La Trinità

Indice

Libro II

Proemio

1.1 - Due cose difficilmente sopportabili nell'errore umano

Quando gli uomini cercano Dio e tendono lo spirito per attingere la Trinità, per quanto lo permette la debolezza umana, dopo aver fatto esperienza delle difficoltà estenuanti che si trova di fronte lo sguardo dello spirito che si sforza di contemplare una luce inaccessibile, ( 1 Tm 6,16 ) e di quelle che scaturiscono dal linguaggio complicato e vario della Scrittura ( di fronte a ciò, ritengo, l'uomo della stirpe di Adamo non può che sentirsi oppresso perché risplenda nella sua gloria la grazia di Cristo ) una volta che, dissipate tutte le ombre, abbiano raggiunto qualche certezza, debbono con grande facilità essere indulgenti con quelli che errano nell'investigazione di un così grande mistero.

Ma nell'errore umano vi sono due cose che molto difficilmente si tollerano: prendere partito prima che appaia la verità e, una volta che la verità sia apparsa evidente, difendere ostinatamente la falsa opinione accolta prematuramente. ( Rm 1,18-25 )

Se Dio, come prego e spero, mi difenderà e proteggerà sotto lo scudo della sua benevolenza ( Sal 5,13 ) e con la grazia della sua misericordia, da queste due colpe così incompatibili con la scoperta della verità e con lo studio delle divine e sante Scritture, non mi mostrerò pigro nell'indagine della sua sostanza, sia per mezzo della Scrittura, sia per mezzo della creatura.

L'una e l'altra è offerta alla nostra riflessione precisamente per spingerci a cercare e amare Colui che ha ispirato l'una e creato l'altra. ( 2 Tm 3,16 )

Nemmeno esiterò ad esprimere la mia opinione, perché avrò più piacere che essa venga a conoscenza degli onesti, che timore che essa venga dilaniata dai malvagi. ( Sir 22,22-23; Sir 34,16; Mi 3,5 )

È con gioia infatti che la meravigliosa e umilissima carità si sente sotto lo sguardo della colomba; quanto al dente dei cani l'umiltà è sempre attentissima ad evitarlo e per smussarlo vi è tutto il vigore della verità; e preferirò essere criticato dal primo venuto piuttosto che essere lodato da chi è in errore e da chi adula.

Chi ama la verità infatti non deve temere nessuno che lo critichi, perché chi criticherà sarà un amico o un nemico.

Se è un nemico che ti attacca bisogna sopportarlo; se è un amico, bisogna istruirlo se è in errore, ascoltarlo se ci istruisce.

Invece chi ci loda, ci conferma nell'errore se è in errore, ci induce all'errore se agisce per adulazione.1

Dunque il giusto mi critichi e mi corregga con carità, ma l'olio del peccatore non ungerà il mio capo. ( Sal 141,5 )

1.2 - Regola canonica per intendere le espressioni della Scrittura riguardanti Cristo

Perciò noi teniamo come assolutamente certo il principio, riscontrabile ovunque nella Scrittura e dimostrato dai dotti esegeti cattolici come regola di fede, che ci permette di concepire nostro Signore Gesù Cristo come Figlio di Dio ed uguale al Padre secondo la natura divina nella quale sussiste, ed inferiore al Padre secondo la natura di servo che assunse; nella quale natura è divenuto inferiore non solo al Padre, ma anche allo Spirito Santo e perfino a se stesso, tenuto conto che è uomo; non però inferiore a se stesso per quello che era prima, cioè per quella natura di Dio che ha conservato anche nell'assumere la natura di servo, come ci insegnano le testimonianze della Scrittura che abbiamo ricordato nel libro primo.2

Troviamo tuttavia nelle parole di Dio enunciazioni di tal sorta che resta dubbio con quale criterio giudicarle: se con il criterio della natura assunta per la quale consideriamo il Figlio come inferiore, oppure con il criterio della natura divina per la quale il Figlio non è inferiore ma uguale al Padre, benché abbia origine dal Padre come Dio da Dio, luce da luce.

Infatti noi chiamiamo il Figlio, Dio da Dio; il Padre, solamente Dio, non Dio da Dio.

