Summa Teologica - I-II

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Articolo 2 - Se i peccati siano tutti uguali

In 2 Sent., d. 42, q. 2, a. 5; C. G., III, c. 139; De Malo, q. 2, a. 9

Pare che i peccati siano tutti uguali.

Infatti:

1. Peccare è fare ciò che non si deve.

Ma questo fare ciò che non si deve viene rimproverato allo stesso modo in tutti i casi.

Quindi il peccato merita sempre lo stesso rimprovero.

Perciò un peccato non è più grave di un altro.

2. Il peccato consiste sempre nel fatto che uno trasgredisce la regola della ragione, la quale sta agli atti umani come la riga sta al disegno geometrico.

Perciò peccare è come sbagliare una linea.

Ma la linea sbagliata è sempre sbagliata, anche se una si scosta di più [ dalla riga ] e un'altra di meno: poiché le privazioni non hanno gradazioni.

Quindi tutti i peccati sono uguali.

3. I peccati si contrappongono alle virtù.

Ma secondo Cicerone [ Paradox. 3 ] tutte le virtù sono uguali.

Quindi anche i peccati sono tutti uguali.

In contrario:

Il Signore disse a Pilato [ Gv 19,11 ]: « Chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande ».

Ora, è evidente che Pilato commise un peccato.

Quindi un peccato può essere più grave di un altro.

Dimostrazione:

Gli Stoici, e Cicerone con essi [ cf. l. cit. nell'ob. 3 ], ritenevano che tutti i peccati fossero uguali.

E da ciò è derivato anche l'errore di certi eretici i quali, persuasi dell'uguaglianza di tutti i peccati, affermano che le pene dell'inferno sono tutte uguali.

Ora, per quanto si può arguire dalle parole di Cicerone, gli Stoici erano giunti a questa opinione per il fatto che consideravano il peccato solo come privazione, cioè come dissonanza dalla ragione: quindi, ritenendo puramente e semplicemente che una privazione non ammette gradazioni, conclusero che tutti i peccati sono uguali.

Ma se uno riflette bene, si accorge che ci sono due tipi di privazione.

Esiste infatti una privazione pura e semplice che consiste in una distruzione già avvenuta: come la morte è privazione della vita e le tenebre sono privazione della luce.

E queste privazioni non ammettono gradazioni: poiché non rimane nulla della disposizione precedente.

Per cui uno non è meno morto il primo, il terzo o il quarto giorno dalla morte di quanto lo sia dopo un anno, quando il cadavere è decomposto.

E similmente quando la lampada è coperta da molti veli la casa non è più al buio di quando la lampada è coperta da un solo velo che oscura totalmente la luce.

Esiste però una seconda privazione, la quale non è assoluta, ma conserva qualcosa della disposizione contraria; e questa privazione consiste in un processo distruttivo più che in una distruzione compiuta: come la malattia, che toglie la debita proporzione degli umori in modo però da lasciarla in parte, altrimenti l'animale non rimarrebbe vivo.

E lo stesso si dica della bruttezza, e di altre cose del genere.

Ora, tali privazioni ammettono gradazioni, basate su ciò che rimane della disposizione contraria.

Infatti non è indifferente per la malattia, o per la bruttezza, che sia maggiore o minore la distanza dalla giusta proporzione degli umori, o delle varie membra.

E lo stesso si dica dei vizi e dei peccati: infatti in essi la privazione dell'accordo con la ragione non è totale; altrimenti, come dice Aristotele [ Ethic. 4,5 ], « se il male fosse integrale distruggerebbe se stesso ».

Se infatti non restasse qualcosa dell'ordine della ragione non potrebbe rimanere la sostanza dell'atto, o la disposizione affettiva di chi lo compie.

Perciò sulla gravità del peccato incide molto la discordanza maggiore o minore dalla rettitudine della ragione.

Bisogna dunque concludere che i peccati non sono tutti uguali.

Analisi delle obiezioni:

1. Non è lecito commettere i peccati a motivo di un qualche disordine che essi includono.

Perciò quei peccati che implicano un disordine più grande sono più illeciti, e quindi anche più gravi.

2. L'argomento intende il peccato come pura privazione.

3. In un dato soggetto le virtù sono proporzionalmente uguali, però l'una precede l'altra in dignità, secondo la propria specie; e così pure, secondo le spiegazioni date [ q. 66, aa. 1,2 ], un uomo può essere più virtuoso di un altro in una data virtù.

- E tuttavia, anche se le virtù fossero tutte uguali, non ne seguirebbe l'uguaglianza dei vizi: poiché le virtù sono connesse fra di loro, non invece i vizi o i peccati.

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