Il potere della croce

Indice

« Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei »

« Uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua » ( Gv 19,34 ).

Nel riflettere su queste parole, ci fu un momento in cui la Chiesa antica fu come folgorata da una rivelazione.

« Non passare oltre troppo in fretta, o diletto, su questo mistero - esclama san Giovanni Crisostomo -, perché io ho una interpretazione mistica da esporti.

Quel sangue e quell'acqua sono simboli del battesimo e dell'Eucaristia da cui viene generata la Chiesa.

Dal fianco dunque di Cristo fu formata la Chiesa, come dal fianco di Adamo fu formata Eva …

E come allora prese dal fianco durante il sonno, mentre Adamo dormiva, così ora, dopo la sua morte, diede il sangue e l'acqua.

La morte è ora ciò che fu allora il sonno.

Vedete come Cristo ha congiunto a se stesso la sposa? ».1

In occidente gli fece eco sant'Agostino: « La prima donna fu formata dal fianco dell'uomo che dormiva, e fu chiamata vita e madre dei viventi.

Qui il secondo Adamo, chinato il capo, si addormenta sulla croce, perché così, con il sangue e l'acqua che sgorgano dal suo fianco, fosse formata la sua sposa ».2

Tutto ciò ci aiuta a vedere sotto una luce nuova la liturgia che stiamo celebrando.

A prima vista, si potrebbe pensare che la liturgia del Venerdì Santo appartenga, o si ispiri, al genere dei threnoi, cioè delle lamentazioni che si levavano su un morto; oppure al genere dell'epinicio con cui si celebrava una vittoria.

È vera l'una e l'altra cosa: noi piangiamo su una morte e celebriamo una vittoria, poiché sulla croce « ha vinto - enikesen - il leone della tribù di Giuda » ( Ap 5,5 ).

Ma la liturgia del Venerdì Santo è soprattutto un epitalamio, un canto di nozze.

Esiste nella Bibbia un salmo intitolato « epitalamio regale », composto per le nozze di un figlio di re e di una regina, che la tradizione ha applicato a Cristo e alla Chiesa.

Esso comincia così: « Effonde il mio cuore liete parole, io canto al re il mio poema ».

Allo sposo si dice: « Tu sei il più bello tra i figli dell'uomo » e alla sposa: « Ascolta, figlia, guarda, porgi l'orecchio, dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre; al re piacerà la tua bellezza » ( Sal 45 ).

Nell'epitalamio tutto parla di bellezza.

Ma esiste un epitalamio anche nel Nuovo Testamento, scritto appositamente per queste nozze nuove di Cristo e della Chiesa.

È la lettera agli Efesini. In essa si dice: « Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa …, al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata …

Nessuno ha mai preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa …

Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due saranno una carne sola.

Questo mistero è grande per il suo riferimento a Cristo e alla Chiesa » ( Ef 5,25-32 ).

C'è una progressione significativa, a proposito della Chiesa, nella lettera agli Efesini, una specie di tentativo di penetrare sempre più in profondità nel suo mistero.

Dapprima, essa è presentata con l'immagine della costruzione, come l'edificio di Dio, che ha « per pietra angolare lo stesso Gesù » ( Ef 2,20 ).

Il rapporto tra Gesù e la Chiesa è assimilato a quello tra il fondamento e la casa costruitavi sopra.

Andando avanti, la chiesa è presentata come il corpo di Cristo: Dio ha stabilito - si legge - alcuni come apostoli, altri come profeti, « al fine di edificare il corpo di Cristo » ( Ef 4,11-12 ).

Qui il rapporto tra i due è assimilato a quello tra capo e corpo: « … cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui che è il capo, Cristo » ( Ef 4,15 ).

Ma l'Apostolo non sembra ancora soddisfatto di queste immagini dell'edificio e del corpo, ed ecco che ce ne dona un'altra, quella della sposa.

Quando Adamo vide Eva, esclamò: « Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa » ( Gen 2,23 ).

Così dice ora Cristo della sua Chiesa.

In che consiste la differenza? L'edificio non è un "partner", un interlocutore, con cui si possa dialogare.

Anche il proprio corpo non è una persona che mi sta davanti con la sua libertà, che posso amare e da cui posso essere riamato.

La sposa è tutto questo! Anche il nuovo Adamo cercava « un aiuto simile a lui » e l'ha avuto!

Ma a questo punto devo riprendere e fare mie le parole di quell'antico Padre e dire: « Non passare oltre troppo in fretta, o diletto, perché io ho un'altra considerazione da proporti ».

L'affermazione dell'Apostolo, « Cristo ha amato la Chiesa », sottintende una domanda; la fa quasi risuonare nell'aria.

Cristo ha amato la Chiesa: e tu? Ami tu la Chiesa?

« Nessuno ha in odio la propria carne », cioè la propria sposa, tanto meno Cristo.

