Vita di Mosé

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Le figlie di Moab

La malattia della sensualità

L'inventore del male, visto fallire questo piano, non desistette di molestare quelli che voleva assalire.

Portò allora le sue macchinazioni su un terreno che gli è proprio e di nuovo trascinò gli uomini al peccato, servendosi del piacere sensuale.

Il piacere è veramente la pastura di ogni vizio.

Esso, presentandosi sotto un aspetto attraente, trascina le anime più sensuali all'amo della morte.

La natura corre verso questo male in maniera davvero irrefrenabile, ed è ciò che avvenne anche al tempo di Mosè.

Il piacere giunse, servendosi delle donne, a ferire con i suoi strali coloro che si erano dimostrati tanto validi nelle armi da ridurre all'impotenza nemici armati di ferro.

Essi li volsero in fuga ma, come furono forti con gli uomini, altrettanto divennero deboli con le donne.

Colpiti non dalle loro armi ma dalla loro avvenenza, le presero con sé e, dimentichi del valore e della forza che avevano acquistato, tutto dissiparono nel piacere.

Quelle unioni illegittime con donne straniere provocarono il giusto risentimento degli altri.

Mettendosi a contatto con il male quelle persone avevano perso l'appoggio del bene.

Così Dio si adirò contro di loro ma Finees, acceso di zelo, non attese che il Signore decidesse come togliere di mezzo quel peccato.

Di sua iniziativa divenne insieme giudice ed esecutore.

Egli, nell'ira contro gli impudichi travolti dalla fiamma della passione, esegui l'opera sacerdotale di purificazione del peccato non con il sangue di animali, cui non si poteva addossare la colpa di incontinenza, ma con il sangue di coloro che avevano fatto il male, unendosi a donne straniere.

La lancia che trafisse i loro corpi, trovati avvinti l'uno all'altro, fu lo strumento d'attuazione della giustizia di Dio; esso procurò loro la morte, nel momento stesso in cui si abbandonavano al piacere.

Mi pare che il racconto offra qui un utile insegnamento a tutti, ammonendoci che tra le molte passioni ostili allo spirito, nessuna ha maggior forza di quella che provoca in noi la malattia del piacere.

Questo fatto per cui gli Israeliti sono resi schiavi da donne straniere ( essi che pure avevano avuto il sopravvento sulla cavalleria egiziana, avevano vinto gli Amaleciti, erano apparsi terribili ai popoli vicini, avevano sbaragliato l'esercito dei Madianiti ), non dimostra forse la difficoltà di combattere tale passione, che si presenta come il nostro nemico più difficile da domare?

Il piacere, divenuto padrone di uomini che le armi non erano riuscite a sottomettere, va agitando davanti a loro il trofeo del disonore e porta a conoscenza di tutti la loro infamia.

Insolenza del vizio

Esso riduce gli uomini come bruti, dominandoli con l'istinto animalesco e irrazionale dell'incontinenza e facendo loro dimenticare di essere uomini.

Senza preoccuparsi di tener nascoste le loro sacrileghe profanazioni, essi giungono a vantarsi di azioni disonorevoli, avvoltolandosi come porci nel fango dell'impurità apertamente, sotto gli occhi gli uni degli altri.

Tanta è la forza che ha la malattia del piacere di trascinarci al male, che dobbiamo stare attenti affinché non entri in noi da nessuna parte.

Il piacere è come un fuoco che comunica le sue fiamme devastatrici a quanto gli è vicino.

Ce lo insegna Salomone nella Sapienza quando ci avverte di non mettere il piede nudo vicino a un carbone acceso e di non porre fuoco nel seno.

Se resteremo lontani da quanto fa divampare il fuoco, potremo godere perfetta quiete ( Pr 6,27 ).

Se invece ci avvicineremo a questo calore avvampante fino a toccano, allora si accenderà in noi il fuoco del desiderio, che comunicherà al piede e al seno le sue fiamme scottanti.

Il Signore nel Vangelo, per tenerci lontani da questo male, volle che stroncassimo alla radice il desiderio passionale, avvertendoci che la malattia della sensualità penetra in noi attraverso gli sguardi colpevoli ( Mt 5,19 ).

Le impressioni cattive infatti, una volta che abbiano preso possesso dei punti chiave del nostro essere, sono come una peste che soltanto la morte può far cessare.

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