Il potere della croce

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« Dio non ha risparmiato il proprio figlio »

La parola di Dio ha da farci un dono questa sera: un dono così grande che io già mi rattristo al pensiero che lo sciuperò e che, anzi, non potrò fare a meno di sciuparlo.

Così voglio premunirmi, consegnandovi subito, per intero, questo dono.

Voglio pronunciare il suo nome e metterlo al sicuro nel vostro cuore, prima che questa pienezza vada dispersa nel tentativo di tradurla in parole.

Il Padre, il Padre del Signore nostro Gesù Cristo!

Come vorrei gridarlo con purezza e amore questo nome, dal quale « ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome » ( Ef 3,14 ).

Solo Gesù è in grado di parlare del Padre.

Quando Gesù parla del Padre gli occhi dei discepoli si spalancano, viene una grande nostalgia e Filippo esclama: « Mostraci il Padre e ci basta! » ( Gv 14,8 ).

Ma perché parliamo del Padre oggi che è il giorno della morte di Cristo?

San Paolo ha scritto: « Dio dimostra il suo amore verso di noi, perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi » ( Rm 5,8 ).

E ancora: « Dio non ha risparmiato il proprio figlio, ma lo ha dato per tutti noi » ( Rm 8,32 ).

Questa è un'affermazione sorprendente.

Per la ragione umana, il fatto che Gesù è morto sulla croce non dimostra l'amore del Padre, ma semmai la sua crudeltà, o almeno la sua inflessibile giustizia.

E infatti la conoscenza del Padre è come sbarrata, anche nei credenti, da una selva di pregiudizi umani.

Gesù avrebbe ragione di ripetere anche oggi: « Padre santo, il mondo non ti ha conosciuto! » ( Gv 17,25 ).

La difficoltà di conciliare la bontà del Padre celeste con la morte di Cristo nasce da una duplice serie di fatti.

Una serie è di ordine teologico.

Di essa siamo responsabili, diciamolo pure, noi teologi e predicatori.

Noi abbiamo dato talvolta, in passato, un'immagine del mistero della redenzione concepita più o meno in questi termini.

L'uomo, peccando, ha accumulato un immenso debito con Dio e Dio esige che esso venga pagato.

Si fa avanti Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo, e paga l'immenso debito, versando il proprio sangue.

Il Padre allora, « soddisfatto » ( parola pericolosa! ), « placato » ( altra parola pericolosa! ), perdona.

Ma è chiaro che queste immagini così freddamente giuridiche, non potevano, a lungo andare, non generare, un senso di segreta ripulsa verso questo Padre che, dal cielo, aspetta impassibile che gli venga versato il prezzo che è il sangue del suo figlio.

L'altra serie di difficoltà è invece di ordine culturale ed è tipicamente moderna.

La psicologia ha avuto buon gioco nel mettere in luce tutte le deviazioni con cui la figura paterna è realizzata nell'ambito umano: mascolinismo, autoritarismo, paternalismo …

Ci sarebbe nascosto nel cuore di ogni figlio - si dice - il segreto desiderio di uccidere il proprio padre.

Questi sospetti, dal padre terreno, sono stati trasferiti anche al Padre celeste ed ecco che tutto un filone della cultura moderna ha creduto di dover sposare la causa di Gesù contro il Padre, fino a giungere alla cosiddetta « teologia della morte di Dio ».

Finalmente - si direbbe - l'umanità ha realizzato il segreto desiderio di uccidere il Padre.

La causa principale di tutto questo risentimento è il dolore umano, il fatto che l'uomo soffre e Dio no.

Non possiamo accettare, si dice, un Dio che permette il dolore di tanti bambini innocenti.

E se si prova a far osservare che anche Gesù ha sofferto, essi ribattono: « Proprio lui è il nostro argomento principale!

Lui almeno è sicuro che era innocente. Perché ha dovuto soffrire? ».

Si arriva così al colmo dell'aberrazione di mettere Gesù, proprio lui, contro il Padre, come una specie di prova a suo carico.

Dobbiamo reagire, come reagirebbe un figlio amantissimo a cui è stato offeso il proprio genitore.

Dobbiamo riscoprire il vero volto del Padre, quel volto silenzioso e velato, e non c'è occasione più bella del Venerdì Santo per farlo.

San Paolo ci dice dunque che « Dio non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi ».

La liturgia della Chiesa, in una domenica dell'anno, accosta questo brano a quello di Genesi 22 ed è probabile che l'Apostolo stesso abbia inteso fare questo accostamento.

Ora, di chi si parla in quel passo? Si parla di Abramo.

Ad Abramo Dio dice: « Poiché tu hai fatto questo e non hai risparmiato il tuo figlio, il tuo unico figlio, io ti benedirò con ogni benedizione; in tE saranno benedette tutte le nazioni della terra ».

