Summa Teologica - I

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Articolo 2 - Se Dio conosca se stesso

C. G., I, c. 47; De Verit., q. 2, a. 2; Comp. Theol., c. 30; In 12 Metaph., lect. 11; In De Causis, lect. 13

Pare che Dio non conosca se stesso.

Infatti:

1. Nel libro De Causis [ 15 ] si dice che « ogni essere conoscitivo, nell'intendere la propria essenza, ritorna completamente sopra se stesso ».

Ora, Dio non esce dalla propria essenza, né si muove in modo alcuno, e così non gli compete il ritorno sopra se stesso.

Quindi non conosce se stesso.

2. Il conoscere è una specie di passività e di moto, come dice Aristotele [ De anima 3,4 ]; e anche la scienza è un diventare simile all'oggetto, e l'oggetto conosciuto è un perfezionamento di colui che conosce.

Ora, nulla può essere trasformato, o subire un'azione, o essere perfezionato da se stesso, « né può essere l'immagine rappresentativa di sé », come nota S. Ilario [ De Trin. 3,23 ].

Quindi Dio non conosce se stesso.

3. Noi siamo simili a Dio particolarmente per l'intelletto: poiché, come dice S. Agostino [ De Gen. ad litt. 6,12.20; De Trin. 15,1 ], « siamo a immagine di Dio secondo la mente ».

Ora, il nostro intelletto non conosce se stesso se non perché conosce altre cose, come dice Aristotele [ De anima 3,4 ].

Quindi neppure Dio conosce se medesimo se non in quanto, eventualmente, conosce le altre cose.

In contrario:

S. Paolo [ 1 Cor 2,11 ] dice: « I segreti di Dio nessuno li ha mai visti se non lo Spirito di Dio ».

Dimostrazione:

Dio conosce se stesso per mezzo di se stesso.

Per comprendere ciò bisogna sapere che, mentre nelle operazioni che raggiungono un effetto esterno si ha come termine dell'operazione un oggetto esteriore al soggetto operante, nelle operazioni immateriali, invece, l'oggetto assegnato come termine dell'operazione è nell'operante: e in quanto si trova nell'operante l'operazione si dice attuale.

Quindi Aristotele [ De anima 3,8 ] afferma che l'oggetto attualmente sensibile è identico al senso in atto, e l'oggetto attualmente intelligente è l'intelligenza in atto.

Infatti noi sentiamo o intendiamo attualmente qualcosa perché il nostro intelletto o il nostro senso è attualmente informato dalla specie del sensibile o dell'intelligibile.

E il senso differisce dal sensibile e l'intelletto dall'intelligibile soltanto perché sono in potenza.

Quindi, non avendo Dio nulla di potenziale, ma essendo egli atto puro, è necessario che in lui l'intelletto e l'oggetto inteso siano completamente l'identica cosa: in maniera cioè che né Dio manchi della specie intelligibile, come accade al nostro intelletto quando è in potenza, né la specie intelligibile sia cosa distinta dalla sostanza dell'intelletto divino, come avviene per la nostra intelligenza quando è in atto, ma l'unica specie intelligibile sia la stessa divina intelligenza.

E così Dio conosce se stesso per mezzo di se stesso.

Analisi delle obiezioni:

1. « Ritornare sopra se stesso » non significa altro se non che una cosa sussiste in se medesima.

Infatti una forma, in quanto perfeziona la materia comunicandole l'essere, si espande, in qualche maniera, su di essa, mentre invece in quanto ha l'essere in se stessa torna in se medesima.

Così dunque le potenze conoscitive che non sono sussistenti, ma che attuano qualche organo, non conoscono se stesse, come è evidente nel caso dei nostri vari sensi.

Le potenze conoscitive per se sussistenti, invece, conoscono se stesse.

Per questo è scritto nel libro De Causis che « chi conosce la propria essenza ritorna sopra se stesso ».

Ora, sussistere per sé compete soprattutto a Dio.

Quindi, secondo questo modo di parlare, soprattutto lui ritorna sopra la propria essenza e conosce se stesso.

2. Passività e moto sono termini equivoci, presi qui nel senso in cui per Aristotele [ l. cit. nell'ob. ] lo stesso intendere è una certa passività e una specie di moto.

Infatti l'intendere non è il moto che è l'atto di realtà imperfette, che si ha nel passaggio da una cosa a un'altra, ma è l'atto di ciò che è perfetto, atto che rimane nel soggetto operante.

E così l'intelletto è perfezionato dall'oggetto intelligibile e ne prende la somiglianza, se si tratta di un intelletto che talora è in potenza: infatti questo differisce dall'intelligibile perché è in potenza, e ne prende la somiglianza per mezzo della specie intelligibile, che è l'immagine della realtà conosciuta, ed è perfezionato da essa come la potenza dall'atto.

L'intelletto divino invece, che in nessun modo è in potenza, non viene perfezionato da un oggetto intelligibile, né ha bisogno di averne la somiglianza, ma è la propria perfezione e il proprio intelligibile.

3. L'esistenza fisica non appartiene alla materia prima, che è un'entità potenziale, se non in quanto questa viene portata all'atto dalla forma.

Ora il nostro intelletto possibile, nell'ordine intellettuale, è ciò che la materia prima è nell'ordine delle realtà naturali, poiché è in potenza rispetto agli oggetti intelligibili come la materia prima lo è rispetto alla realtà fisica.

Di conseguenza il nostro intelletto possibile non può avere operazioni intellettuali se non in quanto è perfezionato dalla specie intelligibile di un qualche oggetto.

E così conosce se stesso mediante la specie intelligibile, come conosce tutte le altre cose: è evidente, infatti, che conoscendo un oggetto intelligibile intende la sua stessa intellezione, e per mezzo di tale operazione conosce la facoltà intellettiva.

Dio, invece, è atto puro tanto nell'ordine dell'esistenza quanto nell'ordine della conoscenza: perciò intende se stesso per mezzo di se stesso.

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