Allora perché, fratello, tu dici: « Dio sì, la Chiesa no »?

Perché punti con tanta facilità il dito accusatore contro tua madre, dicendo: « La Chiesa sbaglia qui, la Chiesa sbaglia là; la Chiesa dovrebbe dire, la Chiesa dovrebbe fare … »?

Chi sei tu che osi puntare il dito contro la mia sposa che amo? dice il Signore.

« Dov'è il documento di ripudio di vostra madre, con cui l'ho scacciata? », dice Dio nel profeta Isaia ( Is 50,1 ).

Penso che questa parola è rivolta anche a tanti cristiani di oggi: « Dove sta scritto che io ho ripudiato vostra madre, la Chiesa; che essa non è più la mia sposa »?

La Chiesa è anch'essa « la pietra scartata dai costruttori » ( i costruttori della moderna civiltà secolare ).

È « la sposa ripudiata », ma ripudiata dagli uomini, non da Dio, Dio è fedele.

In alcune parti del mondo esiste un termine apposito per designare questa categoria di credenti: gli unchurched Christians, i cristiani senza Chiesa.

E non si avvedono che, in questo modo, non si privano solo della Chiesa, ma anche di Cristo ( a meno che li scusi l'ignoranza o la buona fede ).

Vale a maggior ragione per Cristo e la Chiesa ciò che Gesù ha detto di ogni matrimonio: « L'uomo non separi ciò che Dio ha congiunto » ( Mt 19,6 ).

Chi non ama la Chiesa ( almeno una volta che l'ha conosciuta ) non ama Cristo.

« Non può avere Dio per Padre - diceva san Cipriano - chi non ha la Chiesa per madre ».3

E avere la Chiesa per madre non significa soltanto essere stati battezzati una volta nella Chiesa, ma anche stimarla, rispettarla, amarla come madre, sentirsi solidali con lei nel bene e nel male.

Se uno guarda la vetrata di un'antica cattedrale dalla pubblica via, non vedrà che pezzi di vetri oscuri tenuti insieme da strisce di nero piombo; ma se varca la soglia e la guarda dal di dentro, contro luce, allora è uno spettacolo di colori e di forme che fa rimanere senza respiro.

Così succede con la Chiesa.

Chi la guarda dall'esterno, con gli occhi del mondo, non vede che lati oscuri e miserie, ma chi la guarda dal di dentro, con gli occhi della fede, sentendosi parte di essa, vedrà quello che vedeva Paolo: un meraviglioso edificio, un corpo ben compaginato, una sposa senza macchia, un « grande mistero »!

Chi guarda dal retro di questa Basilica il finestrone che abbiamo di fronte a noi, non vede nulla di speciale, solo vetro oscuro; ma noi che siamo qui vi scorgiamo una colomba luminosissima, lo Spirito Santo.

Forse tu dici: « Ma come, e l'incoerenza della Chiesa? E gli scandali, perfino di alcuni papi? ».

Dici questo, però, perché ragioni umanamente, da uomo carnale, e non riesci ad accettare che Dio manifesti la sua potenza e il suo amore attraverso la debolezza.

Non riuscendo a ottenere l'innocenza da te stesso, la pretendi dalla Chiesa, mentre Dio ha deciso di manifestare la sua gloria e la sua onnipotenza proprio attraverso questa terribile debolezza e imperfezione degli uomini, compresi gli "uomini di Chiesa", e con essa ha formato la sua sposa, che è meravigliosa proprio perché esalta la sua misericordia.

Il Figlio di Dio è venuto in questo mondo e, da buon falegname qual era diventato alla scuola di Giuseppe, ha raccolto i pezzetti di tavole più sgangherati e bitorzoluti che ha trovato e con essi ha costruito una barca che tiene il mare da duemila anni.

I peccati della Chiesa! Credi tu che Gesù non li conosca meglio di te? Non sapeva egli per chi moriva, dove erano in quel momento i suoi apostoli?

Ma egli ha amato questa Chiesa reale, non quella immaginaria e ideale.

È morto « per renderla santa e immacolata », non perché era santa e immacolata.

Cristo ha amato la Chiesa « in speranza »; non solo per quello che "è", ma anche per quello che "sarà": la Gerusalemme celeste « pronta come sposa adorna per il suo sposo » ( Ap 21,2 ).

Ma perché, poi, questa nostra Chiesa è così povera e lenta?

Ce lo siamo mai domandato? Don Primo Mazzolari, che non era certo un uomo abituato a lusingare la Chiesa istituzionale, ha scritto: « Signore, sono la tua carne inferma; ti peso come croce che pesa, come spalla che non regge.

Per non lasciarmi a terra, ti carichi anche del mio fardello e cammini come puoi.

