Summa Teologica - I

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Articolo 5 - Se la previsione dei meriti sia la causa della predestinazione

In 1 Sent., d. 41, q. 1, a. 3; C. G., III, c. 163; De Verit., q. 6, a. 2; In Ioan., c. 15, lect. 3; In Rom., c. 1, lect. 3; c. 8, lect. 6; c. 9, lect. 3; In Ephes., c. 1, lect. 1, 4

Pare che la previsione dei meriti sia la causa della predestinazione.

Infatti:

1. Dice l'Apostolo [ Rm 8,29 ]: « Quelli che da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati ».

E la Glossa [ ord. ] di S. Ambrogio, commentando le parole [ Rm 9,15 ]: « Userò misericordia con chi vorrò », dice: « Concederò la mia misericordia a colui che io prevedo che tornerà a me con tutto il cuore ».

Quindi la previsione dei meriti è la causa della predestinazione.

2. La predestinazione divina essendo, come dice S. Agostino [ De div. quaest. 1,2 ], « un proposito di misericordia », include il divino volere, che non può essere irragionevole.

Ma non vi può essere altra ragione della predestinazione all'infuori della previsione dei meriti.

Quindi essa è la causa della predestinazione.

3. « In Dio », ci assicura l'Apostolo [ Rm 9,14 ], « non c'è ingiustizia ».

Ora, pare una cosa ingiusta dare a esseri uguali cose disuguali.

Ma gli uomini sono tutti uguali, sia quanto alla natura sia quanto al peccato originale, e la loro disuguaglianza è soltanto rispetto al merito o al demerito delle loro azioni.

Quindi Dio non prepara agli uomini un trattamento disuguale, predestinando e riprovando, se non a causa della previsione dei differenti meriti.

In contrario: Dice l'Apostolo [ Tt 3,5 ]: « Egli ci ha salvati non in virtù di opere di giustizia da noi compiute, ma secondo la sua misericordia ».

Ora, come ci ha salvati, così aveva predestinato di salvarci.

Non è dunque la previsione dei meriti la causa della predestinazione.

Dimostrazione:

La predestinazione include la volontà, come si è visto [ aa. 3,4 ]: perciò bisogna ricercare la ragione della predestinazione come si ricerca quella della volontà divina.

Ma abbiamo detto [ q. 19, a. 5 ] che non si può assegnare una causa alla volontà divina in quanto atto volitivo; gliela si può invece assegnare [ se si considerano ] gli oggetti della volizione, dato che Dio può volere una cosa a causa di un'altra.

Non c'è stato dunque nessuno così insano di mente da dire che i meriti sono la causa della divina predestinazione dalla parte dell'atto del predestinante.

L'argomento è invece un'altro, vale a dire se la predestinazione, nei suoi effetti, abbia una causa.

E questo è come domandarsi se Dio abbia preordinato di dare a uno gli effetti della predestinazione in vista dei suoi meriti.

Ci furono dunque dei teologi i quali sostennero che gli effetti della predestinazione per alcuni furono prestabiliti a causa di meriti acquisiti in un'altra vita anteriore.

E tale fu l'opinione di Origene [ Peri Arch. 2,9 ], il quale riteneva che le anime umane fossero state create all'inizio tutte [ insieme ], e che secondo la diversità delle loro opere avrebbero sortito uno stato diverso in questo mondo, unite a dei corpi.

Senonché tale opinione è esclusa dall'Apostolo [ Rm 9,11s ], che [ parlando di Esaù e di Giacobbe ] dice: « Quando essi ancora non erano nati e nulla avevano fatto di bene o di male, non in base alle opere, ma alla volontà di colui che chiama, fu dichiarato: il maggiore sarà sottomesso al minore ».

Ci furono invece altri i quali opinarono che motivo e causa degli effetti della predestinazione sarebbero i meriti acquisiti in questa vita.

I Pelagiani, infatti, sostennero che l'inizio dell'agire meritorio proviene da noi, il compimento invece da Dio.

E così accadrebbe che gli effetti della predestinazione sono concessi a uno piuttosto che a un altro in quanto ché il primo vi ha dato inizio preparandosi, e l'altro no.

- Ma contro questa opinione stanno le parole dell'Apostolo [ 2 Cor 3,5 ]: « Non siamo capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi ».

Ora, non è possibile trovare un principio [ operativo ] anteriore al pensiero.

Quindi non si può affermare che in noi esista quell'inizio che sarebbe causa degli effetti della predestinazione.

Vi furono quindi altri i quali insegnarono che la causa della predestinazione sono i meriti che seguono l'effetto della predestinazione, intendendo dire che Dio dà la grazia a qualcuno, e ha preordinato di dargliela, appunto perché ha previsto che se ne servirà bene: come se un re donasse a un soldato un cavallo sapendo che ne userà a dovere.

- Ma costoro evidentemente distinsero ciò che viene dalla grazia da ciò che proviene dal libero arbitrio, come se un medesimo effetto non potesse derivare da entrambi.

È chiaro infatti che quanto viene dalla grazia è un effetto della predestinazione: quindi non può essere considerato come causa della predestinazione, essendo incluso in essa.

Se dunque qualche altra cosa, da parte nostra, è la ragione della predestinazione, questo qualcosa sarà estraneo all'effetto della predestinazione.

Ma non si può distinguere ciò che proviene dal libero arbitrio da ciò che proviene dalla predestinazione, come non si può mai distinguere ciò che deriva dalla causa seconda da ciò che deriva dalla causa prima: poiché la provvidenza, come è stato già detto [ q. 22, a. 3 ], produce i suoi effetti mediante le operazioni delle cause seconde.