Perciò appare chiaro che per il Figlio c'è un'altra persona da cui è e di cui è Figlio; per il Padre non c'è un Figlio da cui abbia origine, ma soltanto un Figlio di cui è Padre.

Infatti ogni figlio è quello che è per origine da suo padre, ed è figlio di suo padre; viceversa nessun padre è quello che è per origine da suo figlio, ma è semplicemente padre di suo figlio.

1.3 - Dette espressioni sono di tre generi

Vi sono dunque nella Scrittura alcuni testi sul Padre e il Figlio che indicano l'unità e l'uguaglianza della natura, come: Io e il Padre siamo una sola cosa, ( Gv 10,30 ) e: Sussistendo in natura di Dio, non considerò questa uguaglianza con Dio come una rapina, ( Fil 2,6 ) e tutti gli altri testi di questo genere.

Ve ne sono alcuni invece che presentano il Figlio come inferiore al Padre per la natura di servo, cioè per la creatura da lui assunta nella natura umana mutevole, come quando è detto: perché il Padre è più grande di me; ( Gv 14,28 ) e: il Padre non giudica alcuno, ma ha rimesso ogni giudizio nelle mani del Figlio; ( Gv 5,22 ) poco dopo aggiunge: E gli ha dato il potere di giudicare perché è il Figlio dell'uomo. ( Gv 5,27 )

In altri testi ancora il Figlio non viene presentato né come inferiore né come uguale al Padre, ma vi si afferma solamente che il Figlio ha origine dal Padre, come quello che dice: Perché, come il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso anche al Figlio di averla in sé, ( Gv 5,26 ) e l'altro: il Figlio non può fare nulla da sé ma solo quello che vede fare dal Padre. ( Gv 5,19 )

Se noi interpreteremo questa espressione nel senso che il Figlio è inferiore al Padre, per la natura assunta dalla creatura, ne conseguirà che il Padre camminò prima sulle acque o che aprì con la saliva e il fango gli occhi di un altro cieco nato e ha fatto le altre cose che il Figlio incarnato ha fatto tra gli uomini, ( Mt 14,25-26; Mc 6,48; Gv 9,6-7 ) affinché possa farle colui che disse che il Figlio non può fare nulla da sé, eccetto ciò che abbia visto fare dal Padre. ( Gv 5,19 )

Ma chi, per quanto stolto, penserà così?

Non rimane dunque da intendere, che queste espressioni indichino che la vita del Figlio è immutabile come quella del Padre, ma che in lui ha origine dal Padre, e che l'azione del Padre e del Figlio, è inseparabile, ma che per il Figlio ha origine da colui da cui ha origine il suo essere, cioè dal Padre, e che il Figlio vede il Padre in modo che il vederlo sia per lui la stessa cosa che essere Figlio. ( Gv 6,46 )

Infatti per lui aver origine dal Padre, cioè nascere dal Padre, non è altra cosa che vedere il Padre; come il vederlo agire non è altra cosa che agire con lui; ma non agisce da sé perché non ha l'essere da se stesso, e perciò fa quello che vede fare dal Padre, perché ha origine dal Padre.

Né fa altre cose in modo simile, come il pittore che dipinge altri quadri copiando quelli dipinti da un altro pittore, né le cose medesime in maniera diversa, come la bocca esprime le medesime lettere che la mente ha pensato; ma tutto ciò che fa il Padre - afferma il Signore - il Figlio lo fa allo stesso modo. ( Gv 5,19 )

Ha detto il Signore: Le stesse cose, e allo stesso modo; e per questo il Padre e il Figlio hanno in comune la medesima attività, ma il Figlio l'ha dal Padre.

Perciò il Figlio non può far nulla da sé, se non quello che avrà visto fare dal Padre. ( Gv 5,19 )

Da questo principio secondo il quale la Scrittura non vuole indicare che uno è inferiore all'altro, ma chi abbia origine e chi ne sia il principio, alcuni hanno concluso che la Scrittura afferma che il Figlio è inferiore al Padre.

Ma alcuni dei nostri, troppo ignoranti e privi di qualsiasi competenza in questa materia, mentre tentano di intendere queste affermazioni come riguardanti la natura di servo, ( Fil 2,7 ) poiché ne viene fuori un senso errato, rimangono turbati.