E tra coloro che tu porti c'è qualcuno che ti fa colpa di non camminare secondo le regole e accusa di lentezza anche la tua Chiesa, dimenticando che, carica com'è di scorie umane che non può né vuole buttare a mare ( sono i suoi figlioli! ), il portare vale più dell'arrivare ».

La Chiesa va lenta, certo. Va lenta nell'evangelizzazione, nel rispondere ai segni dei tempi, nella difesa dei poveri e in tante altre cose.

Ma sapete perché va lenta? Perché porta sulle spalle noi che siamo ancora pieni di zavorra di peccato.

I figli accusano la madre di essere piena di rughe e queste rughe, come avviene anche sul piano naturale, sono proprio essi che gliele hanno procurate.

Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei perché fosse « senza macchia », e la Chiesa sarebbe senza macchia, se non avesse noi!

La Chiesa avrebbe una ruga in meno, se io avessi commesso un peccato in meno.

A uno dei Riformatori che lo rimproverava di rimanere nella Chiesa cattolica, nonostante la sua "corruzione", Erasmo di Rotterdam rispose un giorno: « Sopporto questa Chiesa, in attesa che divenga migliore, dal momento che anch'essa è costretta a sopportare me, in attesa che io divenga migliore ».

Dobbiamo chiedere perdono tutti a Cristo di tanti giudizi sconsiderati e di tante offese arrecate alla sua sposa e, per conseguenza, a lui stesso.

Provate a dire a un uomo veramente innamorato che la sua sposa è brutta, o che è una « poco di buono », e vedrete se potete fargli offesa più grande e se potete sostenere la sua collera.

Bisogna che ci imponiamo subito, tutti, un nuovo modo di parlare, più consapevole di chi è la Chiesa.

« Poiché io sono uno di essi - scriveva Saint-Exupéry della sua patria terrena, in un momento buio della sua storia - io non rinnegherò i miei, qualunque cosa facciano.

Non predicherò contro di essi davanti ad estranei.

Se è possibile prendere la loro difesa, li difenderò.

Se mi coprono di vergogna, nasconderò questa vergogna nel mio cuore e tacerò.

Qualunque cosa io pensi di essi allora, non servirò mai di testimone a carico.

Un marito non va di casa in casa a informare, lui stesso, i vicini che sua moglie è una sgualdrina: non salverebbe in tal modo il suo onore.

Poiché la sua sposa è della sua casa, non può farsi bello contro di essa.

Piuttosto, una volta rientrato in casa sua, egli darà sfogo alla sua collera ».4

C'è il pericolo che qualcuno faccia esattamente quello che qui si condanna.

Che, avendo rotto con la Chiesa, si vada di università in università, di rivista in rivista, di congresso in congresso, ripetendo le proprie amare accuse contro la Chiesa "istituzionale", come se essa fosse tutt'altra cosa rispetto all'ideale di Chiesa coltivato nella propria mente, credendo di salvare così il proprio onore contro di essa.

Il mondo, si sa, fa ponti d'oro a chi volta le spalle alla Chiesa.

« Quanto è facile far carriera, quando si passa all'accampamento dei nemici! » diceva Tertulliano, parlando di coloro che abbandonavano la Chiesa per passare a qualche setta eretica e venivano subito insigniti di onori e cariche.5

Spesso non si fa che nascondere, dietro un polverone di accuse contro la Chiesa e i superiori, il proprio naufragio nella fede.

Si dovrà dunque tacere, tutti e sempre, nella Chiesa?

No, una volta « rientrato in casa », una volta che hai pianto con la Chiesa, che ti sei umiliato sotto i suoi piedi, Dio ti può comandare, come ha fatto con altri nel passato, di alzare la voce contro « le piaghe della Chiesa ».

Ma non prima di allora, e non senza che tu, in qualche modo, muoia in questa pericolosa missione.

I santi hanno applicato anche alla Chiesa, ciò che Giobbe diceva di Dio: « Anche se mi uccidesse, voglio ricorrere a lui » ( Gb 13,15 ).

Da quello che abbiamo contemplato in questo Venerdì Santo si leva un appello particolare per le anime consacrate.

Esse sono coloro che hanno "sposato" la causa del Regno, che hanno avvertito, per pura grazia, il bisogno di « qualcosa di maestoso » da amare e l'hanno trovato nel Cristo.

Sono chiamate perciò a essere segno visibile dell'amore sponsale della Chiesa per Cristo.

Si parla molto oggi di un disagio, in atto in seno alla vita religiosa tradizionale, di una crisi di identità.

Sono cose su cui cercherà di fare luce e indicare soluzioni il prossimo Sinodo dei vescovi che ha come tema « La vita consacrata e la sua missione nella Chiesa e nel mondo ».

Io credo che ci sono tante spiegazioni di quel disagio, ma che una è quella fondamentale: si è raffreddato, in molti di noi, l'amore per Cristo che è alla base della nostra scelta.

