La santità è un'utopia?

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L'unica felicità sulla terra
consiste nel nascondersi

Il tempo stringe perché «le ombre cadono sugli uomini, sulla civiltà, sulla storia».

Sono parole pronunciate da Giovanni Paolo II il pomeriggio in cui si compie ( 13 maggio 1981 ) il sacrilego attentato contro la sua Persona.

In questa frase di contenuto profetico qualcuno potrebbe riscontrare i primi indubbi segni dell'Apocalisse.

Siamo proprio vicini alla fine dei tempi secondo quanto a Fatima avrebbe rivelato la Madonna a Lucia e il cui segreto di cui tanto si parla sarebbe conosciuto dal Papa?

Nel libro di San Giovanni alle prime righe si legge: «Il tempo è vicino».

Vi si predicono gli eventi che precedono, preparano e accompagnano la fine del mondo ( persecuzioni e calamità, apostasia e anticristo, risurrezione prima e seconda, giudizio universale e retribuzione dei buoni e dei malvagi ).

Papa Wojtyla, che rischia la morte il 13 maggio, giorno dedicato alla Madonna di Fatima, è uno dei segni?

Una volta parlando con Fratel Teodoreto ho ottenuto questa risposta: «Dio vede e provvede. Gli uomini non hanno da temere se rivolgeranno i loro occhi al Santissimo Crocifisso».

E poco dopo: «La morte non deve farci paura. È solo la prima stazione di partenza per l'aldilà».

Egli sa che questo nostro mirabile groviglio di ossa un giorno si frantumerà e sciogliendosi si mescolerà al fango e diventerà polvere.

Non è già questa un'Apocalisse per i gaudenti che sentono la vita fiorire, che rifiutano l'apprensione esistenziale, che si rivelano egoisti, ingiusti, avari, disonesti, che affermano, come Giacomo Leopardi il poeta di Recanati, che "Il nulla e già fin d'ora?".

Chi tenta di farci credere che l'anima dopo l'abbandono dal corpo si estingua come il lume di una candela inganna se stesso.

Fratel Teodoreto con il suo esempio insegna il contrario.

Mi viene in mente un episodio vissuto da Virgilio Lilli, da me e in sottordine da Fratel Teodoreto che all'improvviso ne diventa protagonista.

Virgilio Lilli, grande inviato speciale, che ha onorato il giornalismo italiano con il suo impegno, mi incontra una sera in quell'America dei fiaschi che è Montepulciano, in Toscana, ma già ai confini con l'Umbria.

In un monolocale all'ultimo piano di un palazzo dugentesco mi godo il bruscello, rappresentazione dove si declamano poesie con particolare cantilena.

Al di là c'è la Valle d'Orcia. A sinistra, in fondo, il Trasimeno è avvolto da una nube celeste e oltre, fra i monti più cilestri, s'indovina il Subasio di San Francesco.

Qui sono passati Santa Caterina da Siena, protettrice d'Italia; Santa Rita da Cascia e Benedetto da Norcia, padre della vita monastica in Occidente, fondatore del celebre monastero di Montecassino.

A Montepulciano, affascinante cittadina medioevale, oltre al Poliziano, autore della contagiosa Ballata delle rose, della Canzon di maggio e di una accorata ode alla Madonna, è vivo il ricordo di Margherita da Cortona che per anni delizia un ricco amante, finché il signorotto viene trucidato dinanzi ai suoi occhi.

Da quel momento, Margherita si ravvede, si reca a Cortona, entra in convento e si fa santa.

Non mi ravvedo io, invece ostinato pellegrino per vedere com'è fatta la terra.

In mezzo a cedesti santi d'altri secoli mi sento sfrondato dagli improperi e dai vituperi danteschi.

Virgilio Lilli conduce un'inchiesta sui veggenti, su coloro che hanno dichiarato guerra al mistero per meglio illuminarci.

All'improvviso mi dice: «È vero che Fratel Teodoreto nel 1934 a Grugliasco ha predetto la seconda guerra mondiale?».

«Esatto». «Puoi riferirmi con precisione?»

«Ascolta quello che, con cautela, ci fa sapere Fratel Mattia».

Nel 1934, mi trovavo a Grugliasco allo Studentato. Venne fra noi Fratel Teodoreto.

In quei giorni si parlava del conflitto Ita lo-Etiopico.