Ma perché questo non accada si segua anche questa regola: il Figlio non è inferiore al Padre ma è dal Padre.

Così si esprime non la sua ineguaglianza, ma la sua nascita.3

2.4 - Alcune espressioni della Scrittura riguardanti il Figlio non si sa a quale regola riferirle

Vi sono dunque nei Libri santi alcune espressioni, come avevo iniziato a dire, che non si sa in che senso vadano interpretate: se in riferimento all'inferiorità del Figlio conseguente all'unione con la creatura o in riferimento, nonostante l'uguaglianza, alla sua origine dal Padre.

E in verità mi pare che, se ci si trova davanti a un testo talmente ambiguo da non poter essere spiegato e chiarito, esso possa venire interpretato senza pericolo in base alla duplice regola di cui si è parlato.

È il caso di questa affermazione: La mia dottrina non è mia, ma di Colui che mi ha mandato. ( Gv 7,16 )

Infatti la si può intendere in riferimento alla natura di servo, come si è spiegato nel libro primo, e in riferimento alla natura divina nella quale è uguale al Padre ma avendo origine dal Padre.

Perché, secondo la natura divina, come il Figlio e la vita divina non sono due cose diverse, ma il Figlio è la vita stessa, così non sono due cose diverse il Figlio e la sua dottrina ma il Figlio è la stessa dottrina. ( Gv 5,26; Gv 11,25; Gv 14,6; 1 Gv 5,11-20 )

E come per questo l'espressione: Diede la vita al Figlio ( Gv 5,26 ) non significa nient'altro che "generò il Figlio che è la vita", così anche quando è detto: "diede al Figlio la dottrina" tale espressione viene intesa nel giusto senso se si interpreta: "generò il Figlio che è la dottrina".

Cosicché l'affermazione: La mia dottrina non è mia, ma di Colui che mi ha mandato, va intesa come se il Signore avesse detto: "Io non ho l'essere da me stesso, ma lo ho da Colui che mi ha mandato".

3.5 - Lo Spirito Santo non parla da sé, perché procede dal Padre

Infatti anche dello Spirito Santo, sebbene di lui la Scrittura non abbia detto: Si esinanì assumendo la natura di servo, ( Fil 2,7 ) il Signore stesso ha affermato: Quando sarà venuto lo Spirito di verità, egli vi insegnerà tutta la verità, giacché non parlerà da se stesso ma vi dirà quanto udrà e vi annunzierà le cose che dovranno succedere.

Egli mi glorificherà perché prenderà dal mio e ve lo annunzierà.

Se dopo queste parole non avesse immediatamente aggiunto: Tutto ciò che ha il Padre è mio; perciò ho detto che prenderà dal mio e ve lo annunzierà, ( Gv 16,13-15 ) si potrebbe forse credere che lo Spirito Santo è nato da Cristo come questi dal Padre.

Infatti di se stesso Cristo aveva detto: La mia dottrina non è mia, ma di Colui che mi ha mandato; ( Gv 7,16 ) dello Spirito Santo dice: Giacché non parlerà da se stesso ma vi dirà quanto udrà; ( Gv 16,13 ) e poi: perché prenderà dal mio e ve lo annunzierà. ( Gv 16,14 )

Ma, poiché spiega l'affermazione prenderà dal mio ( dicendo: Tutto ciò che ha il Padre è mio, perciò ho detto che prenderà dal mio e ve lo annunzierà ( Gv 16,15 ) ), non resta se non intendere che anche lo Spirito Santo riceve dal Padre come il Figlio.

E questo come può avvenire se non nel senso già sopra indicato: Quando poi sarà venuto il Paraclito che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli renderà testimonianza di me? ( Gv 15,26 )

Per questo è detto che non parla da sé, in quanto procede dal Padre.

E come il Figlio non è inferiore al Padre, sebbene abbia detto: Il Figlio non può fare nulla da sé, se non quanto avrà visto fare dal Padre ( Gv 5,19 ) ( infatti non ha detto questo in quanto servo ma in quanto Dio, come abbiamo già dimostrato, e queste parole non indicano che egli è inferiore al Padre ma che ha origine da lui ), allo stesso modo non consegue che lo Spirito Santo sia inferiore al Padre, perché il Figlio ha detto di lui: infatti non parlerà da se stesso ma vi dirà quanto udrà. ( Gv 16,13 )

Con queste parole il Figlio voleva significare che lo Spirito procede dal Padre.

