Summa Teologica - I-II

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Articolo 1 - Se tutti i peccati siano connessi

In 3 Sent., d. 36, q. 1, a. 5; In 4 Sent., d. 16, q. 2, a. 1, sol. 2

Pare che tutti i peccati siano connessi.

Infatti:

1. S. Giacomo [ Gc 2,10 ] scrive: « Chiunque osservi tutta la legge, ma la trasgredisca anche in un punto solo, diventa colpevole di tutto ».

Ora, essere colpevole di tutti i precetti della legge equivale ad avere tutti i peccati: poiché, come dice S. Ambrogio [ De Parad. 8 ], « il peccato è trasgressione della legge divina e disobbedienza ai comandamenti celesti ».

Perciò chi commette un peccato si carica di tutti i peccati.

2. Ogni peccato esclude la virtù contraria.

Ma chi manca di una virtù manca di tutte, secondo le spiegazioni date [ q. 65, a. 1 ].

Perciò chi commette un peccato viene privato di tutte le virtù.

Ora, chi manca di una virtù possiede il vizio contrario.

Quindi chi ha un peccato ha tutti i peccati.

3. Secondo le spiegazioni date in precedenza [ q. 65, aa. 1,2 ], sono tra loro connesse tutte le virtù che convengono in un unico principio.

Ora, convengono in un unico principio non solo le virtù, ma anche i peccati: poiché, secondo quanto scrive S. Agostino [ De civ. Dei 14,28 ], come « l'amore di Dio, che costruisce la città di Dio », è il principio e la radice di tutte le virtù, così « l'amore di sé, che costruisce la città di Babilonia », è la radice di tutti i peccati.

Perciò anche i vizi e i peccati sono tutti connessi fra di loro, in modo che chi ne ha uno li ha tutti.

In contrario:

Certi vizi, come dimostra Aristotele [ Ethic. 2,8 ], sono contrari fra di loro.

Ora, qualità contrarie sono incompatibili nel medesimo soggetto.

Quindi è impossibile che i vizi e i peccati siano tutti connessi fra di loro.

Dimostrazione:

L'intenzione di chi agisce virtuosamente per seguire la ragione ha un carattere diverso da quella di chi pecca scostandosi da essa.

Infatti l'intenzione del primo mira a seguire la regola della ragione: per cui tutte le virtù mirano all'identico scopo.

E così tutte le virtù, come si è visto [ q. 65, a. 1 ], hanno una connessione reciproca nella retta ragione pratica, cioè nella prudenza.

Invece l'intenzione di chi pecca non mira direttamente ad allontanarsi da ciò che è conforme alla ragione, ma tende piuttosto verso un bene desiderabile, dal quale [ il suo atto ] riceve la specificazione.

Ora, questi beni verso cui mira l'intenzione di chi pecca scostandosi dalla ragione sono diversi fra di loro, senza alcuna connessione reciproca: anzi, talora sono contrari.

Poiché dunque i vizi e i peccati vengono specificati dagli oggetti verso cui tendono, è evidente che essi non hanno alcuna connessione in ciò che ne costituisce la specie.

Infatti non si commette il peccato andando dal molteplice verso l'unità, come avviene per le virtù che sono tra loro connesse, ma piuttosto allontanandosi dall'unità verso il molteplice.

Analisi delle obiezioni:

1. S. Giacomo non parla del peccato come conversione [ alle creature ], cioè dal lato che, secondo le spiegazioni date [ q. 72, a. 1 ], viene considerato per distinguere i peccati fra di loro, ma ne parla sotto l'aspetto dell'allontanamento [ da Dio ], cioè in quanto l'uomo col peccato si scosta da un precetto della legge.

Ora, tutti i precetti della legge derivano da un unico legislatore, come nota lo stesso Apostolo [ Gc 2,11 ]: perciò è sempre il medesimo Dio che viene disprezzato in ogni atto peccaminoso.

E in questo senso egli scrive che « chi manca in un punto, diventa colpevole di tutto »: commettendo infatti un peccato diviene meritevole di pena per il suo disprezzo verso Dio, disprezzo che determina la punibilità per tutti i peccati.

2. Come si è già spiegato [ q. 71, a. 4 ], la virtù contraria non viene distrutta da qualsiasi atto peccaminoso: infatti il peccato veniale non la distrugge, e il peccato mortale, da parte sua, distrugge certamente le virtù infuse, in quanto allontana da Dio, tuttavia un unico atto peccaminoso, anche se mortale, non distrugge l'abito di una virtù acquisita.

Se però gli atti si moltiplicano al punto di produrre l'abito contrario, allora viene eliminato anche l'abito di una virtù acquisita.

Ora, eliminando una virtù acquisita si elimina anche la prudenza, poiché chi agisce contro una virtù qualsiasi agisce contro la prudenza; ma senza la prudenza non può sussistere alcuna virtù morale, come si è visto [ q. 58, a. 4; q. 65, a. 1 ].

Per conseguenza si eliminano tutte le virtù morali sotto l'aspetto formale e perfetto di virtù, che esse desumono dalla prudenza; tuttavia rimangono le inclinazioni verso gli atti virtuosi, prive del carattere di virtù.

- Da ciò non segue però che l'uomo incorra in tutti i vizi e in tutti i peccati.

Primo, perché a una virtù unica si contrappongono vizi molteplici: per cui una virtù può essere eliminata da uno solo di essi, anche in assenza degli altri.

Secondo, perché il peccato, come si è visto [ q. 71, a. 1 ], si oppone direttamente alla virtù quanto alla sua inclinazione verso l'atto: per cui, rimanendo alcune inclinazioni virtuose, non si può dire che uno contragga i vizi o i peccati ad esse contrari.

3. L'amore di Dio è unitivo in quanto conduce l'affetto umano dal molteplice all'unità: perciò le virtù, prodotte da questo amore, sono tra loro connesse.

Invece l'amore di sé disgrega l'affetto umano verso realtà disparate, poiché l'uomo ama se stesso desiderando a se stesso dei beni temporali, che sono disparati e molteplici: perciò i vizi e i peccati, prodotti dall'amore di sé, non sono connessi.

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