La correzione e la grazia  

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12.33 - "Poter non peccare", e "non poter peccare"

Per questo motivo bisogna considerare con diligente attenzione quale sia la differenza tra questi due ordini di concetti: poter non peccare e non poter peccare, poter non morire e non poter morire, poter non abbandonare il bene e non poter abbandonare il bene.

Infatti il primo uomo poteva non peccare, poteva non morire, poteva non abbandonare il bene.

E allora diremo: Non poteva peccare colui che aveva un simile arbitrio?

Oppure sosterremo: Non poteva morire quello al quale fu detto: Se peccherai, morrai? ( Gen 2,17 )

O infine: Non poteva abbandonare il bene, quando invece peccando lo abbandonò e perciò morì?

Dunque la prima libertà del volere era poter non peccare; l'ultima sarà molto maggiore: non poter peccare.

La prima immortalità era poter non morire, l'ultima sarà molto maggiore: non poter morire.

La prima potestà della perseveranza era poter non abbandonare il bene; l'ultima felicità della perseveranza sarà non poter abbandonare il bene.

E allora poiché i beni ultimi saranno migliori e più pieni, forse quelli precedenti erano nulli o trascurabili?

12.34 - L'"aiuto senza il quale non" avviene qualcosa, e l'"aiuto con il quale" avviene qualcosa

Del pari bisogna distinguere gli aiuti stessi.

Una cosa è l'aiuto senza il quale non avviene qualcosa, e un'altra cosa l'aiuto per mezzo del quale qualcosa avviene.

Infatti senza alimenti non possiamo vivere, ma tuttavia quando ci siano gli alimenti, non sarà per essi che vivrà chi vuole morire.

Dunque l'aiuto degli alimenti è quello senza il quale non avviene, non quello per mezzo del quale avviene che viviamo.

Invece quando sia data la beatitudine che l'uomo non possiede, egli diviene subito beato.

Infatti è non solo un aiuto senza il quale non avviene, ma anche per mezzo del quale avviene ciò per cui è dato.

Perciò esso è sia una aiuto per mezzo del quale qualcosa avviene, sia un aiuto senza il quale qualcosa non avviene: se la beatitudine è stata data all'uomo, subito egli diviene beato, e se non gli è mai stata data, non lo sarà mai.

Gli alimenti non necessariamente fanno sì che l'uomo viva, ma tuttavia senza di essi non può vivere.

Dunque al primo uomo, che in quel bene per cui era stato creato retto aveva ricevuto di poter non peccare, poter non morire, poter non abbandonare questo bene, fu dato l'aiuto della perseveranza: non un aiuto per cui perseverasse, ma un aiuto senza il quale non poteva perseverare con il libero arbitrio.

Ma ora ai santi predestinati dalla grazia al regno di Dio non viene dato in questo modo l'aiuto della perseveranza; al contrario ad essi viene donata la perseveranza stessa.

Così non solo senza questo dono non possono essere perseveranti, ma addirittura attraverso questo dono non possono essere che perseveranti.

Infatti non solo disse: Senza di me nulla potete fare, ma disse anche: Non siete voi che avete eletto me, ma io ho eletto voi e vi ho disposto affinché andiate e portiate frutto e il frutto vostro resti. ( Gv 15,5; Gv 15,16 )

Con queste parole chiarì di aver dato non solo la giustizia, ma anche la perseveranza nella giustizia.

Infatti se era Cristo che li disponeva affinché andassero e portassero frutto e il loro frutto restasse, chi oserebbe dire: Non resterà?

Chi oserebbe dire: Forse non resterà? Senza ripensamenti sono infatti i doni e la chiamata di Dio; ( Rm 11,29 ) ma qui si tratta della chiamata di coloro a cui è stata rivolta secondo il decreto.

Se dunque Cristo prega per essi affinché la loro fede non venga meno, senza dubbio essa non verrà meno fino alla fine e per questo saprà perseverare fino alla fine e il termine di questa vita non la troverà che ben salda.

12.35 - L'"aiuto con il quale" i santi resistono alle prove del mondo

Certo è necessaria una libertà maggiore contro tante e tanto forti tentazioni che in paradiso non c'erano, una libertà fortificata e rafforzata dal dono della perseveranza, affinché questo mondo sia vinto con tutte le sue passioni, paure, errori; questo ci ha insegnato il martirio dei santi.

Adamo, senza che nessuno gli ispirasse terrore, e per di più contro il comando di Dio che atterrisce, ( Gen 2,17 ) usando il libero arbitrio non rimase saldo in una felicità tanto grande, in quell'estrema facilità di non peccare; i martiri invece, mentre il mondo non dico li atterriva, ma inferociva per spezzare la loro resistenza, rimasero saldi nella fede.