Ma poiché il Figlio ha origine dal Padre e lo Spirito Santo procede dal Padre, perché non li chiamiamo ambedue "figli" né li chiamiamo ambedue "generati" ma chiamiamo Figlio Unigenito solamente il primo, mentre chiamiamo l'altro Spirito Santo e non "figlio" o "generato", espressioni queste equivalenti?

È quello che spiegherò, se Dio lo concederà e nella misura in cui lo concederà.4

4.6 - Il Figlio non è inferiore al Padre, perché questi lo glorifica

Ma a questo punto stiano bene attenti, se lo possono, quanti hanno creduto di potersi valere, per dimostrare la superiorità del Padre sul Figlio, anche di queste parole del Figlio: Padre, glorificami. ( Gv 17,1 )

Si badi bene che anche lo Spirito Santo lo glorifica.

Allora anche lui è superiore al Figlio? Si osservi però che, se lo Spirito Santo glorifica il Figlio in quanto riceverà dal Figlio, e riceverà dal Figlio perché tutto ciò che ha il Padre ( Gv 16,15 ) è del Figlio, appare chiaro che, quando lo Spirito Santo glorifica il Figlio, è il Padre che glorifica il Figlio.

Da questo si vede che tutto ciò che ha il Padre appartiene non solo al Figlio ma anche allo Spirito Santo, perché lo Spirito Santo ha il potere di glorificare il Figlio che il Padre glorifica.

Se colui che glorifica è superiore a chi da lui viene glorificato, si conceda almeno che sono uguali quelli che si glorificano vicendevolmente.

Ora la Scrittura afferma che anche il Figlio glorifica il Padre: Io - afferma il Figlio - ti ho glorificato sopra la terra. ( Gv 17,4 )

Ci si guardi bene dal considerare lo Spirito Santo superiore al Padre e al Figlio perché glorifica il Figlio che il Padre glorifica, mentre non si afferma nella Scrittura che egli sia glorificato né dal Padre né dal Figlio. ( Gv 12,23; Gv 17,5-24 )

5.7 - Il Figlio e lo Spirito Santo non sono inferiori al Padre, perché questi li manda

Quelli però, così confutati, ricorrono a quest'altro argomento: "Chi manda è superiore a chi è mandato"; perciò il Padre è superiore al Figlio, perché il Figlio afferma costantemente di essere mandato dal Padre; ( Gv 16,28; Is 48,16 ) è anche superiore allo Spirito Santo, perché Gesù disse di lui: Colui che il Padre manderà in mio nome. ( Gv 14,26 )

Lo Spirito Santo da parte sua è inferiore al Padre e al Figlio perché lo manda il Padre, come abbiamo detto, e lo manda anche il Figlio, come testimonia la sua parola: Ma se me ne andrò, ve lo manderò. ( Gv 16,7 )

Circa questa questione chiedo anzitutto da dove sia stato mandato il Figlio e dove sia stato mandato.

Io - egli ha detto - sono uscito dal Padre e sono venuto in questo mondo. ( Gv 16,28 )

Dunque uscire dal Padre e venire in questo mondo, questo significa essere mandato.

Che cosa significa l'affermazione che fa su di lui lo stesso Evangelista: Egli era nel mondo e il mondo per mezzo di lui è stato fatto e il mondo non l'ha conosciuto?

E subito aggiunge: è venuto nella sua proprietà. ( Gv 1,10-11 )

Certo egli è stato mandato là dove è venuto, ma se è stato mandato in questo mondo, perché è uscito dal Padre ed è venuto in questo mondo, ed era in questo mondo, allora è stato mandato là dov'era.

D'altra parte quando il Profeta fa dire a Dio: Io riempio il cielo e la terra, ( Ger 23,24 ) se si riferisce al Figlio ( alcuni infatti vogliono che sia lui che ha parlato ai Profeti o per bocca dei Profeti ), dove è stato mandato se non là dov'era?

Infatti era dovunque Colui che dice: Riempio il cielo e la terra.

