Compendio di Teologia Ascetica e Mistica

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ART. II. Motivi e mezzi per riparare il peccato

I. Motivi di penitenza.

Tre motivi principali ci obbligano a far penitenza dei nostri peccati:

un dovere di giustizia rispetto a Dio;

un dovere risultante dalla nostra incorporazione a Gesù Cristo;

un dovere di proprio interesse e, di carità.

1° Un dovere di giustizia rispetto a Dio

736. Il peccato infatti è una vera ingiustizia, perché toglie a Dio una parte di quella gloria esterna a cui ha diritto; richiede quindi per giustizia una riparazione, che consisterà nel restituire a Dio, per quanto possiamo, l'onore e la gloria di cui l'abbiamo colpevolmente privato.

Ora quest'offesa, essendo, almeno oggettivamente, infinita, non sarà mai intieramente riparata.

Dobbiamo quindi espiare per tutta la vita; obbligo tanto più esteso quanto maggiori furono i benefici di cui siamo stati colmati, e più gravi e più numerose le colpe.

È quanto osserva Bossuet: "Non dobbiamo giustamente temere che la bontà di Dio, così indegnamente disprezzata, si cambi in implacabile furore?

Che se la giusta sua vendetta è così grande contro i gentili … non sarà la sua collera tanto più terribile per noi quanto più doloroso è per un padre l'aver perfidi figli e servi cattivi?

" Dobbiamo quindi, egli dice, prendere le parti di Dio contro di noi: "Prendendo così contro di noi le parti della divina giustizia, obblighiamo la sua misericordia a prendere le parti nostre contro la sua giustizia.

Quanto più deploreremo la miseria in cui siamo caduti, tanto più ci avvicineremo al bene che abbiamo perduto: Dio riceverà pietosamente il sacrificio del cuore contrito che noi gli offriremo in soddisfazione dei nostri delitti; e senza considerare che le pene che c'imponiamo non sono proporzionata vendetta, questo buon padre terrà conto soltanto che è volontaria".736-1

Renderemo del resto più efficace la nostra penitenza unendola a quella di Gesù Cristo.

2° Un dovere risultante dalla nostra incorporazione a Cristo

737. Fummo col battesimo incorporati a Cristo ( n. 143 ), onde dobbiamo, partecipandone la vita, parteciparne pure le disposizioni.

Ora Gesù, benché impeccabile, prese sopra di sé, come capo d'un corpo mistico, il peso e, per così dire, la responsabilità dei nostri peccati, "[posuit Dominus in eo iniquitatem omnium nostrum] il Signore fece ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti" ( Is 53,6 ).

Ecco perché condusse vita penitente dal primo istante della sua concezione sino al Calvario.

"Ben sapendo che il Padre non poteva essere placato dagli olocausti dell'Antica Legge, offre sé stesso come ostia per sostituire tutte le vittime; tutte le sue azioni saranno immolate con la spada dell'ubbidienza, e dopo una lunga vita, che altro non è se non continuo martirio, muore sulla croce, vittima dell'ubbidienza e dell'amore "[factus obediens usque ad mortem, mortem autem crucis] e divenne obbediente fino alla morte e alla morte di croce".737-1

Ma vuole che i suoi membri, per essere mondati dai loro peccati, s'uniscano al suo sacrificio e siano vittime espiatrici insieme con lui: "Per essere il Salvatore del genere umano, ne volle essere la vittima.

Ma l'unità del suo corpo mistico richiede che, essendosi immolato il capo, tutte le membra debbano pur essere ostie viventi".

È infatti evidente che se Gesù, benché innocente, espiò i nostri peccati con così rigorosa penitenza, noi, che siamo colpevoli, dobbiamo associarci al suo sacrificio con tanto maggior generosità quanto maggiori furono i nostri peccati.

738. Ad agevolarci questo dovere, Gesù penitente viene a vivere in noi per mezzo del divino suo Spirito con le sue disposizioni di vittima.

"Così dice l'Olier, leggendo i Salmi bisogna onorare in David lo spirito di penitenza e ammirare con grande religione e posatezza le disposizioni dello Spirito interiore di Gesù Cristo, fonte di penitenza, diffuso in questo Santo.738-1

Bisogna chiedere di parteciparvi con umiltà di cuore, con insistenza, fervore e perseveranza, ma soprattutto con umile fiducia che questo Spirito ci sarà comunicato.