Inoltre Adamo vedeva i beni presenti che avrebbe abbandonato, questi al contrario non vedevano i beni futuri che avrebbero ricevuto.

Da dove ricevettero tanta fermezza, se non gliela donò Colui da cui ottennero la misericordia di essere fedeli, ( 1 Cor 7,25 ) da cui ricevettero lo spirito non del timore, che li avrebbe fatti cedere ai persecutori, ma di forza, di amore e di temperanza ( 2 Tm 1,7 ) con il quale avrebbero superato tutte le minacce, tutte le istigazioni, tutte le torture?

Dunque a lui fu data con la sua stessa creazione una volontà libera, senza alcun peccato, ed egli la fece serva del peccato; invece la volontà dei martiri, dopo essere stata serva del peccato, fu liberata per mezzo di Colui che disse: Se sarà il Figlio a liberarvi, allora sarete veramente liberi. ( Gv 8,36 )

Essi per tutta la durata di questa vita possono, sì, trovarsi a lottare contro le brame del peccato, qualche fallo può anche insinuarsi in loro, ed è per questo che dicono ogni giorno: Rimetti a noi i nostri debiti; ( Mt 6,12 ) tuttavia per questa grazia ricevono tanta libertà che non restano ulteriormente soggetti al peccato che conduce alla morte, del quale dice l'apostolo Giovanni: C'è un peccato che conduce a morte; non dico che egli preghi per questo. ( 1 Gv 5,16 )

Di questo peccato ( poiché non è definito espressamente ) si possono avere molte e diverse opinioni; ma io dico che esso consiste nell'abbandonare fino alla morte la fede che opera per mezzo dell'amore.

I santi non restano ulteriormente soggetti a questo peccato, non perché siano liberi per la condizione primitiva, come Adamo, ma perché sono liberati per la grazia di Dio dal secondo Adamo; e per questa liberazione entrano in possesso di un libero arbitrio che usano per servire Dio, non per essere catturati dal diavolo.

Infatti, liberati dal peccato, sono stati resi servi dalla giustizia, ( Rm 6,18 ) nella quale staranno saldi fino alla fine, perché è Dio che dona loro la perseveranza, Dio che li conobbe fin dal principio, che li predestinò, che li chiamò secondo il decreto, che li giustificò, che li glorificò. ( Rm 8,28-29 )

Tutti i beni che promise a loro riguardo, benché futuri, già li ha realizzati, e alle sue promesse credette Abramo, e ciò gli fu attribuito a giustizia.

Infatti diede gloria a Dio credendo in perfetta pienezza - come sta scritto - che egli il ha potere di fare ciò che ha promesso. ( Rm 4, 3.19-21 )

12.36 - Dio dà la perseveranza agli eletti perché può anche realizzare ciò che ha promesso

Dunque è proprio lui che rende buoni costoro, affinché facciano opere buone.

E infatti li aveva promessi ad Abramo, ma non perché aveva prescienza che sarebbero stati buoni da se stessi.

Se fosse così, quello che aveva promesso non sarebbe stata concessione sua, ma opera loro.

E non in questa maniera credette Abramo, anzi non fu indebolito nella fede, dando gloria a Dio e credendo con perfetta pienezza che egli ha il potere di fare ciò che ha promesso. ( Rm 4, 3.19-21 )

Non dice: Egli ha il potere di promettere quello di cui ha prescienza; oppure: Ha potere di rivelare quello che ha predetto; o ancora: Ha potere di conoscere in precedenza quello che ha promesso; ha detto invece: Ha potere di fare ciò che ha promesso.

Dunque a farli perseverare nel bene è proprio Colui che li fa buoni.

Ma quelli che cadono e periscono, non erano nel numero dei predestinati.

Benché l'Apostolo parli di tutti quelli che sono stati rigenerati e vivono piamente, dicendo: Tu chi sei per giudicare il servo altrui?

Se sta eretto o cade, riguarda il suo padrone, subito pensa ai predestinati ed aggiunge: ma starà eretto; e perché non attribuiscano ciò a se stessi, continua: Infatti Dio ha potere di sostenerlo. ( Rm 14,4 )

Dunque è lui che dà la perseveranza, lui che ha potere di sostenere coloro che stanno eretti affinché stiano eretti con estrema perseveranza, o di rialzare quelli che sono caduti: Il Signore, infatti, rialza chi è stato abbattuto. ( Sal 145,8 )

12.37 - Dio, per estinguere ogni superbia umana, volle che nessuno si gloriasse davanti a lui

Il primo uomo non ricevette questo dono di Dio, cioè la perseveranza nel bene, ma perseverare o no fu lasciato al suo libero arbitrio, e questo ne era il motivo: la volontà di Adamo era stata creata senza alcun peccato e non le si opponeva nessuna forma di concupiscenza che sorgesse da lui; avendo dunque la sua volontà forze così grandi, giustamente l'arbitrio di perseverare era affidato a tanta bontà e a tanta facilità di vivere nel bene.

