Summa Teologica - II-II

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Articolo 6 - Se tutti i prelati ecclesiastici siano nello stato di perfezione

Quodl., 1, q. 7, a. 2; 3, q. 6, a. 3; De perf. vitae spir., cc. 21 sqq.; In Matth., c. 19

Pare che i prelati ecclesiastici siano tutti nello stato di perfezione.

Infatti:

1. S. Girolamo [ In Tt 1,5 ] scrive: « Un tempo il presbitero e il vescovo erano la stessa cosa »; e conclude: « Perciò come i sacerdoti, o presbiteri, sanno di essere sottomessi per consuetudine ecclesiastica a colui che li presiede, così i vescovi sappiano che sono superiori ai sacerdoti più per una consuetudine che per una vera disposizione del Signore, e che devono governare in comune la Chiesa ».

Ma i vescovi sono in stato di perfezione.

Quindi anche i sacerdoti in cura d'anime.

2. Anche i sacerdoti parroci ricevono la cura delle anime, come i vescovi, mediante una consacrazione; e così pure gli arcidiaconi, a cui si applicano le parole della Scrittura [ At 6,3 ]: « Cercate dunque, fratelli, sette uomini di buona reputazione », ecc., che la Glossa [ ord. di Beda ] così commenta: « Gli Apostoli decisero in questo modo di costituire nella Chiesa sette diaconi di grado più alto che fossero come delle colonne attorno all'altare ».

Perciò anch'essi sono nello stato di perfezione.

3. Come i vescovi sono obbligati a « dare la vita per le loro pecore » [ Gv 10,11 ], così lo sono pure i sacerdoti parroci e gli arcidiaconi.

Ma questo è un atto che appartiene alla perfezione della carità, come si è detto [ a. 2, ad 3; a. 5 ].

Quindi anche i sacerdoti parroci e gli arcidiaconi sono in stato di perfezione.

In contrario:

Dionigi [ De eccl. hier. 5 ] insegna: « L'ordine dei pontefici ha il compito di completare e perfezionare; quello dei sacerdoti di illuminare e rischiarare; quello dei ministri di purificare e vagliare ».

Perciò è evidente che la perfezione va attribuita solo ai vescovi.

Dimostrazione:

Nei sacerdoti e nei diaconi in cura d'anime si possono distinguere due cose: l'ordine sacro e la cura delle anime.

Ora, l'ordine si riferisce a certi atti particolari nell'ambito degli uffici divini: per cui sopra [ q. 183, a. 3, ad 3 ] abbiamo detto che la distinzione degli ordini dipende dalla distinzione degli uffici.

Per il fatto quindi che uno riceve un ordine sacro riceve il potere di compiere delle funzioni sacre, ma con ciò non si obbliga alle pratiche della perfezione, sebbene nella Chiesa Occidentale nel ricevere gli ordini sacri venga emesso il voto di continenza, che è una delle pratiche relative alla perfezione, come vedremo [ q. 186, a. 4 ].

Quindi per il fatto che uno riceve un ordine sacro non viene posto nello stato di perfezione; sebbene per esercitarne degnamente gli atti sia richiesta la perfezione interiore.

E neppure si è posti in tale stato con l'accettazione della cura delle anime.

Infatti i parroci non si obbligano col vincolo di un voto perpetuo al governo delle anime, ma possono lasciarlo: o passando alla vita religiosa, anche senza il permesso del vescovo, come dice il Decreto [ di Graz. 2,19,2,2 ]; o anche, col permesso del vescovo, lasciando l'arcidiaconato o la parrocchia per una semplice prebenda senza cura d'anime.

Il che non sarebbe mai permesso se uno fosse nello stato di perfezione, poiché il Vangelo [ Lc 9,62 ] afferma: « Nessuno che ha messo mano all'aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio ».

I vescovi invece, essendo in stato di perfezione, non possono lasciare l'incarico pastorale se non per cause ben determinate, come vedremo [ q. 185, a. 4 ], e sempre con una dispensa del Sommo Pontefice, il quale ha la facoltà di dispensare anche dai voti perpetui.