Certo non sentiremo sempre l'azione di questo Spirito divino, perché opera spesso insensibilmente; ma se umilmente lo chiediamo, lo riceviamo, e opera in noi per renderci conformi a Gesù penitente, farci detestare ed espiare con lui i nostri peccati.

La nostra penitenza è allora assai più efficace, perché partecipa della virtù stessa del Salvatore: non siamo più noi soli a riparare, è Gesù che espia in noi e con noi.

"Ogni penitenza esterna che non esce dallo Spirito di Gesù Cristo, dice l'Olier, non è vera e reale penitenza.

Si possono esercitare su di sé rigori anche molto violenti; ma se non emanano da Nostro Signore penitente in noi, non possono essere penitenze cristiane.

Solo per mezzo di lui si fa penitenza; egli la cominciò quaggiù sulla terra nella sua persona è la continua in noi … animando l'anima nostra delle interne disposizioni d'annientamento, di confusione, di dolore, di contrizione, di zelo contro noi stessi e di fortezza per compiere su di noi la pena e la misura della soddisfazione che Dio Padre vuole ricevere da Gesù Cristo nella nostra carne".738-2

Questa unione con Gesù penitente non ci dispensa dunque dai sentimenti e dalle opere di penitenza ma vi dà un maggior valore.

3° Un dovere di carità

La penitenza è un dovere di carità verso di noi e verso il prossimo.

739. A) Verso di noi: il peccato infatti lascia nell'anima funeste conseguenze, contro cui e necessario reagire.

a) Anche quando la colpa o il fallo è perdonato, ci resta generalmente da subire una pena più o meno lunga secondo la gravità e il numero dei peccati e secondo il fervore della contrizione nel momento del nostro ritorno a Dio.

Questa pena dev'essere subita in questo mondo o nell'altro.

Ora è assai più utile espiarla in questa vita, perché, quanto più prontamente e perfettamente paghiamo questo debito, tanto più l'anima diviene atta all'unione divina; d'altra parte più facile è questa espiazione sulla terra, perché la vita presente e tempo di misericordia; è anche più feconda, perché gli atti sodisfattorii sono nello stesso tempo meritorii ( n. 209 ).

Ama quindi l'anima propria chi fa pronta e generosa penitenza.

b ) Ma il peccato lascia pure in noi una deplorevole facilità a commettere nuove colpe, appunto perché accresce in noi l'amore disordinato del piacere.739-1

Ora nulla corregge meglio questo disordine quanto la virtù della penitenza; facendoci valorosamente tollerare le pene che la Provvidenza ci manda, stimolando il nostro ardore per le privazioni e le austerità compatibili con la salute, essa smorza gradatamente l'amore del piacere e ci fa paventare il peccato che esige tali riparazioni; facendoci praticare atti di virtù contrari alle cattive nostre abitudini, ci aiuta a correggercene e ci dà maggior sicurezza per l'avvenire.

É dunque atto di carità verso sé stesso il far penitenza.

740. B) è pure atto di carità verso il prossimo.

a) In virtù della nostra incorporazione a Cristo, siamo tutti fratelli, tutti solidari gli uni degli altri ( n. 148 ).

Potendo dunque le nostre opere soddisfattorie essere utili agli altri, perché la carità non ci indurrà a far penitenza non solo per noi ma anche per i fratelli?

Non è questo il mezzo migliore d'ottenerne la conversione, o, se sono già convertiti, la perseveranza?

Non è questo il miglior servizio che possiamo loro prestare, servizio mille volte più utile di tutti i beni temporali che potremmo loro dare?

Non è un corrispondere alla divina volontà che, avendoci adottati tutti per figli, ci chiede di amare il prossimo come noi stessi e di espiarne le colpe come espiamo le nostre?

741. b) Questo dovere di riparazione spetta più specialmente ai sacerdoti: è dovere del loro stato l'offrire vittime non solo per se stessi ma anche per le anime di cui sono incaricati: "[prius pro suis delictis, deinde pro populi] prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo". ( Eb 7,27 ).741-1

Ma ci sono, fuori del sacerdozio, anime generose che, così nel chiostro come nel mondo, si sentono attirate a offrirsi vittime per espiare i peccati altrui.

Vocazione nobilissima che le associa all'opera redentrice di Cristo, e a cui è bene animosamente corrispondere procurando di consultare un savio direttore per fissare con lui le opere di riparazione a cui dedicarsi.