Dio, è vero, sapeva fin da prima quello che Adamo avrebbe fatto di ingiusto; lo sapeva fin da prima, ma non ve lo costringeva; però contemporaneamente conosceva quale giusta punizione gli avrebbe inflitta.

Ma ora, dopo che a causa del peccato è stata perduta quella grande libertà, è rimasta una debolezza che dev'essere soccorsa con doni ancora maggiori.

Infatti, per estirpare completamente la superbia che deriva dalla presunzione umana, piacque a Dio che nessuna carne si gloriasse davanti a lui, cioè nessun uomo.

Ma di che cosa non si deve gloriare la carne davanti a lui se non dei propri meriti?

E certo meriti poteva averne, ma li ha perduti; e li ha perduti con lo stesso mezzo con cui avrebbe potuto averli, cioè con il libero arbitrio.

Per questo non resta a coloro che devono essere liberati nient'altro che la grazia di Colui che li libera.

Così dunque nessuna carne si gloria di fronte a lui.

Infatti non si gloriano gli ingiusti, che non ne hanno motivo; ma neppure i giusti perché traggono il motivo da lui, e non hanno per propria gloria se non lui stesso, al quale dicono: Gloria mia, che rialza il mio capo. ( Sal 3,4 )

E per questo ciò che sta scritto: Che nessuna carne si glori davanti a lui riguarda ogni uomo.

Riguarda i giusti, invece, l'esortazione: Chi si gloria, si glori nel Signore. ( 1 Cor 1,29 )

Questo l'Apostolo lo dimostra in maniera chiarissima; dopo aver detto: Che nessuna carne si glori davanti a lui, affinché i santi non credano di restare senza gloria, subito ha aggiunto: Per lui voi siete in Gesù Cristo, che divenne per noi sapienza da parte di Dio, giustizia, santificazione e redenzione, affinché, come sta scritto, chi si gloria, si glori nel Signore. ( 1 Cor 1,30-31 )

Di qui deriva che in questo luogo di miserie, in questa terra dove la vita umana è tentazione, ( Gb 7,1 ) la virtù si completa nella debolezza; ( 2 Cor 12,9 ) quale virtù, se non quella per cui chi si gloria, si glori nel Signore?

12.38 - Chi si gloria si glori nel Signore

E per questo anche riguardo alla stessa perseveranza nel bene, Dio volle che i suoi santi si gloriassero non nelle loro forze, ma in lui stesso, in lui che non solo dà loro il medesimo aiuto che dette al primo uomo, senza il quale non potrebbero perseverare se volessero, ma per di più opera in essi il volere.

In tal modo, poiché non riescono a perseverare se non a condizione che possano e vogliano, viene donato ad essi dalla generosità della grazia divina tanto la possibilità quanto la volontà di perseverare.

La loro volontà è accesa a tal punto dallo Spirito Santo che essi possono perché così vogliono; e così vogliono perché Dio opera affinché vogliano.

Ammettiamo che nell'estrema debolezza di questa vita ( debolezza nella quale tuttavia per reprimere l'orgoglio bisognava che si completasse la virtù ) sia lasciata loro la propria volontà, affinché rimangano, se lo vogliono, nell'aiuto di Dio senza il quale non potrebbero perseverare; ammettiamo ancora che Dio non operi in essi affinché vogliano; tra tali e tante tentazioni la volontà soccomberebbe per la propria debolezza.

E allora non potrebbero perseverare, perché cedendo per la loro debolezza non vorrebbero, oppure per la debolezza della loro volontà non vorrebbero fino al punto di potere.

Dunque si è prestato soccorso alla debolezza della volontà umana così che essa sia mossa dalla grazia divina in maniera indeclinabile e insuperabile; perciò, per quanto debole, non viene meno e non è vinta da alcuna avversità.

Così avvenne che la volontà dell'uomo, debole e fiacca, perseverasse per virtù di Dio in un bene ancora piccolo, mentre la volontà del primo uomo, forte e sana, affidandosi alla virtù del libero arbitrio, non perseverò in un bene più grande.

Non gli sarebbe mancato l'aiuto di Dio senza il quale egli non avrebbe potuto perseverare anche se avesse voluto; esso però non era tale che Dio operasse in lui il volere.

A chi era fortissimo lasciò e permise di fare quello che volesse; per i deboli ebbe cura che grazie al suo dono invincibilmente volessero ciò che è bene e invincibilmente non volessero abbandonarlo.