Il vecchio Abramo che cammina silenzioso verso il monte Moria, dietro il figlio Isacco, era dunque figura e simbolo di un altro padre.

Era simbolo di Dio Padre che accompagna Gesù nel suo viaggio verso il Calvario.

Uscendo dal cenacolo, Gesù, rivolto ai discepoli, aveva detto: « Voi mi lascerete solo, ma io non sono solo perché il Padre è con me » ( Gv 16,32 ).

Chi può descrivere i sentimenti di Abramo, mentre conduce il suo ragazzo al monte, per esservi immolato?

Origene diceva che il momento di maggior pericolo per Abramo fu quando, cammin facendo, Isacco, ignaro di tutto, si rivolse al padre e disse: « Padre mio, ecco la legna per il sacrificio, ma la vittima dov'è? ».

Non sapeva che la vittima era lui.

Quelle parole « padre, padre mio », scrive Origene, quelle sì che furono voce di tentazione per Abramo, e quale violenza dovette fare a se stesso per non tradirsi e tornare indietro!

E quando anche Gesù nel Getsemani disse: « Padre mio, tutto è possibile a tE, allontana da me questo calice! » ( Mc 14,36 ), chi può dire che cosa si produsse nel cuore di Dio Padre?

Abramo avrebbe certamente preferito mille volte morire lui, anziché far morire il figlio.

Insieme, dunque, il Padre celeste e il Figlio suo Gesù, erano nella passione, insieme furono sulla croce.

Più che ai bracci di legno della croce, Gesù era inchiodato alle braccia del Padre, cioè alla sua volontà.

E come, nell'eternità, dall'abbraccio ineffabile e gaudioso del Padre e del Figlio procede lo Spirito Santo, dono reciproco d'amore, così ora, nel tempo, dall'abbraccio doloroso del Padre e del Figlio sulla croce è sgorgato lo Spirito Santo, dono del Padre e del Figlio per noi.

Chinato il capo, Gesù « emise lo Spirito » ( Gv 19,30 ).

Ma, viene da chiedersi, è lecito parlare così di Dio Padre?

È lecito parlare di sofferenza in Dio? Dio non è immutabile, impassibile, eterno?

I primi cristiani parlavano tranquillamente di "passioni" e di sofferenza in Dio.

Dicevano: « Se il Figlio ha patito, il Padre ha compatito.

Come avrebbe potuto il Figlio patire, senza che il Padre con-patisse? ».1

« Il Padre stesso, Dio dell'universo, lui che è pieno di longanimità, di misericordia e di pietà, non soffre forse, in qualche modo?

O forse tu ignori che, quando si occupa delle cose umane, egli soffre una passione umana?

Egli soffre una passione d'amore ».

A scrivere queste ultime parole fu uno dei padri più gelosi delle prerogative di Dio e della sua trascendenza.2

La passione di Cristo è la manifestazione storica, e come una specie di epifania, di questa misteriosa passione del cuore di Dio.

La stessa che gli faceva esclamare, nell'Antico Testamento, quelle parole che tra poco riascolteremo nel canto degli improperi: « Popolo mio, che male ti ho fatto? In che cosa ti ho contristato? Rispondimi » ( Mi 6,3 ).

La risposta alla domanda « Perché Dio soffre? », ce la da lui stesso in queste parole con cui inizia il libro del profeta Isaia: « Ho allevato e fatto crescere dei figli, ma essi mi si sono ribellati » ( Is 1,2 ).

Certo la sofferenza di Dio è ben diversa dalla nostra, perché la nostra è sempre, in qualche misura, subita, costretta, mentre quella di Dio è sovranamente libera e non compromette la sua incorruttibilità e immutabilità.

È « la passione dell'impassibile », come la definiva un padre antico ( San Gregorio Taumaturgo ).

Il Dio della Bibbia è amore e « non si vive in amore senza dolore ».3

Ben presto però sorse un'eresia che stravolse la dottrina della compassione di Dio.

Essa negava ogni distinzione, in Dio, tra Padre e Figlio; negava, in altre parole, la Trinità. Padre e Figlio erano, per questi eretici, nomi diversi di una stessa persona.

Furono perciò chiamati Patripassiani, cioè coloro che attribuiscono la passione al Padre.

Era, questa, un'idea ben diversa da quella ortodossa, secondo cui il Padre, rimanendo Padre, cioè persona distinta, partecipa alla sofferenza del Figlio che rimane il Figlio.

Per togliere ogni pretesto all'errore, si preferì non parlare più affatto della sofferenza di Dio, anche perché la nuova cultura in cui la Chiesa era chiamata ad annunciare il Vangelo, quella greca, non comprendeva un Dio che si appassiona e che entra in contatto con la storia.