Se l'affermazione riguarda invece il Padre, dove ha mai potuto essere il Padre senza il Verbo suo e senza la sua Sapienza che si estende con potenza da un'estremità all'altra e tutto governa con bontà? ( Sap 8,1 )

Ma nemmeno poté essere in alcun luogo senza il suo Spirito.

Perciò, se Dio è dovunque, dovunque è anche il suo Spirito.

Dunque anche lo Spirito Santo è stato mandato là dov'era.

È per questo che colui che non trovava luogo per sfuggire dallo sguardo di Dio e dice: Se salirò nel cielo, là sei tu; se scenderò negli inferi, tu sei presente, ( Sal 139,8 ) volendo significare che Dio è presente ovunque, prima aveva nominato il suo Spirito dicendo: Dove me ne andrò lontano dal tuo Spirito? e dove fuggirò al tuo sguardo? ( Sal 139,7 )

5.8 - La missione del Figlio consiste nella sua incarnazione

Se dunque tanto il Figlio quanto lo Spirito Santo sono inviati là dov'erano, bisogna domandarsi di che genere sia tale missione del Figlio e dello Spirito Santo.

Infatti solo del Padre non si dice in alcun luogo della Scrittura che sia stato mandato.

Del Figlio così scrive l'Apostolo: Ma quando venne la pienezza dei tempi, Dio mandò suo Figlio, formato da donna, formato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge. ( Gal 4,4-5 )

Ha mandato - dice - il suo Figlio formato da donna.

Quale cattolico ignora che con questa parola "donna" l'Apostolo non ha voluto indicare la perdita della verginità ma, secondo il modo di esprimersi ebraico, la differenza di sesso?

Dicendo dunque: Dio ha mandato il Figlio suo formato da donna, egli dimostra a sufficienza che la missione del Figlio è precisamente la nascita da donna.

Dunque in quanto nato da Dio era in questo mondo, ( 1 Gv 5,4 ) in quanto invece è nato da Maria, è venuto come mandato in questo mondo. ( Gv 3,6; Gv 16,28 )

Tuttavia non ha potuto essere mandato dal Padre senza lo Spirito Santo, non solo perché il Padre quando lo mandò, ossia quando lo formò dal seno della donna, non lo formò affatto senza il concorso del suo Spirito, ma anche perché nel Vangelo, alla domanda della vergine Maria: Come avverrà questo? si trovano in risposta le seguenti parole assolutamente chiare ed evidenti: Lo Spirito Santo scenderà in te e la potenze dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra, ( Lc 1,34-35 ) e Matteo dice: Si trovò incinta per virtù dello Spirito Santo. ( Mt 1,18 )

Ma presso il profeta Isaia è proprio Cristo che si intende affermare della sua futura venuta: Ed ora il Signore Dio mi ha mandato, lui e il suo Spirito. ( Is 48,16 )

5.9 - Il Figlio è mandato anche da se stesso

Forse qualcuno ci spingerà persino ad affermare che il Figlio è stato mandato da se stesso, perché quella concezione e quel parto di Maria sono opera della Trinità che crea tutto ciò che è creato.

"Ma allora, mi si obietterà, come poté mandarlo il Padre se lui stesso si è mandato?".

A costui risponderò anzitutto chiedendogli di dire, se può, come il Padre santificò il Figlio, se il Figlio stesso si è santificato.

Infatti lo stesso Signore fa queste due affermazioni: Colui che il Padre santificò ed inviò nel mondo, a questi voi dite: "Bestemmi!", perché ho detto: Sono Figlio di Dio; ( Gv 10,36 ) ed altrove: E per essi io santifico me stesso. ( Gv 17,19 )

Così pure domando come il Padre lo consegnò, se egli stesso si è consegnato.

L'apostolo Paolo infatti afferma l'una e l'altra cosa: Colui - dice - che non risparmiò il proprio Figlio, ma per tutti noi lo consegnò; ( Rm 8,32 ) altrove dello stesso Salvatore afferma: Colui che mi ha amato e ha dato se stesso per me. ( Gal 2,20 )

Credo che mi risponderà, se ben conosce questa materia, che unica è la volontà del Padre e del Figlio e indivisibile la loro azione.