C'è una lettera per noi religiosi nell'Apocalisse; è quella scritta alla Chiesa di Efeso.

Dice: « Conosco le tue opere, la tua fatica e la tua costanza …

Però ho una cosa da rimproverarti: hai abbandonato il tuo amore di un tempo.

Ricorda dunque da dove sei caduto, ravvediti! » ( Ap 2,2-5 ).

Anche a noi sono rimaste spesso « le opere, la fatica e la costanza » ( tutte cose preziose da non perdere ), ma forse è venuta a mancare l'anima, che è l'amore sponsale per Cristo.

L'amore ha bisogno di preghiera per sopravvivere, come il fuoco dell'ossigeno per ardere.

« Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese » ( e alle comunità religiose )!

Da quello che contempliamo in questo giorno si leva, infine, un appello anche per gli sposi cristiani.

È l'Apostolo stesso che lo ha formulato: « Le mogli siano sottomesse ai mariti …

E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa » ( Ef 5,22.25 ).

( Oggi diremmo che anche la moglie deve "amare" il marito, esattamente come deve fare l'uomo con lei ).

Non si sentano diminuite le donne, come se, in questo simbolismo, esse fossero chiamate a rappresentare la Chiesa, e gli uomini invece Gesù Cristo.

Si sentano piuttosto onorate per il fatto che tutta l'umanità è qui rappresentata da una donna, dall'Eva che è la Chiesa.

Sul piano della realtà, anche gli uomini non sono rappresentati qui da Cristo, ma dalla Chiesa; non sono lo sposo, ma la sposa.

Siamo nell'anno internazionale della famiglia e la Chiesa dedica ogni sforzo per difenderne i diritti e promuoverne la santità.

Ma la famiglia non sarà sana se la sua radice, il rapporto di coppia, è malata.

È qui che si decide tutto. Quando quel rapporto si spezza, è come quando si rompe la fune in una cordata alpina: tutti quelli che a essa erano appesi precipitano nel vuoto, e in primo luogo i figli.

Che cosa può imparare una coppia di sposi cristiani dal modello Cristo-Chiesa? Soprattutto una cosa.

Ci sono, al mondo, due tipi di amore: un amore di munificenza e un amore di sofferenza.

Il primo consiste nel fare regali e donativi alla persona amata; il secondo nell'essere capaci di soffrire per essa e di soffrire a causa di essa.

Dio, nella creazione, ci ha amato di un amore di munificenza, ma sulla croce ci ha amato anche di un amore di sofferenza, che è infinitamente più esigente.

Non dimentichiamo però, per non pensare che tutto sia sempre e solo sofferenza, ciò che ha detto una volta Gesù stesso: che « c'è più gioia nel dare che nel ricevere » ( At 20,35 ).

Gioia di scoprire tutto un nuovo piano nell'amore, di amare come ama Dio, di conoscere l'amore che è ricompensa e gioia a se stesso.

Nel libro di Geremia si legge questo oracolo misterioso: « Il Signore crea una cosa nuova sulla terra: la donna cingerà l'uomo » ( Ger 31,22 ).

Fino a oggi - vuoi dire il profeta -, è stato lo sposo, Dio, a ricercare e rincorrere la donna infedele che andava dietro agli idoli.

Ma verrà un giorno in cui non sarà più così.

Anzi sarà la donna stessa, la comunità dell'alleanza, a ricercare il suo sposo e a stringersi a lui.

Quel giorno è venuto! Ora tutto ciò si è compiuto.

Non perché l'umanità sia improvvisamente divenuta saggia e fedele, no, ma perché il Verbo l'ha assunta e unita a sé, nella sua stessa persona, in un'alleanza nuova ed eterna.

Tutta la liturgia del Venerdì Santo esprime il compimento di quell'oracolo.

Esso è cominciato sul Calvario, con Maria che stringe tra le mani e bacia il volto del Figlio deposto dalla croce, e prosegue ora nella Chiesa, di cui ella era, in ciò, figura e primizia.

La Chiesa che, con in testa il successore di Pietro, sfilerà ora a baciare il Crocifisso, è la Donna che « cinge l'uomo », che lo abbraccia, piena di gratitudine e di commozione.

Che dice, con la sposa del Cantico: « Ho trovato l'amato del mio cuore; l'ho stretto fortemente e non lo lascerò mai » ( Ct 3,4 ).

Indice

1 Giovanni Crisostomo, Catechesi battesimali, 7, 17-18 (SCh 50 bis, p. 160 s)
2 Agostino, Trattati sui vangelo di Giovanni, 120, 2
3 Cipriano, L'unità della Chiesa, 6
4 A. de Saint-Exupéry, Mote de guerre, 24
5 Tertulliano, Prescrizione contro gli eretici, 41, 7