Quando Cristo dice: Ho pregato per te perché la tua fede non venga meno, ( Lc 22,32 ) comprendiamo che è detto a colui che è edificato sopra la pietra. ( Mt 16,18 )

E così l'uomo di Dio che si gloria, si glori nel Signore, ( 1 Cor 1,31 ) non solo perché ha conseguito la misericordia di essere fedele, ma anche perché la sua fede non viene meno.

13.39 - Il numero degli eletti è fisso: non si può accrescere né diminuire

Queste cose io le dico di coloro che sono stati predestinati al regno di Dio, il cui numero è determinato in tal maniera che ad essi non si può aggiungere alcuno, né alcuno sottrarre; non parlo di coloro che si moltiplicarono in soprannumero ( Sal 40,6 ) dopo che Gesù ebbe dato il suo annuncio ed ebbe parlato.

Questi infatti si possono dire chiamati, ma non eletti, perché non sono stati chiamati secondo il decreto.

Ma che il numero degli eletti è determinato e che non deve essere né accresciuto né diminuito lo indica anche Giovanni Battista quando dice: Producete dunque un degno frutto di pentimento e non dite con voi stessi: Abbiamo per padre Abramo; infatti il Signore ha potere di suscitare figli ad Abramo da queste pietre; ( Mt 3,8-9 ) con queste parole vuol dimostrare che costoro devono essere tagliati via se non danno frutto, ma nello stesso tempo non deve diminuire il numero promesso ad Abramo.

Ma ancora più apertamente si dice nell'Apocalisse: Conserva ciò che hai perché un altro non prenda la tua corona. ( Ap 3,11 )

Se infatti uno non può prendere senza che l'altro perda, il numero è fisso.

13.40 - È necessario mantenere il segreto su quelli che fanno parte degli eletti …

Ma poiché queste cose sono dette anche per i santi destinati a perseverare, come se fosse considerato incerto se essi riusciranno a farlo, proprio in questo senso le devono ascoltare coloro ai quali conviene non l'orgoglio ma il timore. ( Rm 11,20 )

Chi infatti nella moltitudine dei fedeli, per tutto il tempo in cui si vive in questa condizione mortale, potrebbe presumere di essere nel numero dei predestinati?

È necessario che ciò sia tenuto nascosto in questo mondo, dove bisogna a tal punto guardarsi dall'orgoglio che anche un Apostolo tanto grande doveva essere schiaffeggiato dall'angelo di Satana per non inorgoglire. ( 2 Cor 12,7 )

Per questo veniva detto agli Apostoli: Se rimarrete in me, ( Gv 15,7 ) e Colui che lo diceva sapeva bene che essi sarebbero rimasti.

E per bocca del Profeta è Dio che dice: Se volete e mi ascoltate; ( Is 1,19 ) eppure egli conosceva coloro nei quali avrebbe operato il volere. ( Fil 2,13 )

E sono molte le frasi del genere. Questo segreto è utile affinché nessuno insuperbisca, ma tutti, anche quelli che corrono bene, temano finché non si conoscono quelli che giungeranno alla meta.

Proprio perché questo segreto è utile, dobbiamo credere che alcuni tra i figli della perdizione, non avendo ricevuto il dono di perseverare fino alla fine, cominciano a vivere nella fede che opera attraverso l'amore, e per qualche tempo vivono con fedeltà e giustizia, ma poi cadono e non sono strappati dalla vita terrena prima di questo evento.

E se un simile caso non capitasse a nessuno di loro, gli uomini conserverebbero questo timore estremamente salutare, he sconfigge il difetto dell'orgoglio, finché non perverranno alla grazia di Cristo che ci fa vivere nella pietà, ormai sicuri da quel momento di non staccarsi più da Cristo.

Ma tale presunzione non giova in questo mondo di tentazioni, dove tanto grande è la fragilità che la sicurezza potrebbe generare la superbia.

Alla fine ci sarà anche la sicurezza, ma questa, che è già negli angeli, ci sarà anche negli uomini solo allora, quando non ci potrà più essere nessuna superbia.

Dunque il numero dei santi predestinati al regno di Dio attraverso la sua grazia, quando sarà stata donata loro anche la perseveranza fino alla fine, arriverà integro là dove nella sua integrità sarà serbato al colmo della beatitudine senza fine; infatti ad essi è sempre congiunta la misericordia del loro Salvatore, sia quando si convertono, sia quando lottano, sia quando sono incoronati.