742. Diremo terminando che lo spirito di penitenza non è dovere imposto soltanto agl'incipienti e per brevissimo tempo.

Quando si è ben capito che cos'è il peccato e quale offesa infinita infligge alla maestà divina, uno si crede obbligato a far penitenza per tutta la vita, perchè la vita stessa è troppo breve per riparare un'offesa infinita.

Non bisogna quindi stancarsi mai di fare penitenza.

Questo punto è così importante che il P. Faber, dopo aver lungamente riflettuto sulla causa per cui tante anime fanno così poco progresso, venne alla conclusione che questa causa sta "nella mancanza di costante dolore eccitato dal ricordo del peccato".742-1

Se ne ha del resto la conferma negli esempi dei Santi, che non cessarono mai di espiare le colpe, talora assai leggere, commesse in passato.

Anche la condotta di Dio verso le anime che vuole innalzare alla contemplazione lo dimostra assai bene.

Faticato che hanno per lungo tempo a purificarsi con gli esercizi attivi della penitenza, Dio, a dar l'ultima mano alla loro purificazione, invia quelle prove passive che descriviamo nella via unitiva.

Infatti solo i cuori intieramente puri o purificati possono giungere alle dolcezze dell'unione divina: "[Beati mundo corde quoniam ipsi Deum videbunt] Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio"!

II. La pratica della penitenza.

A praticare la penitenza in modo più perfetto, conviene unirsi a Gesù penitente chiedendogli di vivere in noi col suo spirito di vittima ( n. 738 ); e poi associarsi ai suoi sentimenti e alle sue opere di penitenza.

743. Questi sentimenti sono assai bene espressi nei salmi specialmente nel Miserere.

a) Prima di tutto la memoria abituale e dolorosa dei propri peccati: "[peccatum meum contra me est semper] il mio peccato è sempre davanti a me" ( Sal 51,5 ).

Non conviene certo riandarli distintamente nella mente potendosi con ciò turbare l'immaginazione e cagionare nuove tentazioni.

Bisogna ricordarsene in generale e soprattutto nutrirne sentimenti di contrizione e d'umiliazione.

Abbiamo offeso Dio alla sua presenza "[et malum coram te feci] e fatto ciò che è male" ( Sal 51,6 ) quel Dio che è la santità stessa e che odia l'iniquità, quel Dio che è tutto amore e che noi abbiamo oltraggiato profanandone i doni.

Non ci resta che ricorrere alla sua misericordia e implorarne il perdono, e bisogna farlo spesso: "[Miserere mei, Deus, secundum magnam misericordiam tuam] Abbi pietà di me, o Dio, secondo la tua grande misericordia" ( Sal 51,3 ).

Abbiamo, è vero, speranza d'essere stati perdonati; ma, bramosi di sempre più perfetta mondezza, chiediamo umilmente a Dio di purificarci ognor più nel sangue di suo Figlio: "[amplius lava me ab iniquitate mea et a peccato meo munda me] Lavami da tutte le mie colpe, mondami dal mio peccato" ( Sal 51,4 ).

Per unirci più intimamente a lui, vogliamo che i nostri peccati siano distrutti, che non ne resti più traccia: "[omnes iniquitates meas dele] cancella tutte le mie"; desideriamo che la mente e il cuore siamo rinnovati: "[cor mundum crea in me, Deus, et spiritum rectum innova in visceribus meis] Crea in me un cuore puro, o Dio, e rinnova uno spirito giusto nelle mie viscere", che ci sia resa la gioia della buona coscienza: "[Redde mihi lætitiam salutaris tui] Rendimi la gioia della tua salvezza" ( Sal 51,10-14 ).

744. b) Questa dolorosa memoria è accompagnata da un senso di perpetua confusione: "[operuit confusio faciem meam] coperto la mia faccia" ( Sal 69,8 ).

Confusione che portiamo davanti a Dio, come Gesù Cristo portò davanti al Padre l'ontà delle nostre offese, massimamente nell'orto dell'agonia e sul Calvario.

La portiamo davanti agli uomini, vergognosi di vederci carichi di delitti nell'assemblea dei Santi.

La portiamo davanti a noi stessi, non potendoci soffrire nè sopportare nella nostra vergogna, ripetendo sinceramente col prodigo: "Padre, ho peccato contro il cielo e contro di voi" ( Lc 15,18 ) e col pubblicano: "O Dio, abbi pietà di me, peccatore" ( Lc 18,13 ).

745. c) Ne nasce un salutare timore del peccato, un orrore profondo per tutte le occasioni che vi ci possono condurre.

Perchè, nonostante la buona volontà, restiamo esposti alla tentazione e alle ricadute.