Naturalmente, durante la ricreazione, dopo le prestabilite e regolamentari conversazioni, si accennò alla guerra.

Fratel Teodoreto sorprese, credo, un pò tutti quando affermò che la vera grande guerra si sarebbe scatenata nel 1940 e sarebbe intervenuta anche l'Italia.

Mi ricordo benissimo del luogo di ricreazione, dove il venerando Fratello pronunziò le parole; e penso che, se ci fossero i sei o sette Fratelli che allora con me costituivano il gruppo di ricreazione, potrebbero testimoniare come il sottoscritto.

Lilli ascolta in silenzio, poi: «Io non sono, come si dice, un consumatore di inginocchiatoi, ma a Fratel Teodoreto credo.

Prendila come ti pare. Ci sono individui che meglio di tè e di me vivono immedesimandosi in Dio.

Un altro profeta è Padre Pio...». Lo interrompo: «Un miracolo...».

E Lilli: «Basta con i miracoli. Quando tornerai a Torino porta un buon fiasco di Chianti a Fratel Teodoreto da parte mia...».

Promessa mantenuta.

Dopo aver rammentato, sia pure en passan, il dono della profezia ( numerose le testimonianze in proposito ) termino la carrellata per agganciare San Paolo a questo libro.

La forza maggiore di Fratel Teodoreto è stata la carità.

Il Servo di Dio deve aver addirittura consumato i polpastrelli per voltare le pagine delle «Lettere» e fra queste la Prima ai Corinzi, dove l'apostolo si sofferma sulla carità raggiungendo il vertice del più puro lirismo.

«Qualora» egli dice «parlassi le lingue del mondo e degli angeli, se non ho la carità sono un bronzo risonante e un cembalo squillante.

Qualora io avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, se avessi tutta la fede al punto da trasportare le montagne, se non ho la carità, nulla io sono.

Se distribuissi, per sfamare i poveri, tutti i miei beni, anzi se donassi il mio corpo al fuoco, se non ho la carità, a nulla mi serve.

La carità è paziente, la carità è benigna, non porta invidia; la carità non si vanta, non si gonfia di orgoglio, nulla fa di sconveniente, non cerca il suo interesse, non si irrita, non serba rancore per il male, non gode dell'ingiustizia, ma si rallegra del trionfo della verità, tollera tutto, crede tutto, spera tutto, tutto sopporta».

E ancora: «Al presente rimangono tre cose: la fede, la speranza, la carità. Ma tra queste la più grande è la carità». ( 1 Cor 13,1-13 )

Paolo di Tarso parla del supremo dono dello Spirito Santo ai convertiti di Corinto, provincia romana, governata dal proconsole Gallione, fratello di Seneca.

Due terzi della città sono schiavi.

San Paolo effettua un primo viaggio, poi durante un viaggio successivo fonda la Chiesa locale e si ferma 18 mesi.

Fratel Teodoreto è tutto racchiuso nel canto dell'Apostolo.

Vive di carità, si nutre di carità, della carità si fa scudo e dovere, obbligo e indirizzo di vita.

Il califfo Ornar, che fece bruciare i 700.000 volumi della biblioteca di Alessandria, è segnalato come un deplorevole caso di oscurantismo e di limitazione mentale.

Egli aveva giustificato il suo ordine con questo dilemma: «O ciò che i libri contengono è contrario al Corano, e in questo caso debbono essere distrutti, o è conforme al Corano e allora il Corano è più che sufficiente».

Spero che il mio libro sia conforme al Vangelo e agli insegnamenti di Fratel Teodoreto e di conseguenza gli sia risparmiata l'onta di finire in qualche scaffale a istruire le tarme.

Il Servo di Dio ha anticipato, ad esempio, l'enciclica Gaudium et spes che dedica alla cultura un intero capitolo ed ha anticipato il Concilio, in coerenza con l'antropologia cristiana, quando la cultura viene definita il mezzo, via o modo attraverso cui l'uomo coltiva se stesso, le sue relazioni con il suo simile, il suo rapporto con il mondo.

L'uomo, in quanto essere spirituale, dotato di intelligenza e ragione, di libertà e volontà, trascende tutta la realtà culturale; la domina e deve per sé dominarla: è per sua intima costituzione arbitro-artefice.

Fratel Teodoreto ha prodotto una cultura d'amore.