Perciò è evidente che non tutti i prelati sono nello stato di perfezione, ma solo i vescovi.

Analisi delle obiezioni:

1. Del vescovo e del presbitero possiamo parlare da due punti di vista.

Primo, quanto al nome.

E così una volta i vescovi e i presbiteri non si distinguevano.

Infatti il termine vescovo viene da « sopraintendere », come dice S. Agostino [ De civ. Dei 19,19 ]; e presbitero in greco equivale ad « anziano ».

Per cui anche l'Apostolo usa promiscuamente il termine « presbiteri » per gli uni e per gli altri, quando scrive [ 1 Tm 5,17 ]: « I presbiteri che esercitano bene la presidenza siano trattati con doppio onore ».

E così fa anche col termine « vescovi », parlando ai presbiteri della chiesa di Efeso [ At 20,28 ]: « Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha posti come vescovi a pascere la Chiesa di Dio ».

Quanto alla realtà invece ci fu sempre distinzione tra loro, anche al tempo degli Apostoli, come dimostra Dionigi [ De eccl. hier. 5 ].

E commentando quel passo di S. Luca [ Lc 10,1 ]: « Dopo questi fatti il Signore designò », ecc., la Glossa [ ord. di Beda ] afferma: « Come gli apostoli sono il tipo dei vescovi, così i settantadue discepoli sono il tipo dei sacerdoti del secondo ordine ».

In seguito tuttavia, per evitare scismi, fu necessario distinguerli anche di nome: chiamando vescovi i superiori e presbiteri gli inferiori.

Dire dunque che i presbiteri non differiscono dai vescovi è un errore che S. Agostino [ De haeres. 53 ] enumera tra le eresie, là dove dice che gli Ariani insegnavano « non doversi il sacerdote distinguere in nulla dal vescovo ».

2. Ai vescovi è affidata direttamente la cura principale di tutti i loro diocesani; i sacerdoti parroci invece e gli arcidiaconi hanno incarichi subordinati sotto l'autorità dei vescovi.

Per cui, spiegando quel testo di S. Paolo [ 1 Cor 12,28 ]: « Alcuni hanno il dono di assistere, altri di governare », la Glossa [ interlin. ] afferma: « L'assistenza è il compito di quelli che aiutano i superiori, come Tito fece con S. Paolo, e gli arcidiaconi fanno con i vescovi.

Il governare poi di cui si parla è quello dei prelati inferiori, cioè dei preti, i quali insegnano al popolo ».

E Dionigi [ De eccl. hier. 5 ] afferma: « Come la gerarchia universale culmina in Gesù, così ogni gerarchia particolare culmina nel proprio divino gerarca », cioè nel vescovo.

E nel Decreto [ di Graz. 2,16,1,41 ] si legge: « Tutti i sacerdoti e i diaconi stiano attenti a non fare nulla senza il permesso del loro vescovo ».

È chiaro quindi che costoro stanno al vescovo come i magistrati e i ministri stanno al re.

Per cui come fra le autorità civili solo il re riceve la benedizione solenne mentre gli altri vengono istituiti con una semplice designazione, così anche nel campo ecclesiastico l'episcopato viene imposto con una consacrazione solenne, mentre l'arcidiaconato o la cura parrocchiale vengono imposti con un semplice comando.

- Questi ministri vengono però consacrati nel conferimento degli ordini, anche prima di ottenere la cura delle anime.

3. Come i parroci e gli arcidiaconi non hanno la cura principale del gregge, ma [ solo ] un certo incarico conferito loro dal vescovo, così non hanno né l'ufficio di pastori né l'obbligo di esporre la vita per il gregge in maniera diretta e principale, ma [ solo ] in quanto partecipi di tale cura.

Essi quindi non raggiungono lo stato di perfezione, ma hanno piuttosto un ufficio che è connesso con la perfezione.

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