spirituale sulla quale si trovano tanto « l'uomo di cultura » quanto « l'uomo senza alcuna cultura », perché non ritengo che il rapporto che ne deriva sia quello di un « Maestro ignorante » verso un « Discepolo professore ».

Per ricondurre alla collaborazione pacifica e costruttiva l' « ordine monastico » e l' « ordine canonicale », il Vescovo Anselmo di Havelberg ( 1155 ) ricordava loro che tanto i Serafini simboleggianti l'Ordine monastico, quanto i Cherubini simboleggianti l'Ordine canonicale cantano la Gloria di Dio, proclamando la sua Santità, come si legge nel Prefazio della Messa: « Santo, Santo, Santo è il dio Sovrano delle Schiere ».

E Dante, volendo elogiare S. Francesco e S. Domenico, ricorda questa legge di amicizia: « L'un fu tutto Serafico in ardore, l'altro per sapienza in terra fue di cherubica luce uno splendore ».

Questa la profonda radice della tradizionale loro amicizia e, anche se non si videro mai, tale il senso prezioso del tradizionale abbraccio: la leggenda, qualche volta, è più vera della storia.

In questa luce, l'amicizia di Fratel Teodoreto e di Fra Leopoldo rientra nell'opera magnifica dello Spirito Santo che lavora le anime con la Carità e i Doni che l'accompagnano in tutte le anime: Sapienza, Intelletto, Consiglio, Fortezza, Scienza, Pietà, Timor di Dio.

Quell'anima semplice che traduceva tale amicizia con i colori della leggenda tradizionale sul rapporto di S. Francesco e S. Domenico, con una intuizione profondamente vera andava oltre il semplice fatto storico e svelava il segreto di certe affinità d'anima.

Per me, tale intuizione è sacra, perché ci permette di ritrovarci sulla linea cristiana che unisce i cuori dei redenti dal Salvatore Gesù Crocifisso, al Cuore della Chiesa che è lo Spirito Santo.

Il « mandorlo » e la « marmitta » ritornano nel nostro tempo, col loro senso profetico.

Dal giorno, ormai lontano, che il P. Reginaldo Giuliani, parlandomi del suo antico eccellente maestro Fratel Teodoreto, mi fece conoscere le forze vive operanti in Torino, posso dire che per me, reduce dalla missione d'Oriente, fu questo uno dei tanti motivi di speranza.

Perché a Galata e a Pancalti - due quartieri di Costantinopoli - avevo lasciato tra i Fratelli delle Scuole Cristiane amici carissimi e avevo avuto modo di conoscere e apprezzare il loro lavoro per il bene della gioventù.

Ma ritornato in Italia, ero come un naufrago che sbattuto dalla tempesta si trova scaraventato sopra un macigno e si sente tutto indolenzito e intirizzito.

Mi sembrò che quel nome ignoto racchiudesse tanti cuori vibranti d'uno stesso ideale in Oriente e in Occidente e, dopo tanto errare nel deserto, un'oasi si faceva vedere in Occidente che tanto mi ricordava l'Oriente.

E fu ancora il P. Reginaldo Giuliani che mi parlò di Fra Leopoldo Musso,quando doveva andare per una qualche predicazione dai Catechisti di Fra Leopoldo.

E ne parlava con gioiosa ammirazione, lui che in tutte le cose belle si entusiasmava e a tutte le opere di bene dava il suo contributo generoso.

Non c'è dunque da meravigliarsi se avendo conosciuto queste due belle figure attraverso un'anima domenicana esemplare, io me le veda oggi dinanzi in questa luce e le contempli con questi occhi.

Fratel Leone di Maria presenta il Fratel Teodoreto la « realizzazione dell'ideale Lasalliano » e, se ben capisco questo pensiero, ciò significa che il « Mandorlo » - « vigilante » sull'opera di Dio nelle anime - vede le necessità dei tempi e fa appello alla « forza di Dio » operante nella storia: Gesù Crocifisso.

Lo stacco della cultura dalla fede porta allo stacco del cuore dalla carità e alla frattura comminuta di ogni umana istituzione.

Questo vede, nei tempi suoi, colui che, da fedele discepolo di S. Giovanni Battista de la Salle, canonico di Reims ( 1651 - 1719 ), per necessità del suo ufficio e per dovere di vocazione, è in contatto continuo con le generazioni sorgenti alla vita, come onde che s'agitano quasi in cerca di un consistente appoggio alla loro inquieta e irrequieta mobilità.

C'è in questo sguardo uno splendore di luce cherubica, perché Fratel Teodoreto non è un professore laico, ma un Fratello delle Scuole Cristiane e questo dice tutto.

Il suo amore ardente a Gesù Crocifisso lo porta, per una certa connaturalità e simpatia divina, verso un umilissimo Frate Converso Francescano che da Gesù Crocifisso, per uguale connaturalità e simpatia divina, proprie della Carità, aveva imparato ad amare le anime redente da Lui col supremo sacrificio della Croce.

S'incontrarono così queste due anime elette e sorse tra loro non un rapporto tra maestro ignorante e discepolo professore, perché ambedue sotto questo aspetto si muovono in un piano diverso, ma una relazione di « santa amicizia » feconda di opere provvidenziali.

Su questo piano, il rapporto da amico ad amico, converge verso una sintesi nuova di lavoro in perfetta armonia con le esigenze della Chiesa nella società contemporanea.