13.41 - … perché anche per loro è necessaria la misericordia divina

Effettivamente la santa Scrittura testimonia che la misericordia di Dio è necessaria ad essi anche allora; il passo è quello in cui un santo dice all'anima sua a proposito del Signore suo Dio: Che ti incorona in pietà e misericordia. ( Sal 103,4 )

Dice anche l'apostolo Giacomo: Il giudizio sarà senza misericordia per colui che non ha avuto misericordia; ( Gc 2,13 ) e in questo passo dimostra che anche nel giudizio per cui s'incoronano i giusti e gli ingiusti sono condannati, gli uni dovranno essere giudicati con misericordia, gli altri senza.

Perciò anche la madre dei Maccabei dice al figlio suo: Affinché io ti riaccolga nella misericordia con i fratelli. ( Mc 7,29 )

Quando infatti il re giusto - come è scritto - sederà sul trono, nessun male gli si opporrà.

Chi si glorierà di avere il cuore casto? O chi si glorierà di esser puro da peccato? ( Pr 20, 8-9 sec. LXX )

E per questo anche lì è necessaria la misericordia di Dio, grazie alla quale diventa beato colui al quale il Signore non imputerà peccato. ( Sal 32,2 )

Ma allora la misericordia stessa sarà attribuita con giusto giudizio per compensare i meriti delle opere buone.

Quando infatti si dice: Il giudizio sarà senza misericordia per colui che non ha avuto misericordia, si fa capire che a coloro nei quali si riscontrano le buone opere della misericordia sarà reso un giudizio con misericordia; e perciò anche la misericordia stessa viene data in compenso ai meriti delle opere buone.

Non è così ora, quando non solo senza che preceda alcuna opera buona, ma anche se precedono molte opere cattive, la misericordia di Dio previene l'uomo per liberarlo dai mali, sia da quelli che ha fatto sia da quelli che farebbe se non fosse sorretto dalla grazia, e che sopporterebbe in eterno se non fosse strappato alla potenza delle tenebre e trasportato nel regno del Figlio della carità di Dio. ( Col 1,13 )

Ma pure anche la stessa vita eterna, che di sicuro è corrisposta come un debito alle opere buone, da un Apostolo tanto grande è detta grazia di Dio, ( Rm 6,23 ) benché la grazia non sia concessa in compenso delle opere, ma sia data gratuitamente; ordunque, senza alcun dubbio bisogna riconoscere che la vita eterna è detta grazia proprio perché viene corrisposta a quei meriti che la grazia ha procurato all'uomo.

Giustamente allora è proprio questa che si deve intendere nell'espressione del Vangelo: grazia per grazia, ( Gv 1,16 ) cioè per quei meriti che ha procurato la grazia

13.42 - Quelli che non appartengono ai predestinati, non ricevendo la perseveranza, abbandonano e sono abbandonati

Ma veniamo a quelli che non appartengono a questo numero dei predestinati; sono i predestinati infatti che la grazia di Dio conduce al regno, sia che non abbiano in nessuna forma il libero arbitrio della volontà, sia che lo abbiano, e veramente libero proprio perché liberato attraverso la grazia stessa.

Coloro dunque che non appartengono a questo certissimo e felicissimo numero, con tutta giustizia vengono giudicati secondo i meriti.

O infatti giacciono sotto il peccato che trassero dall'origine al momento della nascita ed escono da questa vita con quel debito ereditario non rimesso dalla rigenerazione, o attraverso il libero arbitrio hanno aggiunto a questo ancora altri peccati.

Io chiamo libero l'arbitrio, e non liberato: libero riguardo alla giustizia, ma schiavo del peccato per il quale essi si voltolano in diverse, colpevoli cupidigie, altri più, altri meno, ma tutti malvagi e degni di essere puniti con diversi castighi in rapporto alla diversità dei peccati.

Oppure infine ricevono la grazia di Dio, ma vi durano solo un certo tempo e non perseverano; abbandonano e sono abbandonati.

Infatti sono lasciati al loro libero arbitrio senza aver ricevuto il dono della perseveranza per un giudizio di Dio giusto ed occulto.

14.43 - Gli uomini si lascino riprendere e riprendano con carità

Dunque gli uomini si lascino riprendere quando peccano, e dalla riprensione non traggano argomenti contro la grazia né dalla grazia contro la riprensione, perché contro i peccati si deve un giusto castigo e al giusto castigo appartiene il giusto rimprovero che si usa come una medicina, anche se il risanamento del malato è incerto.

Così se quello che è ripreso appartiene al numero dei predestinati, la riprensione è per lui una salutare medicina; se non vi appartiene, la riprensione costituisce per lui un doloroso castigo.

Dunque di fronte all'incertezza il rimprovero va usato con amore perché non se ne conosce l'esito, e bisogna pregare per quello a cui il rimprovero si applica affinché sia sanato.

Ma quando gli uomini, attraverso la riprensione, vengono o ritornano sulla via della giustizia, chi è che opera nei loro cuori la salvezza?

