La santità è un'utopia?

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Dio è l'eterno mendicante del nostro amore

Ho sentito più volte Fratel Teodoreto ripetere questa frase: «Sono cosi belli i colori prima che i pittori li trasformino in quadri».

È una frase che fa rinascere la speranza nell'armonia universale.

Come professore di disegno conosce il valore visivo della materia, prima che questa venga trasformata dall'idea di chi la manipola.

È amico della natura e i suoi divertimenti si concentrano nelle passeggiate.

Sono spettacolo per lui i pampini nei vigneti, i ciuffi degli olivi, le stoppie dell'ultimo grano, i poderi disseminati sulle colline, le coste erte sopra valletto tortuose o i vicoli di una Torino che conserva ancora il mito sabaudo di una città tranquilla.

Ha, poeta dell'anima, il culto della pulizia e del bello, non del ricco.

I confratelli lo vedono sempre stirato, forbito, sterilizzato.

Rivela il rispetto della persona che egli ha, nel comportamento e nel vestire.

Chi lo ha conosciuto dirà: «Il portamento è pieno di dignità e di semplicità ad un tempo, nessuna ricerca di effetto nel modo di portare l'abito, il mantello, il cappello regolare splendenti di sola nitidezza.

Nessuna affettazione nell'acconciatura dei capelli, ordinati, corti, mai artificiosamente disposti».

Il corpo è considerato uno strumento efficace per poter operare con più generosità nel servizio di Dio.

Non si scandalizzi il lettore se aggiungerò che a tavola, senza mancare mai di temperanza e pur mortificando la gola ad ogni pasto, non respinge quello che la cucina gli passa.

La cucina di una comunità, come quella di un convento, non è certo il paradiso della gastronomia.

Non si gareggia in specialità culinarie: una minestra di pasta e fagioli alla toscana tanto per intenderci, un bicchier di vino, un pezzo di carne e una mela bastano per saziare i commensali.

D'inverno si ricorre a polenta e salciccia, tipico piatto tramandato nei secoli come La Divina Commedia del saper mangiare.

La dietetica moderna e le malattie più o meno immaginarie dell'apparato digerente, le prescrizioni dei tecnici che giocherellano con le vitamine e con le calorie hanno tolto il freno alla preparazione di cibi bizzarri.

Fratel Teodoreto a tavola è un esempio di mortificazione, senza dover ricordare per questo il filosofo Confucio che raccomandava ai propri discepoli di comportarsi a pranzo con discrezione.

Essere frugali vuoi dire saper nutrirsi.

Non c'è bisogno che io citi Copernico, Galileo, Pasteur, Koch, Semmelweis o Quintino Sella che introdusse in Italia la tassa sul macinato e sulla ricchezza mobile, i quali evitavano come venefici gli inviti al desco che ricevevano dagli amici.

Ai giovani Fratelli da sagge norme per lo sviluppo dei polmoni, per l'igiene della bocca, per la conservazione della salute.

Dopo ogni pasto raccomanda la pulizia dei denti.

Ogni fratello deve avere uno spazzolino e adoperarlo.

Un agguerrito studente di medicina gli fa osservare che le sue premure sono esagerate.

Si sente rispondere: «È un dovere che dobbiamo avere per la nostra persona immagine di Dio. E poi si evita di ricorrere al dentista: una spesa risparmiata».

Non trucca con una terminologia più o meno scientifica l'idea della sanità dentaria da molti trascurata.

Egli non pensa col cervello degli altri e neppure assimila gratis le idee fatte che si acquistano per strada o si comperano alla scuola o dal giornalaio senza lasciarsi generalizzare dalla routine dell'abitudine o dall'abito mentale è molto più comodo credere cosi.

Per sfuggire al paralume stinto del luogo comune aggiungo un particolare.

Fratel Teodoreto, santo alla moda, insegna a noi come presentarsi in pubblico quando siamo abbagliati dai flashes dell'imprevisto.

Esiste anche una tradizione di eleganza intellettuale che deve essere rispettata nell'abbigliamento.

Dio è l'eterno mendicante del nostro amore, ma dobbiamo presentarci dinanzi a lui e al prossimo, nel quale vediamo il volto di Gesù, con il rispetto che il galateo richiede.

La salute dei Fratelli è un bene prezioso e Fratel Teodoreto trova un luogo ameno di villeggiatura per l'estate scomodando la Provvidenza.

A Pessinetto acquista Villa San Giuseppe grazie agli interventi dell'avvocato Emilio Mottura, del barone Romano Gianotti e dell'ingegner Rodolfo Sella.

Tre nomi da non dimenticare perché all'allora povera comunità di Santa Pelagia hanno dato tangibile dimostrazione di premurosi benefattori.

Pessinetto rimane ancora oggi una tappa per chi intende rinnovare le aspirazioni artistiche pedatorie per salire sulla vetta, un punto di partenza per passeggiate respiratorie, una specie di vagon restaurant per rinnovare le energie vitali, un'oasi di meditazione per vulcanizzare le nostre parti difettose.

Chi si sente diminuito nel prestigio, sbiadito nella curiosità, decimato come un valore di borsa, tanta la grande impresa.

A Pessinetto il ricordo di Fratel Teodoreto ha il fascino delle cose sante.

Ci si sente tutti buoni amici e alle memorie storiche si preferiscono il sole e gli onesti passatempi serali.

È vero che nessun Krupp ha mai portato i suoi capricci opulenti, che nessun Rothschild ha insegnato come si raggiunge il primo miliardo, che nessun Munthe ha scritto un libro da piacere a ogni gente, che qui non nidificano manie mondane, letterarie, cinematografiche, ma è anche vero che la vera pace, la vera letizia è solo in questo luogo che sarebbe piaciuto al Poverello di Assisi.

Villa San Giuseppe incoraggia a una vita che non sia una fatale successione di sciagure in una umanità impazzita per quelle già patite.

Fra mezzo secolo, tra perpetua morte e perpetua rinascita, si benedirà Fratel Teodoreto e lo si proclamerà protettore dell'ecologia.

Il silenzio a Pessinetto è diverso da ogni silenzio umano.

Il breve cinguettio di fringuelli da il risveglio sommesso agli abitanti vacanzieri.

La vita è tranquilla, quella che vorremmo che fosse talvolta solo fatta di spirito e di fede.

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