Rimaniamo quindi sommamente diffidenti di noi stessi e dal fondo del cuore ripetiamo la preghiera di S. Filippo Neri: O Signore, non vi fidate di Filippo, chè altrimenti vi tradirà; aggiundendovi: "non ci lasciate cadere nella tentazione: et ne nos inducas in tentationem".

Questa diffidenza ci fa prevedere le occasioni pericolose in cui potremmo soccombere, i mezzi positivi per assicurare la nostra perseveranza e ci rende vigilanti a schivare le minime imprudenze.

Evita però con ogni premura lo scoraggiamento: quanto maggior coscienza abbiamo della nostra impotenza, tanto maggiore fiducia dobbiamo riporre in Dio, sicuri che per l'efficacia della sua grazia riusciremo vittoriosi, soprattutto se a questi sentimenti uniamo le opere di penitenza.

III. Le opere di penitenza.

746. Queste opere, per quanto penose possano essere, ci parranno facili, se abbiamo continuamente davanti agli occhi questo pensiero: io sono uno scampato dall'inferno, uno scampato dal purgatorio, e, senza la divina misericordia, sarei già là a subirvi il castigo che ho pur troppo meritato; nulla quindi di troppo umiliante, nulla di troppo penoso per me.

Le principali opere di penitenza che dobbiano fare, sono:

747. 1° L'accettazione, prima rassegnata poi cordiale e gioconda, di tutte le croci che la Provvidenza vorrà mandarci.

Il Concilio di Trento ci insegna che è gran segno di amore per noi il degnarsi Dio di gradire come soddisfazione dei nostri peccati la pazienza con cui accettiamo tutti i mali temporali, che egli ci infligge.747-1

Se abbiamo dunque da soffrire prove fisiche o morali, per esempio le intemperie delle stagioni, le strette della malattia, i rovesci di fortuna, la mala riuscita, le umiliazioni; in cambio di amaramente lamentarcene, come la natura vorrebbe, accettiamo tutti questi patimenti con dolce rassegnazione, persuasi che pei nostri peccati li meritiamo e che la pazienza in mezzo alle prove è uno dei migliori mezzi d'espiazione.

Non sarà da principio che semplice rassegnazione, ma poi, accorgendoci che i nostri dolori ne restano addolciti e fecondi, riusciremo a poco a poco a sopportarli valorosamente e anche giocondamente, lieti di poterci così abbreviare il purgatorio, di rassomigliare meglio al divin crocifisso, di glorificar Dio che abbiamo oltraggiato.

La pazienza produrrà allora tutti i suoi frutti e ci purificherà intieramente l'anima appunto perchè opera di amore: "[remittuntur ei peccata multa, quoniam dilexit multum] Molti peccati le sono perdonati, perché ha molto amato" ( Mt 9,2 ).

748. 2° A questa pazienza aggiungeremo il fedele adempimento dei doveri del nostro stato in spirito di penitenza e di riparazione.

Il sacrificio più gradito a Dio è quello dell'ubbidienza "[melior est obedientia quam victimæ] L'obbedienza è meglio del sacrificio".

Ora i doveri del nostro stato sono per noi la chiara espressione della volontà di Dio.

L'adempierli il più perfettamente possibile è dunque un offrire a Dio il sacrificio più perfetto, l'olocausto perpetuo, perchè questi doveri ci stringono dalla mattina alla sera.

Il che è certamente vero per le persone che vivono in comunità: obbedendo fedelmente alla regola, generale o particolare, adempiendo generosamente quanto viene prescritto o consigliato dai superiori, moltiplicando gli atti di obbedienza, di sacrificio e d'amore, e possono ripetere con San Giovanni Berchmans che la vita comune è per essi la migliore di tutte le penitenze: [mea maxima pænitentia vita communis] Il mio più grande rammarico è la vita di tutti i giorni.

Ma è anche vero per le persone del mondo che vivono cristianamente; quante occasioni si presentano ai padri e alle madri di famiglia che osservano tutti i doveri di sposi e di educatori, di offrire a Dio numerosi ed austeri sacrifici che servono grandemente a purificare le loro anime!

Tutto sta nell'adempiere questi doveri cristianamente, valorosamente, per Dio, in ispirito di riparazione e di penitenza.

749. 3° Vi sono pure altre opere specialmente raccomandate dalla Sacra Scrittura, come il digiuno e l'elemosina.