Solo quel Dio che dà la crescita, chiunque sia a piantare e ad annaffiare, chiunque sia a lavorare nei campi o sugli arboscelli; ( 1 Cor 3,6-7 ) quel Dio a cui nessun arbitrio umano resiste, se egli vuole salvare qualcuno.

Infatti il volere e il non volere è in potere di chi vuole o non vuole, ma non può ostacolare la volontà divina né vincerne la potestà.

Infatti egli fa quello che vuole anche di coloro che fanno quello che non vuole.

14.44 - Perché, se Dio vuole tutti salvi, non tutti si salvano?

E l'affermazione della Scrittura: Egli vuole che tutti gli uomini siano salvi, ( 1 Tm 2,4 ) mentre invece non tutti si salvano, si può certo intendere in molte maniere e ne abbiamo ricordate diverse negli altri nostri opuscoli.

Ma qui ne presenterò una. È detto: Vuole che tutti gli uomini siano salvi, ma si deve intendere tutti i predestinati, perché in essi c'è ogni genere di uomini.

Allo stesso modo è detto ai Farisei: Voi pagate la decima di ogni verdura, ( Lc 11,42 ) e bisogna intendere di tutta quella che avevano; infatti non pagavano la decima di tutta la verdura che c'era in tutto il mondo.

Secondo questo modo di esprimersi è detto: Come anche io cerco di piacere a tutti in tutto. ( 1 Cor 10,33 )

Forse colui che diceva così piaceva anche ai tanti suoi persecutori?

No, ma piaceva a ogni genere di uomini che la Chiesa di Cristo raccoglieva, sia a quelli già accolti dentro, sia a quelli che ancora vi dovevano essere introdotti.

14.45 - Chi rende salutare la correzione se non Dio che ha in suo potere la volontà dell'uomo?

Dunque non bisogna aver dubbio sul fatto che le volontà umane non possono resistere alla volontà di Dio, che fece tutto ciò che volle in cielo e in terra, ( Sal 135,6 ) e che adempì anche le cose che debbono ancora accadere; ( Is 45,11 sec. LXX ) esse non possono opporsi a che egli faccia ciò che vuole, dal momento che anche delle stesse volontà umane fa quello che vuole, quando vuole.

A meno che, per ricordare solo qualche caso fra molti, fosse in potere degli Israeliti sottomettersi o no a Saul, quando Dio gli volle donare il regno; ciò stava certamente alla loro volontà, ma lo era in maniera tale che essi potessero opporsi perfino a Dio?

Eppure egli non realizzò il suo intento se non attraverso la volontà degli uomini stessi, poiché aveva senza dubbio la potestà onnipotente di inclinare i cuori umani dove volesse.

Così infatti è scritto: E Samuele dimise il popolo e ciascuno andò a casa sua; e Saul tornò a casa sua a Gaba; e se ne andarono con Saul uomini di valore ai quali il Signore aveva toccato il cuore.

Ma alcuni perversi dissero: Chi ci salverà? Costui? E non lo onorarono e non gli portarono doni. ( 1 Sam 10,25-27 )

Qui non potremo dire che non sarebbe andato con Saul qualcuno di quelli a cui il Signore aveva toccato il cuore per mandarli con lui.

O pretenderemo che ci andò qualcuno dei perversi, dei quali Dio non aveva toccato il cuore perché facessero ciò?

Ugualmente di David, che il Signore stabilì sul trono con una successione ancora più prospera, si legge così: E procedeva David prosperando ed era magnificato e il Signore era con lui. ( 1 Cr 11,9 )

Dopo aver premesso questo, poco dopo è aggiunto: E lo Spirito investì Amasai, il capo dei Trenta, e disse: Noi siamo con te, Davide, noi rimarremo con te, figlio di Iesse.

Pace, pace a te, e pace ai tuoi collaboratori, perché Dio ti presta aiuto. ( 1 Cr 12,18 )

Forse Amasai avrebbe potuto contrastare la volontà di Dio invece di adempierla, se il Signore aveva operato nel suo cuore attraverso lo Spirito suo, di cui questi era stato rivestito, affinché così volesse, dicesse e facesse?

Allo stesso modo poco dopo dice la Scrittura: Tutti questi uomini guerrieri, schierati in formazioni ordinate, vennero con cuore pacifico in Ebron per costituire David re sopra tutto Israele. ( 1 Cr 12,38)

Certo di propria volontà questi costituirono re David.

Chi non lo vedrebbe? Chi lo negherebbe? Infatti non può essere che non fecero ciò schiettamente o di buona volontà, se lo fecero con cuore pacifico; e tuttavia a fare ciò in essi fu Colui che opera quello che vuole nei cuori degli uomini.

