La santità è un'utopia?

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La carità dei santi è la forza
trascinante della Chiesa

Termino con il rammarico di non aver più spazio a mia disposizione.

Qualcuno osserverà che l'opera non è stata inquadrata storicamente, che l'epoca in cui nacque e visse Fratel Teodoreto non fu per i cattolici fra le più facili, che dopo la conquista dell'unità d'Italia il popolo si era accorto, sgomento, di essere più piccolo che non quando era diviso in regni e in principati.

Lo so. So bene che il glorioso Ottocento e il primo Novecento sono contraddistinti da un anticlericalismo sfegatato, chiassoso, becero, gonfio di imbecillità ripugnante;

che il grido «Estirpiamo il Papato che è il cancro d'Italia» circolava insistente tra le file repubblicane, democratiche, liberali come una ventata d'onore nazionale;

che Picciotti Garibaldi, a nome dei Circoli anticlericali della penisola, salutava Ernesto Renan, fallito demolitore di Cristo, con le parole: «Bene accolto in quella Roma, dove poneva sua tana e sua reggia quella grande impostura e quel gran delitto che si chiama Religione Cattolica»;

che l'Eroe dei due mondi, suo padre, intensificava la dose dal dolce esilio di Caprera: «Preti! Nera genia, gramigna contagiosa dell'umanità, cariatide dei troni, puzzolenta ancora di carne umana bruciata»,

ma occorre concedere al sessantacinquenne Peppino corroso da troppe battaglie e fustigato nelle sue aspirazioni l'indulgenza plenaria e la completa assoluzione per la totale incapacità di intendere certe questioni.

In un'Italia che progrediva con difficoltà, scegliere la missione del sacerdozio o del religioso significava buttarsi in una siepe di rovi.

Dall'altra parte del quadro, l'arco di tempo che va fra il 1850 al 1950 ha sformato cattolici coraggiosi, grandi educatori, grandissimi santi.

Costoro ( fra cui Fratel Teodoreto ) hanno rappresentato una forza d'urto contro le scatenate schiere del satanismo politico e culturale.

Se avessi approfondito cedesti problemi c'era il rischio di focalizzare la storia in malo modo senza mettere in luce i protagonisti veri della stessa storia qual è stato il Servo di Dio, piaccia o non piaccia a chi legge.

Ho evitato lineature e levigature psicologiche, sbornie sentimentali, velature, truccature e verniciature all'antica, ingoffimenti primitivistici, chiazzature e sbrodolamenti, diffusioni di opache e meste tonalità, colori complementari, giudizi perentori.

Fratel Teodoreto non ha bisogno di turiferari camuffati da cerimonieri.

Questo libro parla di carità a un mondo che la carità disconosce.

Baudelaire, il poeta maledetto di «Les Fleurs du mal» ha scritto sulla carità due mirabili versi: «Pour que tu puisse faire a Jésus, quand il passe, un tapis triomphai avec ta charité».

Tutta la vita di Fratel Teodoreto è all'insegna di questi versi che hanno una forza inaudita.

Questo libro parla della devozione a Gesù Crocifisso.

A San Tommaso d'Aquino fu chiesto un giorno in quali libri avesse appreso la scienza meravigliosa contenuta nella sua Summa Teologica e nelle altre opere, ed egli, indicando il Crocifisso appeso sull'inginocchiatoio, rispose: «Da questo libro ho imparato più che da ogni altro».

Le stesse parole sono state pronunciate per l'intera vita da Fratel Teodoreto.

Gesù Crocifisso è stato la sua forza, la sua volontà, la sua pazienza, la sua saggezza, il suo coraggio, la sua umiltà, l'io profetico consolatore.

Nell'attesa che Egli venga proclamato Beato per i suoi atti di eroismo spirituale, per l'esistenza vissuta all'insegna del perfezionismo e dell'educazione dei giovani lavoratori e degli studenti, sarà bene non nascondere questa fatica e rimeditarla ogni tanto a gloria del suo specchiante protagonista.

Il ritratto meritava di essere finito da un Annigoni della penna, uno che fiorentinamente sapesse far bene i riccioli, delineare forme, mutar panni e sembianze, spiccar trine e merletti.

Vorrei che il ritratto fosse riuscito in qualche modo somigliante al modello e che le parole che Fratel Teodoreto mi ha ispirato aiutassero coloro che sono flagellati dalle tempeste e dagli uragani umani.

A costoro, che sono la maggioranza del mondo, dico, come disse a me un giorno lo scrittore cieco Nino Salvanirchi: «Cammina sempre, senza temere crocicchi o fermate.

Se nella tua anima piove, paragona la pioggia a un paesaggio musicale di Debussy.

Se i rimpianti affiorano dalle radici più profonde, se raffiche impetuose sollevano lembi di passato, se istinti e desideri fanno coro, se le male azioni ti scarnificano, se sei malato di tristezza, non dibatterti nel pessimismo.

Non bisogna che la malinconia sommerga tutto il giardino. Arriverà l'arcobaleno.

Il grigiore della sera renderà più bello l'azzurro di domani».

Montepulciano 1983.

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