A) Il digiuno era nell'antica Legge uno dei grandi mezzi di espiazione; veniva indicato con l'espressione "affliggere la propria anima"; ( Lv 16,29; Lv 23,27 ) ma per ottenerne l'effetto doveva essere accompagnato da sentimenti di compunzione e di misericordia ( Is 58,3-7 ).

Nella nuova Legge il digiuno è pratica di duolo e di penitenza; quindi gli Apostoli non digiunano finchè è con loro lo Sposo, digiuneranno, quando non vi sarà più ( Mt 9,14-15 ).

Nostro Signore, per espiare i nostri peccati, digiuna quaranta giorni e quaranta notti, ed insegna agli apostoli che certi demoni non possono essere cacciati che col digiuno e colla preghiera ( Mt 17,20 ).

Fedele a questi insegnamenti, la Chiesa istituì il digiuno della Quaresima, delle Vigilie e delle Quattro Tempora per dare ai fedeli occasione di espiare i peccati.

Molti peccati infatti provengono, direttamente o indirettamente, dalla sensualità, dagli eccessi del bere e del mangiare, onde nulla è più efficace a ripararli della privazione del nutrimento che va alla radice del male mortificando l'amore dei sensuali diletti.

Ecco perchè i Santi lo praticarono con tanta frequenza anche fuori dei tempi stabiliti dalla Chiesa; i cristiani generosi li imitano o almeno s'accostano al digiuno propriamente detto, privandosi di qualche cosa in ogni pasto, per domare così la sensualità.

750. B) L'elemosina poi è opera di carità e privazione: a questo doppio titolo ha grande efficacia per espiare i peccati: "[peccata eleemosynis redime] espiare i peccati" ( Dn 4,24 ).

Quando uno si priva d'un bene per darlo a Gesù nella persona del povero, Dio non si lascia vincere in generosità, e ci rimette volentieri parte della pena dovuta ai nostri peccati.

Quanto più dunque si è generosi, ognuno secondo le proprie facoltà, e quanto pure è più perfetta l'intenzione con cui si fa l'elemosina, tanto più intera è la remissione che ci si concede dei nostri debiti spirituali.

Ciò che diciamo dell'elemosina corporale s'applica a più forte ragione all'elemosina spirituale, che mira a fare del bene alle anime e quindi a glorificare Dio.

È quindi una delle opere di penitenza che il Salmista promette di fare quando dice al Signore che, per riparare il suo peccato, insegnerà ai peccatori le vie del pentimento: "[Docebo iniquos vias tuas et impii ad te convertentur] Io insegnerò le tue vie ingiuste: ei peccatori si convertiranno a te" ( Sal 51,15 ).

4° Restano finalmente le privazioni e le mortificazioni volontarie che imponiamo a noi stessi in espiazione dei nostri peccati, quelle specialmente che vanno alla sorgente del male, castigando e disciplinando le facoltà che contribuirono a farceli commettere.

Le esporremo trattando della mortificazione.


736-1 Primo Panegirico di S. Francesco da Paola.
737-1 Bossuet, Sermone 1° per la Purificazione, ed. Lebarq. t. IV, p. 52.
738-1 Introd., c. VII.
738-2 Op. cit., c. VII; IIª sezione.
739-1 È appunto ciò che insegna il Concilio di Trento ( sess. XIV, c. 8 ): "Procul dubio enim magnopere a peccato revocant, et quasi freno quodam coercent hæ satisfactoriæ pœnæ, cautioresque et vigilantiores in futurum pœnitentes efficiunt: medentur quoque peccatorum reliquiis, et vitiosos habitus, male vivendo comparatos, contrariis virtutum actionibus tollunt".
741-1 P. Plus, L'idea riparatrice (Marietti, Torino), l. III; L. Capelle, Les âmes généreuses.
742-1 È ciò che lungamente dimostra nel Progressi dell'anima, c. XIX, ed aggiunge: "Come ogni culto va in rovina se non ha per base i sentimenti della creatura pel suo creatore… come le penitenze non riescono a nulla se non fatte in unione con Gesù Cristo…così la santità perde il principio del suo progresso quando è separata dal costante dolore d'aver peccato. Infatti il principio del progresso non è soltanto l'amore ma l'amore nato dal perdono".
747-1 "Sed etiam ( quod maximum amoris argumentum est ) temporalibus flagellis a Deo inflictis et a nobis patienter toleratis apud Deum Patrem per Christum Jesum satisfacere valeamus". (Sess. XIV, c. 9, Denzing., 906.)
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