Intenda dunque quella incarnazione e quella nascita dalla Vergine, in cui consiste la sua missione, come operata indivisibilmente da una unica ed identica azione del Figlio e del Padre, senza ben inteso escluderne lo Spirito Santo, del quale è chiaramente detto: Si trovò incinta per virtù dello Spirito Santo. ( Mt 1,18 )

Se continueremo la nostra indagine per questa via forse vedremo più chiaramente nella questione: come mandò Dio il Figlio suo? ( Gal 4,4 )

Gli comandò di venire ed egli venne obbedendo a lui che comandava, o lo pregò di venire ovvero soltanto lo esortò a venire?

In qualsiasi di queste tre alternative la missione si è realizzata per intervento della Parola, ma la Parola di Dio è proprio il Figlio di Dio.

Perciò, dato che il Padre lo mandò per mezzo della Parola, egli è stato mandato per opera del Padre e del Figlio.

Dunque ad opera del Padre e del Figlio è stato mandato il Figlio medesimo, perché la Parola del Padre è il Figlio stesso.

Chi infatti accoglierà un'ipotesi così sacrilega da credere che il Padre abbia pronunciato una parola temporale per mandare il suo Figlio eterno e manifestarlo corporalmente nel tempo?

Ma al contrario nello stesso Verbo di Dio, che era fin dal principio presso Dio ed era Dio, cioè nella stessa Sapienza di Dio, al di fuori del tempo era stabilito il tempo in cui la Sapienza doveva apparire nella carne. ( 1 Cor 1,24; 1 Gv 4,2; Rm 8,3 )

Perciò essendo il Verbo al principio, al di fuori di ogni inizio temporale, ed essendo il Verbo presso Dio ed essendo il Verbo Dio, al di fuori del tempo era stabilito nello stesso Verbo in quale tempo il Verbo si incarnasse ed abitasse tra noi. ( Gv 1,1-14 )

Essendo venuta tale pienezza dei tempi Dio mandò il Figlio suo formato da una donna, ( Gal 4,4 ) cioè formato nel tempo, affinché, incarnato, il Verbo apparisse agli uomini, poiché era stabilito nel Verbo al di fuori del tempo in quale tempo ciò accadesse.

Infatti la successione dei tempi si trova senza temporalità nella Sapienza eterna di Dio.

Essendo dunque il Padre e il Figlio la causa della manifestazione del Figlio nella carne, si dice giustamente che è stato mandato colui che apparve nella carne, che invece ha mandato Colui che nella carne non si è manifestato.

Perché è giusto considerare come oggetto di missione i fatti che accadono visibilmente sotto i nostri occhi per intervento invisibile di un essere spirituale.

Ora la natura umana che fu assunta appartiene alla persona del Figlio, non anche alla persona del Padre.

Perciò il Padre invisibile insieme col Figlio anch'esso invisibile, ha fatto che lo stesso Figlio fosse visibile, cioè, com'è stato detto, lo ha mandato. ( Eb 11,3; Is 48,16; Gv 3,17; Gv 5,23-24; Gv 7,16; Gv 10,36; Gv 16,28 )

Se il Figlio si rendesse visibile, cessando di essere invisibile al pari del Padre, cioè se la natura invisibile del Verbo si convertisse per cambiamento in una creatura visibile, allora dovremmo considerare il Figlio come semplicemente mandato dal Padre e non anche come mandante insieme con il Padre.5

Ma poiché la natura di servo fu assunta in modo che la natura divina non subisse alcun cambiamento, ne consegue che il Padre e il Figlio, senza apparire, produssero quello che doveva apparire nel Figlio, ossia che l'invisibile Padre e l'invisibile Figlio mandarono il Figlio stesso in forma visibile.

Perché allora ha detto: Non sono venuto da me stesso?

Questa espressione si spiega riferendola alla natura di servo, in rapporto alla quale è stato anche detto: Io non giudico alcuno. ( Gv 8,15 )

Indice

1 Cicerone, De rep. 4, fragm. 10, 12;
De fin. bon. mal. 5, 22, 61;
Agostino, Serm. D.ni in monte 2, 1, 1
2 Sopra 1,7,14;
Sopra 1,8,15;
Fil 2,6-7
3 Ilario, De Trin. 9, 54-56
4 Infra, 15,15,25
5 Cicerone, De orat. 3, 45, 177;
Orat. part. 7, 23