Per questo la Scrittura aveva premesso: E procedeva David prosperando ed era magnifico e il Signore onnipotente era con lui.

E per questo il Signore onnipotente che era con lui spinse quelli ad eleggerlo re.

E come li spinse? Forse li legò con dei legami corporali?

Operò al di dentro, si impossessò dei cuori, dette loro impulso e trascinò quegli uomini per mezzo della loro volontà che egli stesso aveva operato in essi.

Dunque quando Dio vuole stabilire dei re sulla terra, padroneggia le volontà degli uomini più di quanto le possano padroneggiare gli uomini stessi; allora chi altro fa sì che il rimprovero sia salutare e la correzione si produca nel cuore dell'individuo rimproverato affinché egli sia stabilito nel regno celeste?

15.46 - Il rimprovero è un dovere dei superiori, ma sia applicato con carità

Dunque i fratelli sottoposti siano ripresi dai propri superiori, purché i rimproveri provengano da carità e siano diversi, minori o maggiori, secondo la diversità delle colpe.

Perfino quella che è chiamata scomunica, che è emessa dal giudizio del vescovo ed è la pena maggiore nella Chiesa, se Dio vuole può mutarsi in riprensione estremamente salutare e quindi giovare.

Infatti noi non sappiamo cosa può capitare il giorno seguente, né bisogna disperare di nessuno prima della fine di questa vita.

E neppure è possibile contrastare Dio perché non rivolga il suo sguardo e non conceda il pentimento; quando ha accettato il sacrificio di uno spirito afflitto e di un cuore contrito non possiamo opporci se assolve dallo stato di condanna, sia pure giusta, e rinuncia a condannare il condannato.

Tuttavia affinché i contagi gravi non serpeggino più numerosi, la necessità pastorale comporta che si separi la pecora malata da quelle sane; ma forse da Colui a cui nulla è impossibile verrà risanata per mezzo della stessa separazione.

Non sapendo dunque chi appartenga al numero dei predestinati e chi non vi appartenga, dobbiamo essere pervasi dal sentimento della carità in modo da volere che tutti siano salvi.

E ciò si realizza appunto se incontrando individui sui quali possiamo influire, ci sforziamo di portarli uno per uno a questo risultato: che, giustificati dalla fede, abbiano pace con Dio; ( Rm 5,1 ) pace che predicava anche l'Apostolo quando diceva: Noi facciamo la funzione di ambasciatori per Cristo, come se fosse Dio ad esortarvi per mezzo nostro; vi scongiuriamo per Cristo di riconciliarvi con Dio. ( 2 Cor 5,20 )

Che significa infatti riconciliarsi con lui, se non ottenere pace da lui?

E per questa pace anche il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: In qualunque casa entrerete, prima dite: La pace a questa casa; e se lì ci sarà un figlio di pace, riposerà la pace vostra su di lui; e se no, ritorni su di voi. ( Lc 10,5-6 )

Quando annunciano questa pace coloro dei quali è stato predetto: Come sono ammirabili i piedi di coloro che annunciano la pace, che annunciano il bene, ( Is 52,7 ) per noi ciascuno di essi comincia ad essere figlio di pace quando ha obbedito e creduto a questo Vangelo e giustificato dalla fede ha cominciato ad essere in pace con Dio; ma secondo la predestinazione di Dio era già figlio di pace.

Infatti non è stato detto: Diverrà figlio di pace quello sopra il quale riposerà la pace vostra, ma piuttosto: Se lì ci sarà un figlio di pace, riposerà la pace vostra su quella casa.

Dunque già prima che gli fosse annunciata la pace, un figlio di pace era lì, come sapeva e aveva conosciuto in precedenza non l'Evangelista, ma Dio.

A noi dunque, che non sappiamo chi mai sia o non sia figlio di pace, appartiene di non fare nessuna eccezione e nessuna distinzione, ma volere che siano salvi tutti quelli ai quali annunciamo questa pace.

Infatti se noi la annunciamo senza saperlo a chi non è figlio di pace, non c'è timore che noi la perdiamo, perché essa tornerà a noi, cioè a noi gioverà quest'annuncio, a lui no; se invece la pace annunciata riposerà sopra di lui, gioverà sia a noi sia a lui.

15.47 - Come bisogna riprendere i figli di pace

Dunque a noi, che non sappiamo chi dovrà essere salvato, Dio ordina di volere che siano salvi tutti quelli ai quali annunciamo questa pace, ed egli stesso opera in noi questo volere, diffondendo la carità nei nostri cuori attraverso lo Spirito Santo che ci è stato dato. ( Rm 5,5 )

Tutto questo si può anche intendere così: Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati, perché lo fa volere a noi; allo stesso modo: Mandò lo Spirito del Figlio suo a gridare: Abba, Padre! ( Gal 4,6 ) vuol dire che lo fa gridare a noi.