Da tempo qualcosa sta però cambiando, forse anche a seguito delle esperienze nuove e terribili conosciute dall'uomo in fatto di sofferenza. I più attenti tra i teologi hanno ricominciato a parlare, con la Bibbia e i Padri più antichi, della sofferenza di Dio.

« Occorre - ha scritto, a questo proposito, uno di essi - che il mondo lo sappia: la rivelazione del Dio-amore sconvolge tutto quello che esso aveva concepito intorno alla divinità » ( H. De Lubac ).

Nell'enciclica Dominum et vivificantem, di Giovanni Paolo II, si legge, in questo senso, che « nella umanità di Gesù redentore, si invera la sofferenza di Dio » ( n. 39 ).

Ma chi è la causa ultima di questa sofferenza?

Dobbiamo forse pensare, come certi filosofi greci, che esiste al di sopra di noi e dello stesso Dio, una Necessità, un Fato, al quale tutto e tutti sono sottomessi? Non sia mai!

Dio è Dio, al di sopra di lui non c'è niente e nessuno.

Dov'è allora la causa? Essa è racchiusa in due parole: l'amore di Dio e la libertà dell'uomo.

I genitori umani che hanno dovuto soffrire per il traviamento e l'ingratitudine dei figli ( e ce ne sono tanti oggi ) sanno cosa significa essere disprezzati dai propri figli.

Dio aveva concepito per l'uomo un meraviglioso disegno di grazia.

Ma venne il peccato; l'uomo si sganciò da Dio, disse: « Non serviam - Non ti servirò! ».

Abbandonarono tutti la casa paterna come altrettanti figli prodighi.

Ma la realtà è stata ancora più bella della parabola.

Il figlio maggiore, infatti, qui non rimane tranquillo nella casa paterna.

L'Unigenito « che era nel seno del Padre » lesse l'ardente desiderio di lui di riavere i figli dispersi e non aspettò l'ordine: « Va' e muori per i tuoi fratelli! », ma, rivolto al Padre, disse: « Tu non hai voluto ne olocausti ne sacrifici per il peccato.

Allora io ho detto: Ecco, io vengo, per fare, o Dio, la tua volontà » ( Eb 10,5-7 ).

La tua volontà che tutti gli uomini siano salvi ( 1 Tm 2,4 ).

L'obbedienza più perfetta è quella che previene il comando e obbedisce al semplice desiderio.

Così è stata l'obbedienza di Cristo.

Dio - scrive san Tommaso - ha consegnato il Figlio suo alla morte « in quanto gli ha ispirato la volontà di soffrire per noi, infondendogli l'amore ».4

« Dio Padre - diceva san Bernardo - non ha preteso il sangue del Figlio, ma lo ha accettato offertogli - Non requisivit Poter sanguinem Filii, sed accepit oblatum ».5

Ecco da dove scaturisce il mistero che celebriamo questa sera: dal cuore stesso della Trinità; nasce dall'amore del Padre per noi e dall'amore del Figlio per il Padre.

Uscendo dal cenacolo Gesù disse: « Affinché il mondo sappia che io amo il Padre, alzatevi, andiamo » ( Gv 14,31 ).

Dunque abbiamo ragione di esclamare con le parole dell'Exsuket: « O meravigliosa condiscendenza della tua bontà per noi!

O inestimabile tenerezza di carità: per redimere il servo hai dato il Figlio! ».

Ecco cosa vuole dire che Dio « non ha risparmiato » il proprio Figlio: vuoi dire che non se lo è risparmiato, non l'ha tenuto per sé come un tesoro geloso.

Il Padre non è solo colui che riceve il sacrificio del Figlio, ma anche colui che fa il sacrificio di darci suo Figlio!

« Quanto ci hai amato, o Padre buono, che non risparmiasti il tuo unico Figlio, ma lo consegnasti per noi peccatori Quanto ci hai amato! ».6

E noi che fuggivamo dalla tua presenza, credendo che tu ci odiavi!

Date a un bambino la certezza che il suo papa lo ama e avrete fatto di lui una creatura forte, sicura, gioiosa e libera nella vita.

E la parola di Dio questo vuole fare di noi: ci vuole restituire questa sicurezza.

Non si vince la solitudine dell'uomo nel mondo, se non con la fede nell'amore di Dio Padre.

« L'amore paterno di Dio - ha scritto un grande filosofo - è l'unica cosa incrollabile nella vita, il vero punto di Archimede ».7

Osservate un bambino che va a passeggio, tenuto per mano dal suo papa, o che il papa fa volteggiare intorno a sé, tenendolo per le braccia, e avrete l'immagine stessa della fierezza, della libertà, della gioia.

Ho letto da qualche parte che un giorno un acrobata fece un esercizio: si sporse nel vuoto dall'ultimo piano di un grattacielo, appoggiato solo sulle punte dei piedi e tenendo tra le braccia il suo bambino.

