Summa Teologica - III

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Articolo 4 - Se Cristo nei tre giorni della sua morte sia rimasto un uomo

In 3 Sent., d. 22, q. 1, a. 1; Quodl., 2, q. 1, a. 1; 3, q. 2, a. 2; Comp. Theol., c. 229

Pare che Cristo nei tre giorni della sua morte sia rimasto un uomo.

Infatti:

1. S. Agostino [ De Trin. 1,13.28 ] afferma: « Questa assunzione fu tale da fare di Dio un uomo, e di un uomo Dio ».

Ma quell'assunzione non venne a cessare con la morte.

Quindi con la morte Cristo non cessò di essere uomo.

2. Il Filosofo [ Ethic. 9,4 ] ha scritto che « ogni uomo è il proprio intelletto ».

Per questo, rivolgendoci dopo la morte all'anima di S. Pietro, diciamo: « S. Pietro, prega per noi ».

Ma dopo la morte il Figlio di Dio non si separò dall'anima intellettiva.

Quindi in quei tre giorni il Figlio di Dio era un uomo.

3. Ogni sacerdote è un uomo.

Ma in quei tre giorni Cristo rimase sacerdote, altrimenti non sarebbe vera l'affermazione del Salmo [ Sal 110,4 ]: « Tu sei sacerdote in eterno ».

Perciò in quei tre giorni Cristo rimase uomo.

In contrario:

Tolto il genere superiore spariscono anche gli universali subalterni.

Ora, vivente e animato sono generi superiori rispetto ad animale e uomo: infatti l'animale è una sostanza animata sensibile.

Ma nei tre giorni della sua morte il corpo di Cristo non era né vivente né animato.

Quindi non era un uomo.

Dimostrazione:

Che Cristo sia morto realmente è un articolo di fede.

Perciò affermare una cosa qualsiasi che comprometta la realtà della morte di Cristo è un errore contrario alla fede.

Per questo nella lettera Sinodale di S. Cirillo [ Conc. Efes. 1,26 ] si legge: « Se qualcuno non professa che il Verbo di Dio ha patito nella carne, che è stato crocifisso e che ha subito la morte, sia scomunicato ».

Ora, la realtà della morte per l'uomo o per l'animale implica che si cessi di essere uomo o animale: poiché la morte dell'uomo o dell'animale deriva dalla separazione dell'anima, che costituisce la natura dell'animale o dell'uomo.

Dire perciò che Cristo durante i tre giorni della sua morte era un uomo in senso assoluto, è un errore.

Si può dire invece che in quei tre giorni egli era « un uomo morto ».

Tuttavia alcuni sostennero che Cristo in quei tre giorni era un uomo, pronunciando così certamente delle parole erronee, ma senza avere sentimenti contrari alla fede.

È il caso, p. es., di Ugo di S. Vittore [ De sacram. 2,1,11 ], il quale dice che nei tre giorni della sua morte Cristo era un uomo poiché a suo parere l'uomo si identifica con l'anima.

Il che è falso, come si è spiegato nella Prima Parte [ q. 75, a. 4 ].

Invece il Maestro delle Sentenze [ 3,22,1 ] sostiene che nei tre giorni dopo la morte Cristo era un uomo per un altro motivo: in quanto cioè egli riteneva che l'unione dell'anima con il corpo non sia essenziale al concetto di uomo, ma che per essere uomo basti avere l'anima umana e il corpo, sia uniti che separati fra di loro.

Il che pure risulta falso sia dalle spiegazioni date nella Prima Parte [ q. 76, a. 1 ], sia da quanto abbiamo detto sopra [ q. 2, a. 5 ] sul modo dell'unione ipostatica.

Analisi delle obiezioni:

1. Il Verbo di Dio assunse l'anima e il corpo uniti: e così quell'assunzione fece di Dio un uomo e di un uomo Dio.

Ora, tale assunzione non cessò mai per una separazione del Verbo dall'anima o dal corpo: cessò invece l'unione tra l'anima e il corpo.

2. Si dice che l'uomo è il suo intelletto non perché questo sia tutto l'uomo, ma perché l'intelligenza è la parte principale dell'uomo, da cui dipende tutto il suo ordinamento di vita: come il capo di una nazione viene preso per la nazione tutta intera, inquantoché da lui dipende tutto il suo ordinamento.

3. Il sacerdozio spetta a un uomo in forza dell'anima, nella quale risiede il carattere dell'ordine sacro.

Per questo con la sua morte un uomo non decade dall'ordine sacerdotale.

E molto meno poteva decaderne Cristo, che è la fonte di ogni sacerdozio.

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