Riguardo questo stesso Spirito, altrove l'Apostolo dice: Abbiamo ricevuto lo Spirito di adozione di figli, in virtù del quale gridiamo: Abba, Padre. ( Rm 8,15 )

Siamo noi che gridiamo, ma si dice che è lui a gridare perché fa sì che gridiamo noi.

Allora se la Scrittura giustamente dice che lo Spirito grida, mentre esso fa sì che gridiamo noi, giustamente può dire anche che è Dio a volere, perché egli fa sì che vogliamo noi.

E perciò, poiché anche nel rimproverare dobbiamo realizzare solo questo scopo, che non ci si allontani da questa pace che si ha con Dio o che ritorni ad essa chi se ne è allontanato, facciamo senza disperare quello che facciamo.

Se colui che riprendiamo è figlio di pace, riposerà su di lui la pace nostra; se no, essa ritornerà a noi.

15.48 - Siamo solerti nella necessaria riprensione

Certo, anche mentre in alcuni viene distrutta la fede, il fondamento posto da Dio sta saldo, poiché il Signore sa quelli che sono suoi; ( 2 Tm 2,19 ) tuttavia non per questo dobbiamo essere pigri e negligenti nel riprendere quelli che se lo meritano.

Infatti non invano è stato detto: Le cattive frequentazioni corrompono i buoni costumi, ( 1 Cor 15,33 ) e: Per la tua scienza perirà il fratello che è debole, per il quale Cristo è morto. ( 1 Cor 8,11 )

Non cerchiamo argomenti contro questi precetti e questo salutare terrore, dicendo: "Lasciamo che le cattive frequentazioni corrompano i buoni costumi e perisca pure chi è debole, a noi che ci riguarda?

Il fondamento posto da Dio sta saldo e nessuno perisce se non è figlio della perdizione".

16.48 - Guardiamoci bene dal ciarlare così reputando che noi dobbiamo sentirci sicuri in questa negligenza.

È vero infatti che nessuno perisce se non è figlio della perdizione; ma dice Dio per bocca del profeta Ezechiele: Egli certo morrà nel suo peccato, ma il suo sangue lo ricercherò dalla mano della sentinella. ( Ez 3,18 )

16.49 - Alla riprensione si aggiunga la preghiera

Dunque per quanto riguarda noi che non siamo capaci di discernere i predestinati dai non predestinati e per questo dobbiamo volere che tutti siano salvi, bisogna che noi usiamo con tutti un severo biasimo a guisa di medicina perché non si perdano o non andino in perdizione gli altri.

A Dio però appartiene di renderla utile a quelli che Egli conobbe fin dal principio e predestinò ad essere conformi all'immagine del Figlio suo. ( Rm 8,29 )

Se infatti talvolta ci spinge a non rimproverare il timore che qualcuno per questo si perda, a maggior ragione ci deve indurre al rimprovero il timore che qualcuno per mancanza di questo si depravi peggio.

E infatti noi non abbiamo in cuore amore più grande di quello del beato Apostolo che dice: Riprendete gli inquieti, consolate i pusillanimi, siate pazienti verso tutti; badate che nessuno renda a nessuno male per male. ( 1 Ts 5,14-15 )

Da questo passo bisogna capire che si rende male per male quando non si riprende chi dev'essere ripreso, ma lo si trascura lasciando correre ingiustamente.

Dice ancora: Riprendi di fronte a tutti coloro che peccano, affinché gli altri abbiano timore. ( 1 Tm 5,20 )

E questo va inteso riguardo a quei peccati che non possono restare nascosti, altrimenti dovremmo pensare che abbia parlato contro il pensiero del Signore.

Infatti egli dice: Se il tuo fratello ha peccato contro di te, riprendilo a tu per tu. ( Mt 18,15 )

Ciò nonostante egli stesso conduce la severità del rimprovero al punto di dire: Se non ascolta neppure la Chiesa, sia per te come il gentile e il pubblicano. ( Mt 18,17 )

E chi amò i deboli più di Colui che si fece debole a vantaggio di tutti, e a vantaggio di tutti per la sua debolezza fu crocifisso?

Dunque, stando così la questione, né la grazia proibisce la riprensione né la riprensione nega la grazia.

Perciò bisogna ordinare di vivere nella giustizia, in modo che, pregando devotamente, si implori la grazia con la quale si compie ciò che viene ordinato; e l'una e l'altra di queste cose deve essere fatta senza trascurare neppure la giusta riprensione.

Ma tutto ciò si compia con carità, perché la carità non commette peccato e copre una moltitudine di peccati. ( 1 Pt 4,8 )

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