Discesi a terra, qualcuno chiese al bambino se non aveva avuto paura di stare nel vuoto a quell'altezza e il bambino, sorpreso della domanda, rispose: « No, ero nelle braccia del papa ».

Così, ripeto, ci vuole la parola di Dio.

Dopo aver ricordato che Dio non ha risparmiato il proprio Figlio per noi, san Paolo esce in un grido di giubilo e di vittoria: « Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi? Chi ci accuserà? Chi ci condannerà?

Chi ci separerà dall'amore di Dio: la spada, la paura, l'angoscia, i complessi, il mondo, le malattie, la morte? Ma in tutte queste cose, noi siamo più che vincitori, grazie a colui che ci ha amato! » ( Rm 8,31-37 ).

Via dunque le paure, via gli scoraggiamenti, via le pusillanimità.

Il Padre sa e il Padre vi ama, dice Gesù!

Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma uno spirito da figli, con il quale gridare: « Abbà- Padre! ».

Di fronte a questo amore cosi incomprensibile, viene spontaneo rivolgerci a Gesù e domandargli: « Gesù, tu che sei il nostro fratello maggiore, dicci: che cosa possiamo fare per essere degni, o almeno riconoscenti di fronte a tanto dolore e a tanto amore? »; E Gesù risponde dall'alto della sua croce, risponde con i fatti, non con le parole.

« C'è una cosa - dice - che potete fare, che anch'io ho fatto e che fa felice il Padre: dategli fiducia, fidatevi di lui, contro tutto, contro tutti, contro voi stessi!

Quando siete nel buio, quando le difficoltà minacciano di soffocarvi e state sul punto di arrendervi, riprendetevi e gridate: "Padre mio, non ti comprendo più, ma mi fido di te!". E ritroverete la pace ».

C'è, nel mondo d'oggi, una situazione di sofferenza tutta particolare che questo annuncio sul Padre può lenire.

Descrivendo la missione di Giovanni Battista, l'angelo disse a Zaccaria, suo padre, che egli avrebbe «convertito il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri ». ( Lc 1,17; MI 3,24 )

Abbiamo bisogno che si rinnovi questa conversione.

Colui il cui nome, diabolos, significa il divisore, il separatore, non si contenta più di mettere un popolo contro un altro popolo, una classe sociale contro un'altra, un sesso contro l'altro: gli uomini contro le donne e le donne contro gli uomini.

Vuole colpire ancora più in profondità: mettere i padri contro i figli e i figli contro i padri e le madri.

Quanta sofferenza, quanta tristezza nel mondo per questo, quanti misfatti che lasciano senza parola!

Noi commemoriamo questa sera la storia dell'amore divino di un padre per il figlio e di un figlio per il proprio padre.

Che da questo mistero sgorghi per la Chiesa e per il mondo una grazia di guarigione che converta di nuovo il cuore dei padri verso i figli e dei figli verso i padri.

Che intenerisca i cuori induriti.

« Scrivo a voi, padri - diceva l'evangelista san Giovanni ai cristiani di allora - perché avete conosciuto colui che è fin da principio …, scrivo a voi figli perché avete conosciuto il Padre » ( 1 Gv 2,13 ).

E anch'io, in questo momento, parlo a voi padri e parlo a voi figli.

Bisogna ripartire da Dio per non soccombere al male.

Per ritrovare la gioia di essere uomo, di essere donna, di essere padre o madre, di essere figlio o figlia.

La gioia di essere al mondo, di esistere.

È scritto che nel sesto giorno della creazione Dio guardò quanto aveva fatto e vide che « era cosa molto buona » ( Gen 1,31 ).

Nel sesto giorno della nuova settimana creatrice, che è il Venerdì Santo, Dio Padre torna a guardare la sua creazione e vede che, grazie al sacrificio del Figlio suo, tutto è di nuovo « molto buono ».

Si rallegri di nuovo Dio nelle sue opere ( Sal 104,31 ).

E se da questo nostro mondo malato si levano verso il cielo tanti gridi di rivolta, tante bestemmie, tante maledizioni, noi facciamo nostre, in questo giorno santissimo dell'anno, le parole dell'Apostolo e gridiamo dal profondo del cuore, in nome di tutti gli uomini della terra: « Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo! » ( Ef 1,3 ).

Benedetto sia Dio Padre! Benedetto, Benedetto!

Indice

1 Tertulliano, Contro Prassea, 29 (CCL 2, p. 1203)
2 Origene, Omelie su Ezechiele, 6, 6 (GCS 1925, p. 384)
3 Imitazione di Cristo, III,5
4 Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, III, 47, 3
5 Bernardo di Chiara Valle, Contro gli errori di Abelardo, 8, 21 (PL 182's 1070)
6 Agostino, Confessioni, 10,43
7 Kierkegaard, Diario, III A, 73