Il suo modo d'amare Dio è istintivo,

fatto di volontà ( cioè oblativo: non importa se si sente antipatia o rancore o freddezza ),

gratuito e fedele ( non si commisura alla risposta o al gusto ),

creatore ( tanto più forte quanto più c'è un vuoto, una mancanza, un difetto da riempire ),

crocifisso ( non sempre compreso ),

autentico ( non amore del comodo ),

porta alla gioia vera, trova la gioia ( Gesù: c'è più gioia nel dare che nel ricevere ).

Se il Cristianesimo è una verità di vita e la cultura non è che il pensiero che informa la vita umana tutta intera o quella vita che diventa cosciente mediante tutti i mezzi di meditazione e di riflessione che sono alla portata dell'uomo, allora Fratel Teodoreto precorrendo i tempi ne ha fornito ampia dimostrazione.

Voltaire che definisce infame il Cristianesimo, da all'abate Velly questa risposta in merito a certi aneddoti inseriti in un certo libro: «Che importa che un aneddoto sia vero o falso? Quando si scrive per divertire il pubblico bisogna forse essere cosi scrupolosi da non scrivere che la verità?».

Per l'implacabile odiatore di Gesù la menzogna è legge.

Si capisce come egli abbia gettato manate di fango su Santa Giovanna d'Arco, gloria della Francia.

Non essendo io parente alla lontana con Voltaire, ho inserito nel libro solo verità constatate.

Ho torto io, ha ragione Voltaire? Ho evitato tuttavia il pericolo di un arido epitaffio ben sapendo che libri del genere interessano una categoria precisa di persone non prestandosi a svolazzi romantici, a fughe nella preistoria dei sentimenti, a diatribe psicologiche e neppure alla polemica religiosa monacale che permise a Maxence Van Der Meersc di scrivere un libro di successo: «La piccola Santa Teresa».

La mia è una biografia colta dal vivo.

Ho rinunciato agli insegnamenti dogmatici, ai detti memorabili, all'inquietudine dell'uomo moderno, allo scavare in profondità poiché spesso si definisce profondo quello che nessuno capisce.

Fratel Teodoreto è una figura particolare che mescola il silenzio con la modestia, l'umiltà con la ritrosia, il nascondimento con la preghiera, l'azione attiva con la contemplazione.

I cristiani d'oggi preferiscono altre letture.

Tormentati dalla ricerca del denaro sdoppiando la loro personalità, una parte la dedicano a Dio ( ed è quella domenicale ), l'altra parte la lasciano agli affari.

La parola Provvidenza ha un significato denigratorio che premia solo preti, frati e suore per cui la Provvidenza è d'obbligo.

A questi benpensanti materialisti, a questi cervelli calcolatori, varrebbe ricordare che i Santi, e altri che Santi non lo sono ancora, hanno costruito opere, conventi, scuole, ospedali, case per poveri e allestito mense gratuite affidandosi alla «misteriosa sorte».

Fratel Teodoreto è stato addirittura «adottato» dalla Provvidenza e a lui ben si addice quel mirabile ritratto che il Manzoni fa nella prima versione de "I Promessi Sposi", ossia "Fermo e Lucia", del parroco di Chiuso: «Il curato di Chiuso era un uomo che avrebbe lasciato di sé una memoria illustre, se la virtù sola bastasse a dare la gloria fra gli uomini.

Egli era pio in tutti i suoi pensieri, in tutte le sue parole, in tutte le sue opere: l'amore fervente di Dio e degli uomini era il suo sentimento abituale: la sua cura continua, di fare il suo dovere, e la sua idea del dovere era: tutto il bene possibile; credeva egli sempre adunque di rimanere indietro, ed era profondamente umile, senza sapere di esserlo: come l'illibatezza, la carità operosa, lo zelo la sofferenza erano virtù ch'egli possedeva in grado raro, ma che egli studiava sempre di acquistare.

Se ogni uomo fosse nella propria condizione quale egli era nella sua, la bellezza del consorzio umano oltrepasserebbe le immaginazioni degli utopisti più confidenti.

I suoi parrocchiani, gli abitatori del contorno lo ammiravano, lo celebravano; la sua morte fu per essi un avvenimento solenne e doloroso; essi accorsero in gran numero attorno al suo cadavere; pareva a quei semplici che il mondo dovesse essere commosso, poiché un gran giusto ne era partito».

Miglior fotografia di Fratel Teodoreto non poteva riuscire.

Manzoni veggente o il Servo di Dio acceso manzoniano?

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