Si potrebbe quasi dire che il serafico Fra Leopoldo e il cherubico Fratel teodoreto sono i profeti dei tempi nuovi per la costruzione della nuova sintesi alla quale questi portò il suo contributo di esperienza scolastico-pedagogica, quegli dette la sua parte generosa di calore vivificante: ambedue avvolti dalla fiamma ardente verso le anime redente da Gesù Crocifisso.

Se Fra Leopoldo - cuoco di S. Tommaso - avesse seguito il suo istinto « carismatico » e piantate le marmitte avesse preso l'atteggiamento del « fondatore » avrebbe combinato una bella frittata, uscendo dal seminato, saltando il muro con lo slancio della superbia camuffata di libertà, con l'ambizione della vanagloria camuffata di misticismo.

E sarebbe stato un gran pasticcio non degno di un Cuoco a servizio di Dio secondo la regola del S. P. Francesco.

I RR. PP. Francescani non debbono considerare avvilente per loro il fatto di non avere veduto ciò che Dio solo vede e di non avere capito ciò che è aperto a Lui solo.

Se avessero visto e capito, non avrebbero lasciato Fra Leopoldo tra le marmitte e non avrebbero avuto il santo religioso che doveva saltare fuori proprio di tra le marmitte.

Questo è davvero il nostro grande onore.

Dico « nostro », perché questa è gloria comune e fa toccare con mano che Dio non è accettatore di persone: coloro che oggi chiamano « proletari », se non hanno gli occhi foderati di prosciutto, dinanzi alla figura radiosa di Fra Leopoldo possono capire facilmente tante cose.

il S. P. Francesco diventò immagine eloquente di Gesù Crocifisso, perché, mentre il mondo va raffreddandosi, i nostri cuori potessero essere infiammati col fuoco dell'amore di Gesù Crocifisso e ogni discepolo del S. P. Francesco questo continuamente annunzia ai gelidi cuori degli uomini.

In lui si corporificò, per così dire, una manifestazione della grazia di Dio nostro Salvatore e questo messaggero di Dio, attraverso la voce e l'esempio dei suoi figli, tiene accesa nel mondo la fiamma dell'amore.

Il vento di Dio che soffia su Fra Leopoldo non porta al mondo gli odori più o meno gradevoli della sua cucina, ma il profumo soave del suo amore ardente per Gesù Crocifisso Salvatore nostro.

Il suo regalo più bello è Fratel Teodoreto che come fedelissimo amico poté, per la sua speciale condizione, compiere ciò che germogliava nel Cuore dell'umile Francescano.

Nella « Divozione a Gesù Crocifisso » si saldò l'amicizia di questi due cuori e nuove armonie di cuori da questo amore divino si originarono con indefinite modulazioni.

Nessuno può dire quel che sarà il giorno in cui il vento di Dio soffiando più impetuoso che mai sui cuori Lasalliani, segnerà lo sboccio di nuove primavere nei cuori affidati alle loro cure vigilanti e i mandorli in fiore annunzieranno il ritorno della calda temperie primaverile.

Perché, se non sbaglio, doppio è lo scopo della sintesi operosa iniziata per la prima volta nella storia: allargare in modo omogeneo e armonioso il campo di lavoro tra i laici fedeli a Gesù Crocifisso e sui quali i Fratelli delle Scuole Cristiane, per la loro stessa missione, esercitano un'azione profondamente benefica; approfondire l'azione costruttiva della carità nel mondo operaio in modo che tutti i problemi siano sciolti, senza ideologie contrarie alle leggi costitutive della natura umana, riflesso temporale della Legge eterna di Colui che ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza e a sé lo chiama per la vita eterna.

Ognuno vede come l'Unione Catechisti e la Casa di Carità Arti e Mestieri rappresentino questo doppio scopo della sintesi nuova sbocciata dal cuore di Fra Leopoldo e Fratel teodoreto.

Ognuno di essi, a suo modo, ha prevenuto i tempi e con mirabile intuito di vero amico, Fratel Teodoreto chiude il suo libro con due pagine - per noi troppo brevi - sulla « Missione Provvidenziale » di Fra Leopoldo.

C'é sola da augurarsi che questo anelito del suo cuore generoso faccia vibrare molti altri cuori della sua stessa Famiglia Lasalliana così che continuino a fiorire quelle opere mirabili e non vada perduto il frutto di tante fatiche.

Rimanendo ognuno al suo posto di lavoro e di onore, non potrà non verificarsi quella feconda collaborazione di energie che, vivificate dalla carità di Gesù Crocifisso, continueranno nei secoli l'opera di Dio.

Già si annunzia questo fermento di vita nelle generazioni nuove e se l'unione della carità è forza, la forza della fede è vittoria.

Qui non siamo di fronte a ideali astratti, ma a programmi concreti: perché se da una parte c'é il « mandorlo » - « vigilante », dall'altra c'è la « marmitta che ribolle » non per rovesciare malanni sugli uomini, bensì per riversare sui loro gelidi cuori il caldo benefico di un amore costruttivo, affinché nel mondo che è il tempio di Dio santificato da Gesù Crocifisso, tutti a Lui dicano: Gloria!

Fr. Ceslao Pera, O. P.

Torino, S. Domenico

5 gennaio 1958, festa del SS. Nome di Gesù.

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