Quindi anche le azioni compiute dal libero arbitrio derivano dalla predestinazione.

E allora dobbiamo dire, concludendo, che possiamo considerare l'effetto della predestinazione in due modi.

Primo, in particolare.

E sotto questo aspetto nulla impedisce che un effetto della predestinazione sia causa e ragione di un altro: cioè l'ultimo può essere causa del primo come causa finale, e il primo può essere causa del secondo come causa meritoria, che corrisponde a [ quel genere di causalità chiamato ] disposizione della materia.

Come quando diciamo, p. es., che Dio ha stabilito di dare a qualcuno la gloria a motivo dei suoi meriti, e che ha decretato di dargli la grazia perché si meritasse la gloria.

- In un secondo modo si può considerare l'effetto della predestinazione in generale.

E allora è impossibile che tutti gli effetti della predestinazione, considerati nel loro insieme, abbiano una qualche causa da parte nostra.

Poiché qualsiasi cosa si trovi nell'uomo che lo porta verso la salvezza è compresa totalmente sotto l'effetto della predestinazione, persino la preparazione alla grazia: infatti ciò non avviene se non mediante l'aiuto divino, secondo le parole della Scrittura [ Lam 5,21 ]: « Facci ritornare a te, Signore, e noi ritorneremo ».

Tuttavia, considerata così nei suoi effetti, la predestinazione ha come causa la bontà divina, alla quale l'effetto totale della predestinazione è ordinato come al suo fine, e dalla quale procede come dal suo primo principio motore.

Analisi delle obiezioni:

1. L'uso previsto della grazia non è la causa della concessione di essa se non nell'ordine della causa finale, come si è spiegato [ nel corpo ].

2. La predestinazione considerata in generale ha per causa, nei suoi effetti, la stessa bontà divina.

In particolare invece un effetto è causa dell'altro, come si è spiegato [ ib. ].

3. Dalla stessa bontà divina si può desumere la ragione della predestinazione di alcuni e della riprovazione di altri.

Si dice infatti che Dio ha creato tutte le cose a motivo della sua bontà perché così la sua bontà fosse rappresentata in tutti gli esseri.

Ma è necessario che la bontà divina, che in se stessa è una e semplice, sia rappresentata nelle cose sotto varie forme: infatti le cose create non possono raggiungere la semplicità divina.

Quindi per la perfezione dell'universo si richiedono vari gradi nelle cose: alcune dovranno occupare un posto elevato nell'universo e altre un luogo infimo.

E perché si conservi questa multiforme varietà di gradi Dio permette che avvengano alcuni mali in modo che non siano impediti molti beni, come sopra abbiamo visto [ q. 2, a. 3, ad 1; q. 22, a. 2 ].

Così dunque consideriamo ora tutto il genere umano alla stregua dell'universo: Dio volle che tra gli uomini alcuni, da lui predestinati, rappresentassero la sua bontà sotto l'aspetto della misericordia, e usò ad essi misericordia; [ volle invece ] che altri, da lui riprovati, [ rappresentassero la sua bontà ] sotto l'aspetto della giustizia, e li sottopose alla punizione.

Questo è il motivo per cui Dio elegge alcuni e riprova altri.

E lo stesso Apostolo [ Rm 9,22s ] assegnò una tale causa con le seguenti parole: « Dio, volendo manifestare la sua ira », cioè la giustizia vendicativa, « e far conoscere la sua potenza, ha sopportato », cioè ha permesso, « con grande pazienza vasi di collera, già pronti per la perdizione, e questo per far riconoscere la ricchezza della sua gloria verso vasi di misericordia, da lui predisposti alla gloria ».

E in un altro luogo [ 2 Tm 2,20 ] egli afferma: « In una casa grande non vi sono soltanto vasi d'oro e d'argento, ma anche di legno e di coccio; alcuni sono destinati a usi nobili, altri a usi più spregevoli ».

Ma che egli elegga questo alla gloria e riprovi quello non ha altra causa che la divina volontà.

Quindi S. Agostino [ In Ioh. ev. tract. 26.2 ] dice: « Se non vuoi errare, non voler giudicare perché attiri a sé l'uno e non attiri l'altro ».

Come anche nella natura si può trovare la ragione per cui Dio, pur nell'uniformità della materia prima, ha creato una parte di essa sotto la forma del fuoco e un'altra sotto la forma della terra: perché cioè vi fosse varietà di specie nella natura.

Ma perché questa parte della materia prima sia sotto la forma del fuoco e quell'altra sotto la forma della terra dipende esclusivamente dalla volontà divina.

Come dipende esclusivamente dalla volontà del muratore che una data pietra sia in questa parte della parete e una seconda da un'altra parte; sebbene la regola dell'arte richieda che alcune pietre siano collocate qua e altre là.

Né per questo, tuttavia, Dio è ingiusto, pur riservando cose disuguali a esseri non disuguali.

Ciò sarebbe infatti contro le norme della giustizia se l'effetto della predestinazione fosse dato per debito e non per grazia; ma quando si tratta di cose che vengono date per grazia ciascuno può dare a suo piacimento a chi vuole, più o meno, senza pregiudizio della giustizia, purché a nessuno sottragga ciò che gli è dovuto.

Ed è ciò che dice il padre di famiglia [ della parabola evangelica ] [ Mt 20,14s ]: « Prendi il tuo, e va'. Non posso fare delle mie cose ciò che voglio? ».

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